“Appunti per un film sull’India”, un mondo diviso in caste

Articolo di Gordiano Lupi

Il Terzo Mondo come origine della civiltà, patrimonio culturale popolare intatto, momento da cui partire per scoprire la vera essenza dell’uomo, quel sottoproletariato mondiale, quei volti genuini, ormai scomparsi nel capitalismo più evoluto. Pasolini coltiva da tempo l’idea di un film intitolato Appunti per un poema sul Terzo Mondo, che svisceri le problematiche del post colonialismo, ma che ponga l’accento su un mondo genuino, non borghese, puro e incontaminato. L’Occidente colonizzatore ha basato la sua esistenza sulla democrazia, cercando di esportare un’idea fallita in partenza, strumento politico per emancipare un mondo naturale, incontaminato, puro. Film politico Appunti e proprio per questo – come nel caso de La rabbia – poetico, perché Pasolini rifiuta lo strumento dell’indagine giornalistica e sociologica, preferisce soffermarsi su volti e luoghi, su cambiamenti culturali. Il progetto iniziale consisterebbe nell’analisi di cinque aree del Terzo Mondo (Paesi Arabi, Africa, India, Sud America, ghetti del Nord America) tramite storie significative, estrapolate dalla cultura locale, unite da un collante affettivo, un sentimento che il regista definisce rivoluzionario. Un progetto che si rivela sin da subito impossibile per le enormi difficoltà produttive; non esistono imprenditori (neppure pubblici) disposti a finanziare un’idea così ambiziosa e dall’incerto ritorno economico. Soltanto la RAI propone a Pasolini un contratto limitato a un documentario su un paese del Terzo Mondo. L’idea del regista si trasforma, usando un mezzo borghese come la televisione, per proporre un’idea del tutto antiborghese, facendo qualcosa di molto simile ai Sopraluoghi in Palestina, una sorta di Taccuino di viaggio per immagini. Nasce Appunti per un film sull’India, sulla falsariga del racconto L’odore dell’India, una sorta di documentario poetico sulle contraddizioni dell’India neo – democratica e post coloniale. L’idea di Pasolini è sempre la stessa: cercare volti e luoghi concreti, intervistare persone dei vari ceti sociali, verificare sul campo la bontà delle proprie idee. Il poema pasoliniano sull’India prende le mosse da due elementi fondamentali: la religione e la fame; dovrebbe essere diviso in due parti distinte, la prima ambientata in un’era pre-democratica, la seconda durante la lotta di liberazione dal dominio inglese. Il documentario è una sorta di indagine su un ipotetico film a soggetto ancora da fare, diviso in due parti, la prima è la storia di un ricco Maharaja che – in preda a una grande pietà religiosa – sfama con il suo corpo due cuccioli di tigre che stanno morendo di fame in mezzo alla neve. La seconda parte racconta le vicissitudini della famiglia del Maharaja – diventata povera – che deve affrontare la carestia e accettare l’idea di lavorare per vivere, pure se i componenti della stirpe non riusciranno a evitare la morte. Appunti per un film sull’India è un’indagine sul campo per capire come poter sviluppare un simile soggetto, dialogando con il popolo, arricchita da immagini poetiche evocative e da un sentimento di compassione rivoluzionaria. Pasolini osserva un mondo diviso in caste, pervaso da enormi differenze sociali e da una religiosità profonda, immanente, persino ossessiva. Il regista vaga per strade polverose con la macchina da presa in spalla, scrive il suo film in presa diretta, immagine dopo immagine. Non c’è nessuna volontà di fare cinema documentario, Pasolini (come al solito) gira cinema di poesia, cercando conferma a idee ben precise che si sono formate nella sua mente. Il contrasto che viene fuori dall’opera compiuta è lo stesso di sempre: povertà estrema e grande quiete interiore, la dolcezza dei gesti, i sorrisi dei volti, in definitiva una situazione simile a quella incontrata in Palestina (Sopraluoghi) e tra i contadini italiani di Comizi d’amore. Pasolini replica il suo cinema sul sottoproletariato mondiale che unisce in un identico afflato rivoluzionario gli abitanti delle borgate romane con i diseredati arabi e i poverissimi indiani. Le contraddizioni che il regista trova in India sono enormi, tra le diverse caste (gli intoccabili che non si fanno neppure avvicinare), tra gli operai urbani e un modo rurale arcaico, tra la sovrappopolazione e la democrazia nascente, il tutto permeato da una religiosità oppressiva. Il senso della morte è immanente, dalle immagini di carcasse animali divorate da famelici avvoltoi, fino al corteo funebre finale, con la solenne cerimonia di cremazione. Un momento di puro cinema che ricorda il mondo movie di Jacopetti, pure se Pasolini inorridirebbe leggendo un simile paragone, queste sequenze sono la sola concessione al documentario che il regista fa in tutta la pellicola. Immagini persino disturbanti di un vero cadavere umano, cosparso di grasso animale e messo sopra una pira per essere cremato. Pasolini giunge alla conclusione che un paese povero come l’India riesce a dare tutto a un ospite occidentale, in cambio di niente, perché il nostro mondo capitalistico non ha niente da offrire a tanta arcaica spontaneità. Il mondo arcaico indiana cerca di non farsi colonizzare, tenta di industrializzarsi e di accettare la modernità, ma non vorrebbe vedere distrutta la propria specifica naturalezza. Appunti è un ulteriore tassello che contribuisce a costruire quel poema sentimentale sul sottoproletariato del Terzo Mondo, sogno che Pasolini coltiverà per tutta la vita e che resterà incompiuto.  

Scritto, diretto, fotografato e commentato da Pier Paolo Pasolini.  Collaborazione: Gianni Barcelloni Corte. Montaggio: Jenner Menghi. Produzione: RAI – Radio Televisione Italiana. Produttore Delegato: Gianni Barcelloni Corte, BBG Cinematografica srl. Pellicola: Kodak. Formato: 16 mm., b/n. Macchine da Presa: Arriflex BL. Riprese: dicembre – gennaio 1968. Esterni: Stato di Maharashtra (Bombay), Stato di Uttar Pradesh, Stato di Rajahstan, New Delhi. Durata: 34’ 20” (941 metri). Prima Proiezione: XXIX Mostra di Venezia, sezione Documentari (18 agosto, 1968).

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