Antonio Climati (Roma, 1931) è figlio dell’operatore Arturo Climati, quindi non poteva fare a meno di esordire nel cinema con il padre e con Paolo Gregorich, specializzandosi nei settori attualità e documentario. Tutti lo ricordano come grande direttore della fotografia nei mondo movies di Jacopetti e Prosperi, ma non vanno dimenticati altri lavori come Mal d’Africa, Stuntmen, Incensurato provata disonestà…Il suo debutto alla regia è datato 1975 e consta di alcuni lungometraggi girati in coppia con Mario Morra che risentono in maniera evidente dell’esperienza accanto a Jacopetti e Prosperi.
Ultime grida dalla Savana (1975) è il primo lavoro in collaborazione con Mario Morra di chiara impronta jacopettiana, un viaggio tra comuni hippie, riti di fecondazione della terra, cacciatori lapponi in azione per sopravvivere e aristocratici inglesi a caccia di volpi (Mereghetti). Gli autori mostrano l’uomo che altera l’ambiente naturale cacciando cervi e altre specie in pericolo di estinzione, per contrasto vediamo scene di animalisti che vorrebbero un neoromantico ritorno alla natura e boicottano la caccia alla volpe dei nobili inglesi. Il documentario analizza il comportamento animale, violento e da cacciatore, ma sempre spinto da scopi alimentari. Il leopardo lotta con il babbuino e lo divora, l’anaconda si nutre di scimmie, ma entrambi lo fanno solo per sfamarsi. Gli aborigeni australiani usano il boomerang per la caccia ai pipistrelli, animali di cui si cibano perché sono buoni come la nostra carne bianca, solo un po’ più dolci. Canguri e bufali vengono uccisi con le lance, così le antilopi e gli elefanti, animali buoni come cibo, ma anche per succhiare il sangue che la religione indigena indica come fonte di forza. Tra queste popolazioni esiste persino la credenza che i morti si reincarnano negli animali. I registi parlano di cannibalismo rituale in Africa, dove uomini morti vengono divorati per motivi religiosi. Il rito della fertilità è un altro momento interessante che vede fecondare grandi buche nella terra da uomini che pensano agli animali da cacciare. Le riserve africane proteggono gli animali dall’estinzione, ma rinoceronti, leoni marini, e altre bestie devono essere marcate a fuoco e transistorizzate. La sequenza per cui Ultime grida dalla savana è rimasto nella storia del cinema è quella che vede un turista sbranato dal leone. Sembrerebbe una sequenza vera, come assicura la sovrimpressione, perché la fotografia è completamente diversa, il montaggio dilettantesco e la macchina da presa non è stabile. Morra e Climati sostengono che si tratta di un filmato realizzato da un cineamatore che era in compagnia del turista sbranato. Se è stato realizzato a tavolino dobbiamo dire che il lavoro è davvero ben fatto e che la scena del leone che divora l’uomo è molto drammatica e credibile. Le immagini ci portano all’interno di una comune hippie per mostrare il cambiamento dei costumi, ma i registi preferiscono il mondo selvaggio e subito tornano agli eschimesi che osservano il passaggio degli uccelli per cacciare le prede e agli africani che uccidono elefanti. Mondo cane è il modello di riferimento, ma anche Africa addio ritorna con prepotenza come ricordo del passato. Un altro rito della fertilità vede indigeni africani che offrono il seme a una divinità per avere una buona caccia e maggiore forza. La tesi di fondo del documentario è che in natura esistono sopraffazione e violenza, ma sono finalizzate a uno scopo. L’orso si ciba dei salmoni che risalgono la corrente per scopi alimentari, così il ghepardo che rincorre lo struzzo, mentre l’uomo uccide per sport, lo fa sin dal Medio Evo quando allevava falconi per catturare prede. Ultime grida dalla savana si conclude in modo cruento con una caccia al cinghiale praticata da cani, ma soprattutto con l’esecuzione filmata da un cineamatore di uomini che uccidono altri uomini. Vediamo addirittura un macabro taglio degli attributi sessuali e uno scotennamento. Pure qui abbiamo i soliti dubbi sulla veridicità, garantita da Climati e Morra con una scritta in sovrimpressione, ma non possiamo essere certi. Fotografia e montaggio sono diversi, ma il tutto potrebbe essere stato realizzato ricorrendo ad attori. Le sequenze finali, per contrasto, mostrano stupende immagini della savana realizzate con grande cura fotografica che scorrono insieme a un suggestivo commento musicale. Ultime grida dalla savana è realizzato ricorrendo a sequenze dure e macabre, volte a scioccare lo spettatore, per dimostrare che la natura umana non è buona, ma si fonda sulla sopraffazione. Climati e Morra seguono Jacopetti, dicono che l’uomo naturale uccide ma lo fa per uno scopo, mentre noi uomini civilizzati siamo violenti senza motivo. Il commento fuori campo è di Alberto Moravia, la voce off è Giuseppe Rinaldi, mentre l’ottimo commento musicale è di Carlo Savina.
