Appunti sparsi su sceneggiata e Mario Merola

Articolo di Gordiano Lupi

La sceneggiata nasce a Napoli nel 1918, alla fine della Prima Guerra Mondiale, nel primo dopoguerra, con lo scopo di inventare un genere nuovo, capace di unificare la musica popolare classica e il teatro dialettale. I primi testi della sceneggiata vengono messi in scena da teatranti di strada e di paese, parlano di problemi sociali, amori contrastati, donne vilipese e maltrattate; non siamo ancora al classico triangolo composta da  isso, issa e ‘o malamente. Pupatella – messa in scena dalla compagnia di G. D’Alessio – è la prima sceneggiata napoletana che ha per tema il tradimento ed è tratta dalla canzone omonima di Libero Bovio. Diciamo con una forzatura che la sceneggiata anticipa il musicarello cinematografico, perché molto spesso parte da una canzone classica e di grande successo popolare per raccontare una storia teatrale, senza dimenticare il tema musicale di fondo che costituisce il leitmotiv dell’opera in prosa. La sceneggiata è un genere che si abbevera ad altri generi e li compenetra tra di loro formando un genere nuovo, fondendo in un solo contesto scenico musica, canto, danza e recitazione. Il contenuto non è mai soltanto drammatico o sentimentale, sono immancabili parti comiche, così come è fondamentale nella storia la presenza di una mamma (meno basilare la figura paterna) e spesso pure di  un piccolo figlio o nipote problematico. Mano a mano che passa il tempo, la sceneggiata perde il suo alone classico di storia sentimentale e familiare, o meglio, aggiunge a tale elemento base anche una parte noir – come si direbbe oggi – e poliziesca, composta da delitti, affronti, sfide al coltello e duelli a colpi di pistola.

Precursori della sceneggiata sono alcuni autori di teatro (Altavilla, su tutti) che per motivi economici si trovano costretti a scrivere opere basate su testi di canzoni famose come Don Ciccillo, Te voglio bene assaie e La Fanfarra. Il governo italiano, dopo la sconfitta di Caporetto, aumentò le tasse sugli spettacoli di puro varietà, giudicati non consoni al grave momento storico,  stimolando in questo modo gli autori a inventarsi uno spettacolo non solo comico, ma di tipo misto. La nascente sceneggiata era perfetta per aggirare la legge e le esose imposte che di fatto impedivano le esibizioni teatrali leggere, così perfetta che nel 1919 le rappresentazioni divennero un buon numero, proliferando sempre di più nei venti anni che precedettero la Seconda Guerra Mondiale. La compagnia più attiva fu quella gestita da Salvatore Cafiero (di estrazione varietà) ed Eugenio Fumo (teatro popolare) che si esibiva in teatri di periferia (Trianon, San Ferdinando) e vedeva tra le sue fila anche un giovanissimo Nino Taranto. La sceneggiata napoletana divenne un genere molto in voga non solo in Campania, ma anche negli Stati Uniti, soprattutto nella Little Italy di New York dove vivevano numerosi emigranti meridionali.

Mario Merola nasce a Napoli il 6 aprile 1934, da una famiglia molto povera, lavora come aiuto cuoco e scaricatore di porto. La sua prima canzone è Malu figlio, incisa su disco quasi per scherzo e portata al successo da una sceneggiata che lui stesso interpreta al teatro Sirena di Napoli. La vita di Merola cambia d’un tratto, da scaricatore di porto a re del teatro popolare, della canzone dialettale, ambasciatore di Napoli nel mondo, con la sceneggiata che varca i confini regionali e nazionali, andando a frequentare i palcoscenici del Nord America. La sceneggiata di Merola resta un genere classico dove la tradizione si fonde sempre più al gusto per il fotoromanzo e per il cinema melodrammatico di Raffaello Materazzo. Alla base delle storie ci sono dosi massicce di sentimentalismo, amor filiale, rapporti familiari e interpersonali vissuti tra eccessi, conditi da un incombente gusto noir e poliziesco. La sceneggiata esce dagli angusti spazi teatrali e si afferma pure al cinema tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta, proprio grazie a Merola, spesso diretto da Alfonso Brescia (Zappatore, 1981 e Carcerato, 1982) ma anche da Ciro Ippolito (Lacrime napulitane, 1981). Fisico massiccio e corpulento, temperamento sanguigno, molto simile ai personaggi che interpreta, si ricorda per canzoni melodrammatiche e roboanti, disperate e sentimentali, intrise di lacrime e core per dirlo con un’espressione tutta napoletana. I ruoli cinematografici lo vedono sempre nei panni di un uomo d’onore vecchio stampo, tutto famiglia e sentimento, spesso accusato di colpe non commesse o alla ricerca di un amore impossibile, altre volte nei panni di un uomo ai limiti della legalità ma sempre caratterizzato da un grande senso dell’onore. Molti i lavori diretti da Brescia nella sua filmografia, dopo l’esordio con Sgarro alla camorra (1973) di Fizzarotti una vera cascata:  Napoli … Serenata calibro 9 (1978), L’ultimo guappo (1978), I contrabbandieri di Santa Lucia (1979), Il mammasantissima (1979), Napoli … la camorra sfida e la città risponde (1979), La tua vita per mio figlio e Zappatore (1980), Carcerato, I figli … so’ pezzi  e core e Napoli Palermo New York: il triangolo della camorra (1981). Umberto Lenzi lo dirige  in Da Corleone a Brooklyn (1979) e Stelvio Massi in Sbirro, la tua legge è lenta … la mia no! (1979). Due ruoli intensi nel 1982, accanto al suo erede Nino D’Angelo, in Tradimento e Giuramento, poi lo ricordiamo in due film di Stelvio Massi più intrisi di poliziesco come Guapparia (1983) e Torna (1984). Sud Side Story (2000) è il suo ultimo film, diretto da Roberta Torre, girato subito dopo il celebrativo Cient’anne di Ninì Grassia (1999). In tempi recenti lo ricordiamo nella soap opera televisiva – che eredita i fasti della sceneggiata – Un posto al sole (1996) come Don Tommaso Morraca, guidato da Giambattista Avellino. Resta nell’immaginario collettivo per gli schiaffoni che tirava nei suoi film e che – secondo la leggenda – sarebbero stati veri e in più di un’occasione avrebbero lasciato il segno. Muore a Castellammare di Stabia, il 12 novembre del 2006.

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