Buon Natale, un patrimonio umano, religioso e simbolico da ri-scoprire

Articolo di Pietro Salvatore Reina

La nascita di Gesù è di fondamentale importanza, non solo dal punto di vista religioso ma anche storico. Per collocare qualunque evento, si iniziano a contare gli anni dalla sua nascita. Gesù è posto al centro del tempo. La sua nascita ha «spezzato» in due il corso della storia dell’umanità. Santo Mazzarino, il più brillante storico dell’antichità classica, nel primo volume de L’impero romano (p. 164) scrive: «l’esistenza storica di Gesù̀, nel quadro e nell’ambiente che abbiamo delineato sopra (l’epoca giulio-claudia), è in verità̀ innegabile».

Ma cos’è davvero, in profondità, il Natale cristiano? Le sue origini sono antichissime. I seguaci e i discepoli di Gesù, ancora prima di essere chiamati «cristiani» – è questo per la prima volta avvenne nella città di Antiochia (Atti degli apostoli, 11) – scelsero un giorno «simbolico e significativo» per celebrarne la nascita. Nei primi due secoli la data non era ancora la stessa per tutti i luoghi: in Oriente alcuni la celebravano il 20 maggio, altri il 20 aprile; in Occidente in alcune zone il 28 marzo, in altre regioni già il 25 dicembre, il giorno della festa del solstizio d’inverno e dell’approssimarsi della primavera. Una festa caratterizzata da un’incontenibile gioia.

Solo dopo il Concilio di Nicea (325), e più precisamente tra il 325 e il 354, la Chiesa antica fissa la solennità del Natale. L’esistenza della festa dedicata al Sol invictus e il cambiamento del tempo, apportato dal solstizio d’inverno, spiega, in Occidente, la fissazione della data del Natale.

Nei primi secoli la solennità più importante è la Pasqua, la festa cristiana per eccellenza.

La crisi economica, sociale e politica del III secolo genera un senso di insicurezza generale che accelera la ricerca di nuove esperienze filosofiche e religiose. Grande successo riscuotono i culti orientali, che offrono una salvezza, un’idea di salvezza, individuale oltre la morte. Dall’Egitto si diffondono il culto di Iside e Osiride, dall’area mesopotamica quello di Mitra. In questo clima inizia a diffondersi il Cristianesimo che in breve tempo acquista una travolgente risonanza.

L’imperatore Eliogabalo (218-222) tenta di imporre il culto del dio del Sole di cui è sacerdote. Nell’anno 271 l’imperatore Aureliano proclama il culto del Sol Invictus come religione ufficiale di tutto l’Impero romano. È il 25 dicembre del 274 gli dedica un tempio. Ma è l’imperatore Costantino a decretare la nascita del Natale in Occidente. Nel mondo cristiano forte è il riferimento alle profezie di Malachia (3,20): «Per voi invece, cultori del mio nome, sorgerà il sole di giustizia con raggi benefici e voi uscirete come vitelli di stalla».

Nella Depositio Martyrum scritta nel 336, un primo tentativo di calendario liturgico, si legge espressamente che a Roma la festa del Natale viene celebrata il 25 dicembre. La stessa notizia si rileva nel Cronografo dell’anno 354 (Chronographus anni CCCLIIII. Ferialae Ecclesiae Romanae) nel quale si legge che Gesù Cristo nasce nell’«VIII Kal. Ian. (Die Octavo ante Kalendas Ianuaris) in Betleem», cioè il 25 dicembre. Un’altra conferma ci viene data da un discorso di papa Liberio (352-366).

Questa data fu scelta perché già vi si festeggiava la festa del Sol invictus, il «sole mai vinto», che proprio nei giorni successivi al solstizio d’inverno sembra riprendere le forze e ricomincia a salire l’orizzonte. Infatti, non è un caso che uno tra i più antichi mosaici, forse il più antico, scoperto sotto la basilica di san Paolo a Roma rappresenti Cristo-Helios, Cristo/Sole sul carro trionfale.