Savana violenta (1976) è un altro documentario girato insieme a Mario Morra che molti dizionari di cinema non citano neppure, mentre il Farinotti lo stronca pesantemente affermando che gli spettatori sono le principali vittime di un tale filmaccio. Farinotti aggiunge che il film è del 1982 e lo intitola Savana selvaggia: forse ha le idee confuse, oppure ne parla per sentito dire. Noi abbiamo visto un’edizione spagnola della pellicola e non abbiamo trovato niente di particolarmente raccapricciante. Lo stile ricorda i mondo movies di Jacopetti, la fotografia di Climati è ottima e il montaggio di Morra rapido e serrato. Vediamo sequenze che riguardano episodi bizzarri che si verifica nel mondo, non molto approfonditi, ma trattati per flash con lo scopo di stupire. Nella parte iniziale ricordiamo una buffa sequenza di indios a caccia degli attributi sessuali di un uomo bianco, le sanguisughe che si appiccicano al corpo dei nativi e vengono mangiate, la cerimonia del vento dei pinguini in Patagonia e la danza dei leoni marini. Non può mancare un po’ di attenzione al sesso con la ripresa di alcuni rapporti tra coniugi incentivati da finte violenze carnali, così come non si economizza su stranezze a livello magico – religioso (epilettici – indemoniati). Vediamo foche suicide in Groenlandia prima di cadere vittime di orribili mattanze, una caccia agli uccelli in Alaska per usare le uova a scopo farmaceutico, babbuini che aiutano a catturare cinghiali africani e testuggini che muoiono perché non riescono a espellere le uova. Molto interessante la cattura di uno squalo – tigre che viene sventrato sul bagnasciuga e lascia cadere le interiora, mentre i registi mostrano la finta immagine di una donna massacrata da un pescecane. Alcune popolazioni indigene usano metodi barbari per abortire e gli autori mostrano con dovizia di particolari donne che si gettano da un albero, provocano la perdita del feto e lo seppelliscono sotto una giovane pianta. Scene di animali ci portano in Africa e in Australia, vediamo un gatto selvatico che dà la caccia a un babbuino e i cani che fungono da guardiani del bestiame. In alcuni paesi indigeni si pensa di acquisire le virtù del morto bevendo i suoi liquidi cadaverici e questa sequenza è abbastanza stomachevole. La fotografia di Climati è la cosa più bella del film e da sola giustifica ancora la visione per apprezzare scene africane e australiane a base di elefanti, zebre, ippopotami e canguri. Climati e Morra si soffermano sulle abitudini degli aborigeni australiani che mangiano termiti, cacciano pesci che vivono sotto terra, serpenti acquatici che hanno il sangue dolce come il miele, pericolosi iguana commestibili, coccodrilli e pipistrelli da arrostire a fuoco lento. Per fortuna che dalle loro parti cresce un albero – bottiglia che contiene un’acqua digestiva nella corteccia. Il documentario prosegue nella savana africana, precisamente in Etiopia e in Sudan dove guerrieri bambini danno la caccia a giraffe, zebre ed elefanti. Le scene di caccia agli animali sono un po’ ripetitive, anche se ben documentate e girate con perizia. Si termina con il Brasile e il carnevale di Rio de Janeiro, scenario di divertimento e morte.
Turbo time (1982) è un film che Pino Frainotti attribuisce a un fantomatico James Davis, ma in realtà si tratta di un documentario sulle corse automobilistiche e motociclistiche scritto e montato da Mario Morra, sceneggiato da Federico Urban e fotografato da Antonio Climati. Il lavoro di regia va ripartito equamente tra i due autori. Ai nostri fini è un lavoro meno interessante, perché di argomento sportivo, corredato di interviste a campioni e dirigenti. Climati e Morra si confermano registi realisti, ma anche uomini di cinema a caccia di effetti sensazionalistici perché non mancano sequenze spettacolari e crudeli di incidenti prelevate dalle gare.
