Oggi mi sento un uomo piccolo, piegato dagli anni, dall’abbandono, da una colpa mai spiegata e dalla prigionia, rinchiuso in una torre, una torre chiusa da sigilli e da una chiave nascosta nel cassetto della scrivania di qualcuno che non mi odia e non mi ama, ma fa solo il suo dovere. E come nel mito di Platone, la mia ombra è grandissima, si staglia contro la parete, di sera, per l’effetto fortuito di un lume lasciato qui a farmi compagnia. In questa mia solitudine, suono il violino. Dall’altra parte del buio, dalla finestra in cui vivono loro, gli altri, arriva il suono dolce di un pianoforte, prima incerto, poi piano piano più sicuro, e mi tiene compagnia.
Il bambino mi chiama gigante, mi crede forte e buono ed è affascinato dal mio strumento, ma mi detesta in cuor suo perché sua madre lo trascura e trascorre le giornate al pianoforte, a immaginare, a fantasticare sulla forma di queste note, che non può vedere, ma solo ascoltare. Gli lascerò qualcosa in dono, che non sarà sufficiente a ripagarlo della perdita di una persona così importante, ma lo salverà dall’odio dell’uomo, ed è già qualcosa.
Mentre suono con lei la nostra sinfonia, che si fa metafora di un amplesso sempre più intimo, ci chiediamo se c’è ancora un mondo là fuori e diventiamo protagonisti inconsapevoli di questa storia. Interpreti della dimensione pubblica e quella privata. Editi e inediti. Questa è una storia che evoca sensualità ed è capace di entrare lentamente nell’immaginario di una donna come lei, che si allontana sera dopo sera dall’opprimente e carnale morsa degli uomini ed entra nel carcere impalpabile, ignoto e affascinante del gigante. Le vite che sono qui dipinte, hanno in comune con quelle reali le paure umane e la passione per le paure, che coltiviamo dentro gelosamente e con cui dialoghiamo a mano a mano che decidiamo di perderci nelle stanze di vetro, nei castelli, nelle grotte buie, circondate da pietre più sensibili di qualunque lettore frettoloso e ansioso di sentirsi grande.
Paola Capriolo, La grande Eulalia, Feltrinelli