Alla fine del V secolo il Natale già segnava l’inizio dell’anno liturgico. Nel 529 l’imperatore Giustiniano lo dichiara giorno festivo, senza lavoro. È da allora che la solennità del Natale si è diffusa progressivamente in tutta Europa e non solo. Una diffusione che accompagna, contestualmente, l’evangelizzazione. Anche la Riforma protestante lo mantiene tra le sue feste, anche se con una diversa liturgia rispetto a quella cattolica. Invece, l’Oriente cristiano sposterà l’accento sull’Epifania (ἐπιϕάνεια, «manifestazione»), di Gesù ai pagani, una solennità collocata sempre nel tempo liturgico del Natale.

Ma cosa dicono i Vangeli dell’evento fondante questa festa? È soprattutto il racconto di Luca a parlarci della nascita avvenuta a Betlemme attorno al 7 a. C., quando Giuseppe assieme alla sua promessa sposa Maria risale al paese di cui è originario, per ottemperare al censimento ordinato da Quirino, procuratore della Giudea. Un censimento di cui ci parla anche lo storico ebreo Giuseppe Flavio (37-100 ca), nelle Antichità giudaiche (XVIII). La redazione scritta dei Vangeli ha una «preistoria» almeno orale che a partire dalla Pasqua dell’anno 30 prende forma in una tradizione volta a salvaguardare e trasmettere la memoria del Gesù terreno» (R. Penna, Le prime comunità cristiane, p. 14).

Fu, poi, papa Gregorio Magno (540 ca – 604) a stabilire in quattro settimane il tempo di Avvento in modo da racchiuderlo nel mese di dicembre.

Oggigiorno, nelle nostre società del benessere e consumiste, assistiamo, ahimè, impotenti allo scatenarsi di una frenesia commerciale che usa il Natale come pretesto, che lo banalizza ecc. Il messaggio salvifico di un Dio che assume la nostra carne umana – Verbum caro factum est (Vangelo secondo Giovanni 1,14) – alimenta ed è incastonato nelle millenarie pagine letterarie, artistiche, musicali della nostra cultura. Soprattutto il racconto dell’evangelista Luca, ma anche quello di Matteo, dona vita e colori alle innumerevoli opere d’arte che rappresentano la nascita di Gesù avvenuta a Betlemme attorno al 7 a.C. circa. Il «messaggio di pace del Natale ci costringe a fare i conti con la violenza delle nostre civiltà» (René Girard). Il significato religioso prima dell’Incarnazione e poi della Natività reggono e possiedono l’evoluzione artistico-letteraria della nostra cultura fin da quel primo affresco della Natività, del III secolo, che riluce nelle Catacombe di Priscilla a Roma. Da allora non c’è artista (Giotto, Botticelli, Leonardo, Caravaggio, Rubens, e tantissimi/e altri/) che non abbia rappresentato questi due ««momenti» – appunto l’Incarnazione e la Natività – di Grazia. Nell’opera dantesca – Convivio (IV, V, 3) e Monarchia (I, XVI, 2) – ma soprattutto nella Commedia l’evento e mistero dell’Incarnazione riveste un ruolo fondamentale. L’atto d’amore dell’Incarnazione (Et Verbum caro factum est et habitavit in nobis, Gv 1,14) viene delineato nel canto VII del Paradiso («al Verbo di Dio discender piacque», v. 30). Un altro riferimento al Natale è nel canto XX (vv. 22-24) del Purgatorio: «Povera fosti tanto, / quanto veder si può per quello ospizio / dove sponesti il tuo portato santo». Nell’inno sacro Il Natale, Alessandro Manzoni – di cui il prossimo 22 maggio ricorderemo il centocinquantesimo della morte – riprenderà il vocabolo «portato» per indicare il «bambino» della partoriente.

Augurando a tutti i lettori e a tutte le lettrici de Il salto della quaglia un buon e sereno Natale ricordiamo che uno dei più antichi presepi del mondo si trova nella nostra bellissima Sicilia: il cosiddetto «sarcofago di Adelfia» (IV sec. d.C.) esposto nel Museo Archeologico Regionale «Paolo Orsi» di Siracusa.

La nascita di Gesù «realizza il miracolo dell’Incarnazione e in esso – osserva e augura con acume Massimo Recalcati – dovremmo imparare a vedere una promessa di salvazione del mondo dalla brutalità e dalla violenza della morte».

Related Articles