Il 20 agosto si ricorda la memoria liturgica di san Bernardo (1090-1153) fondatore, con altri dodici monaci, nel 1109, di un nuovo monastero nella Champagne: così nacque Clairvaux (Chiaravalle), di cui Bernardo sarà abate fino alla morte. La regione della Champagne era ampia e comprendeva la Normandia, la Champagne e parte dell’attuale Germania ove si diffusero le Chanson de geste.
San Bernardo nasce in Borgogna nel 1091. Pochi santi accomunano come Bernardo due qualità considerate antitetiche: l’azione e il misticismo. Indefessa la sua opera di intervento in tutte le questioni della Chiesa in appoggio a papi e vescovi, nella lotta contro le eresie, nella formazione dell’ordine dei Templari, nella predicazione della seconda crociata (1146), una figura davvero centrale nella storia politica e religiosa d’Europa. Tanto fervore di iniziative si unisce in lui con un assoluto distacco dai valori mondani, con uno slancio ascetico di straordinaria forza. San Bernardo è chiamato dottore contemplante e doctor mellifluus, a indicare la dolcezza che «fluisce come miele» dalle sue parole. Tra le sue opere ricordiamo il De Gratia et libero arbitrio e il De consideratione, sulla dignità del pontefice (citato da Dante nell’Epistola a Cangrande della Scala). Muore nel 1153 e nel 1174 è proclamato santo da papa Alessandro III.
La «figura» di san Bernardo, simbolo della sapienza mistica, affiora soltanto nei canti del Paradiso dal XXXI (detto anche il canto di san Bernardo) al XXXIII. San Bernardo è la guida di Dante negli ultimi canti del Paradiso, è l’intermediario ultimo fra Dante e Dio nel cielo Empireo (Paradiso XXXI). Siamo nel decimo cielo chiamato Empireo costituito di pura luce intellettuale e di amore spirituale, senza limitazioni fisiche e di spazio. Qui è Dio nella sua essenza, qui hanno effettiva sede i beati e gli angeli, questo è il vero ed eterno Paradiso. Inizialmente si presenta come un fiume di luce fra due rive di splendidi fiori, quindi si rivela definitivamente come il grande lago della grazia divina intorno al quale sono disposti in anfiteatro (la candida rosa) tutti i beati: su di loro discende la luce di Dio.
Dante incontra l’anima di san Bernardo nel canto XXXI del Paradiso (vv. 58-60; 94-102):
Uno intendëa, e altro mi rispuose:
credea veder Beatrice e vidi un sene
vestito con le genti glorïose.
[…]
E ’l santo sene: «Acciò che tu assommi
perfettamente», disse, «il tuo cammino,
a che priego e amor santo mandommi,
vola con li occhi per questo giardino;
ché veder lui t’acconcerà lo sguardo
più al montar per lo raggio divino.
E la regina del cielo, ond’ïo ardo
tutto d’amor, ne farà ogne grazia,
però ch’i’ sono il suo fedel Bernardo».
È opportuno ricordare un’acuta osservazione di Étienne Gilson (Dante et la philosophie, pp. 278-279), per cui il Sommo Poeta «in un ordine dato sceglie sempre colui che comanda in quest’ordine, come Virgilio in poesia, Tolomeo in astronomia, Aristotele in filosofia, s. Domenico in teologia, s. Francesco in teologia affettiva e s. Bernardo in teologia mistica».
La Commedia è un cammin, un percorso educativo fondamentale che lo stesso Dante compie e nel quale convergono tante anime che incontra. Un cammin, un percorso che chi legge Dante è chiamato a compiere. Lo stesso Dante, narratore della sua vicenda, propone il suo cammino esistenziale come exemplum da seguire:
Ma io, perché venirvi? o chi ‘l concede?
Io non Enëa, io non Paulo sono;
me degno a ciò né io né altri ‘l crede
(Inferno II, 31-33)
Il Sommo Poeta è e vuole essere un grande educatore; proprio per questo è di grande aiuto nello svolgere il difficile ma bellissimo compito di insegnante. Chiediamo alla professoressa e poetessa Merelinda Staita, docente di Lettere e autrice di preziosi e premiati versi poetici, di lasciarci sfiorare dalla profondità e dalla ineffabile sapienza del poema dantesco e come lei stessa si sforza di comunicare, ai suoi studenti e alle sue studentesse, tanta grandezza, tanta bellezza. La Commedia è una parabola, una rivelazione progressiva dell’avventura della realtà umana. Sulla conoscenza della nostra natura umana, del nostro cuore si fonda l’ipotesi, o meglio l’intelaiatura, educativa del poema dantesco.
D.: Professoressa Merelinda Staita, può raccontarci a quando risale il suo primo incontro con Dante? Come e cosa ricorda?
«Il mio primo incontro con Dante, e con le sue opere, è avvenuto al terzo anno di Liceo Classico. Il Professore di Lettere, Antonio Barone, mi ha trasmesso l’amore per la Divina Commedia. Arrivava in classe, sempre puntuale ed elegante, e prendeva posto alla cattedra. Dopo l’introduzione e la spiegazione del canto, leggeva e interpretava i versi con cura e precisione. Il Professore era sempre disponibile a chiarire i miei dubbi e rispondeva a tutte le domande dei miei compagni. Un percorso didattico che ha permesso a noi alunni di riconoscerci nei valori espressi dal testo e di compiere un viaggio meraviglioso, affascinante e coinvolgente. Non smetterò mai di ringraziare il Professore Barone per essere stato un esempio da seguire. Oggi, abbiamo bisogno di docenti come lui che sappiano lasciare il segno nella vita dei giovani. Servono professori preparati e capaci di insegnare con passione. Occorre stimolare nei ragazzi il desiderio di apprendere e di conoscere. “Imparare a imparare, perché non si smetta mai di imparare e perché si deve avere il gusto di conoscere e di essere curiosi”, così come sosteneva Don Milani».