Dolce e selvaggio (1983) è l’ultimo lavoro girato da Climati con la collaborazione con Mario Morra. I due autori riprendono l’esperienza dei mondo movies jacopettiani, già rivista nei precedenti lavori sulla savana, e approfondiscono il tema della natura al tempo stesso violenta e dolce, portatrice di vita e di morte, ma anche di momenti crudeli. Il maggior pregio di questi lavori è una fotografia esotica perfetta, tecnica che Antonio Climati padroneggia da maestro. I limiti sono i soliti di sempre: un commento spesso retorico e immagini efferate alla ricerca del gusto per il sensazionale. Un buon lavoro che scandalizzò i benpensanti, purtroppo introvabile sul mercato home video che presenta soltanto vecchie copie tagliate e versioni televisive prive delle scene più macabre. Sono tre le sequenze incriminate della pellicola, probabilmente inventate e realizzate ricorrendo ad attori: l’esecuzione di un terrorista smembrato e crivellato di colpi in Medio Oriente, un uomo con gli arti strappati con una jeep – una sorta di squartamento come si praticava con i cavalli – e un monaco fatto a pezzi. La censura italiana si accanì con durezza contro le sequenze.
Paradiso infernale (1987) è un film avventuroso, il solo lavoro di fiction realizzato da Antonio Climati, che racconta le avventure di un professore nella giungla sudamericana a contatto con popolazioni indigene. Il professore scompare durante la spedizione, un allievo ritiene che sia stato ucciso dagli indios e parte alla sua ricerca insieme a tre amici. I quattro ragazzi devono superare peripezie di ogni genere e imparare a vivere nella foresta, ma alla fine ritrovano lo scomparso che ha deciso di restare a vivere nella foresta insieme alla tribù degli Imas. Per Climati è una nuova occasione per collaborare con Franco Prosperi che partecipa alla scrittura di un film che vede tra gli sceneggiatori il non ancora famoso Federico Moccia. Il soggetto è di Antonio Climati e Marco Merlo. Lorenzo Castellano sceneggia insieme a Moccia. Producono Felice Colaiacono e Franco Poccioni. Gli interpreti sono: May Deseligny, Marco Merlo, Fabrizio Merlo, Bruno Corazzari, Jesica Quintero, David Maunsell, Sasha D’ark e Sal Borgese. Non è un gran film, a parte la stupenda fotografia tipica dei lavori di Climati, perché si tratta di una pellicola che punta sul sensazionalismo e su un retorico messaggio ecologista. Il film viene editato successivamente come Natura contro ed è noto con l’ammiccante e fuorviante Cannibal holocaust II (1988). Il film, infatti, viene distribuito all’estero come finto sequel di Cannibal holocaust (1979) di Ruggero Deodato, lavoro atteso da tempo, per stuzzicare la curiosità degli appassionati, ma non ha niente a che vedere con la mitica pellicola cannibalica. Il tema è avventuroso, Climati opta per una narrazione antropologica e seriosa, glissando sulle scene splatter e sull’antropofagia: tema che serve da specchietto per allodole. Il film è buonista ed ecologista, si caratterizza per un’ottima fotografia ma anche per la ripetitività della trama.
“Climati resta in bilico fra il documentario e lo spettacolo d’avventura, ma il primo genere gli riesce meglio. Molto belle le immagini della natura selvaggia e la fotografia è sempre suggestiva, alcune scene risultano di grande efficacia, come quella della caccia alle scimmie o della lotta fra il caimano e l’anaconda. L’autore vuole dire che non si deve violentare la natura e denuncia pure la disonestà di certi imbonitori, che cercano di mettersi in luce con false notizie di scoperte. Notiamo una chiara condanna della crudeltà contro popolazioni inermi e pacifiche, decimate per cupidigia da conquistatori civilissimi. Purtroppo manca al film la forza necessaria perché il messaggio possa essere efficace”. (da “Segnalazioni Cinematografiche” vol. 197, 1989 – fonte Rdc – Cinematografo.it).