Asterix e l’iris bianco

Articolo di Gordiano Lupi

Possiedo tutti gli albi di Asterix scritti da René Goscinny e disegnati da Albert Uderzo editi in Italia, da Asterix il gallico in poi, una vecchia passione di mio padre che ho ereditato. Ho comprato anche le storie uscite dopo la morte dello scrittore, quando Uderzo faceva tutto da solo, fino alle ultime avventure scritte da Jean-Ives Ferri e disegnate da Didier Conrad. Asterix e l’iris bianco è il primo (quarantesimo della serie) scritto da Fabrice Caro – in arte Fabcaro -, che si avvale dell’arte grafica di Conrad, ispirata a Uderzo, meno ricca di particolari ma non si rimpiange lo stile del Maestro. Fabcaro, invece, dimostra una scrittura matura e consapevole, con citazioni dell’umorismo ironico di Goscinny, autore che ha studiato con passione. L’ultima avventura degli indomiti Galli riprende vecchi temi del passato, questa volta non abbiamo un infiltrato romano a portare zizzania nel villaggio che resiste, ma un uomo di grande cultura, un filosofo che vuol rendere i nostri rozzi amici più gentili e avvezzi alle buone maniere, fornendo lezioni pratiche di savoir vivre. Ottimo il lavoro di traduzione di Vania Vitali e Andrea Toscani, che riportano in italiano alcuni testi di canzoni popolari francesi, facilitando al lettore nostrano la sintonia con la storia. Molti elementi riportano all’atmosfera delle vecchie storie, come il dialetto romanesco con cui si esprimono i legionari, la partecipazione al plot di Giulio Cesare – che incarica il medico capo Vitiumvirtus di portare scompiglio tra i Galli e nel finale dialoga con Asterix -, la fame atavica di Obelix, la non sopportazione nei confronti del bardo e il banchetto finale a base di cinghiali per festeggiare la vittoria sui Romani. I personaggi sono ben delineati, il rispetto delle creazioni originali è totale, Fabcaro scrive una sceneggiatura oliata a dovere che funziona bene, tra battute e dialoghi effervescenti. In questo albo due comprimari assurgono a protagonisti, come già accaduto in passato, si tratta del capo del villaggio Abraracourcix e della moglie Beniamina, convinta dal truffatore romano ad andare a Parigi (Lutezia), dove scorre la vera vita. Grandi gli anacronismi a base di traffico, ingorghi, monopattini che Obelix (visto il peso) non può guidare e di Carro a Grande Velocità per viaggiare spediti. Divertente l’idea di un attore gallico di nome Boxoffix che recita il Romeo e Galletta a teatro, risvegliando in Obelix ricordi provenienti da Asterix e il paiolo. Tra le trovate geniali ricordiamo Obelix alle prese con la nouvelle cousine che preferirebbe prendere la vecchia se ancora avanza e si domanda che fine abbia fatto la carne, scomparsa nella Melodia di cinghiale. Davvero un buon numero delle avventure di Asterix questo fascicolo 40, che consigliamo senza riserve, divertente e spumeggiante come i migliori albi di Goscinny e Uderzo.

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