D.: Quale rima, terzina o frase dantesca guida il suo quotidiano lavoro di docente-educatore-formatore?
«Un buon insegnante deve avere la consapevolezza del valore formativo della propria disciplina, deve avvalersi delle giuste strategie comunicative e dell’ascolto attivo. L’incontro tra il docente e lo studente deve puntare alla riflessione, al miglioramento e alla crescita del discente. I versi del poema dantesco possono diventare un monito per le nuove generazioni. I momenti della nostra vita in cui non sappiamo cosa fare sono tanti. I giovani sono spesso fragili e insicuri, cosi come Dante all’inizio della Divina Commedia. Le scuole e le università, durante la pandemia, hanno attivato la DAD o la DDI e questo ha garantito ai ragazzi la possibilità di continuare a studiare. La vita vissuta nel mondo virtuale ha portato alla crescita di nuove devianze della rete e si è registrato un forte senso di smarrimento. Il Professore Francesco Pira, associato di Sociologia dei processi cultuali e comunicativi presso il Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università degli Studi di Messina, dove è Coordinatore Didattico del Master in “Esperto in Comunicazione Digitale per la Pubblica Amministrazione e l’Impresa”, ha condotto una ricerca contenuta nel suo libro “Figli delle App”. I suoi dati sottolineano il peso dell’isolamento sociale, la paura e lo sconforto di generazioni sempre connesse e sempre più sole. Intraprendere la “dritta via” non è facile e ogni ragazzo merita di essere supportato da figure autorevoli che sappiano indirizzarlo e consigliarlo. Il grande poeta Brunetto Latini incontra Dante all’Inferno e gli dice: “Se tu segui tua stella non puoi fallire a glorioso porto”. Seguire la propria stella vuol dire contare solo su sé stessi e questo non basta. Dante non può compiere un viaggio nei tre regni da solo, ma ha bisogno di “guide” valide e speciali come Virgilio, poeta romano e autore di tre opere, tra le più note e prestigiose della letteratura latina: le Bucoliche, le Georgiche e l’Eneide. Dante si fida di Virgilio, ma a volte vacilla e si sente solo e spaventato. Virgilio rimane accanto a Dante e gli spiega che ha ricevuto “una grazia” e questa “grazia” deve dargli la forza necessaria per affrontare il suo cammino. Di fatto l’unica vera guida del Sommo Poeta è Beatrice che rappresenta l’anima del viaggio. Lei è la musa che ispira il poema ed è lei che offre a Dante la possibilità di scoprire la bellezza e la luce dell’Amore assoluto (Dio). Al termine del viaggio all’Inferno, nonostante si avverta un profondo senso di solitudine, Dante riesce a “ritornar nel chiaro mondo;/e sanza cura aver d’alcun riposo, /salimmo su, ei primo ed io secondo, tanto ch’io vidi delle cose belle/ che porta il ciel, per un pertugio tondo;/ e quindi uscimmo a riveder le stelle”. Le parole “riveder le stelle” veicolano un messaggio di speranza. Ogni giorno, cerco di comunicare ai miei alunni quanto sia importante guardare al futuro con fiducia e con coraggio. Tutti gli attori della società e le agenzie educative hanno il compito di proteggere e di sostenere i bambini, i preadolescenti e gli adolescenti. Non possiamo permettere che smettano di inseguire i loro sogni e le loro aspirazioni».
D.: La figura di Dante come uomo e letterato è davvero piena e completa: un politico, un poeta e scrittore, un esule con prole al seguito, un condannato a morte sempre alla ricerca della giustizia. Cosa quest’uomo oggi può davvero insegnare? Quale «segno» nella vita dei giovani e dei meno giovani può porre?
«Non si può conoscere e studiare il Medioevo senza aver letto la Divina Commedia. Il Sommo Poeta ci ha consegnato una riflessione profonda e intensa che anticipa le sorti del mondo. È riuscito a mettere in evidenza il binomio Male/Bene e a spiegare la lotta fra la Luce e l’Oscurità. Ha descritto con dovizia di particolari il microcosmo all’interno del quale si muove l’uomo. Il nostro tempo ci mostra il volto dell’egoismo e la perdita di tanti valori. Il viaggio di Dante, nato dal suo genio artistico, riassume le esperienze di tutti gli uomini e ci regala uno scrigno di ideali da riscoprire come il rispetto della nostra e dell’altrui vita. Ma non solo. Ci aiuta a compiere un’autoanalisi e ci invita a non perdere la Speranza, una delle più importanti virtù teologali. Dobbiamo riuscire a prenderci cura degli altri, ad avere senso civico e a far germogliare il seme della fratellanza. La qualità del nostro Essere farà la differenza in ogni contesto soprattutto in termini di Giustizia e Verità»
P. S.: L’immagine di copertina è una riproduzione dell’Apparizione della Vergine a san Bernardo del Perugino, 1489 ca, olio su tavola conservata all’Alte Pinakothek di Monaco di Baviera. L’altro dipinto è invece opera di Filippino Lippi, 1482-1486 ca, conservato a Firenze nella Badia fiorentina.