Centosessantasei anni fa nasceva Giovanni Pascoli

Articolo di Pietro Salvatore Reina

Il 31 dicembre 1855 nasce Giovanni Pascoli nel comune di San Mauro di Romagna che dal 1932 ha preso il nome di San Mauro Pascoli, nella provincia di Forlì-Cesena. Giovanni Pascoli è «uno dei lirici più autentici» (G. Spagnoletti) della poesia italiana di fine Ottocento e d’inizio Novecento che ha influenzato la produzione letteraria successiva. La poetica e la poesia di Pascoli ci portano nel Novecento. Come nessun altro poeta ha saputo «cogliere e far percepire il mistero della vita». La sua ispirazione poetica – osserva il professore e critico letterario G. Langella – è stata sorretta da una sensibilità̀ sottile, capace di leggere le voci della Natura come un libro segreto, dove sono riposte le grandi verità̀ dell’esistenza umana. Giovanni Pascoli è un poeta «evocativo e visionario capace di guardare al di là della superficie del mondo fisico per afferrare l’essenza delle cose». L’infanzia e la prima giovinezza di Giovanni Pascoli sono un’età felice che ricorda e annotta in tante sue poesie. La famiglia Pascoli è una famiglia patriarcale, numerosa – Giovanni è il quarto di dieci figli – e agiata. Il padre, Ruggero Pascoli, è un funzionario dell’importante famiglia dei Torlonia, nel 1862 diventa amministratore di un possedimento dei Torlonia, la Torre, – il nome della tenuta apre, segna l’incipit di una delle poesie pascoliniane più belle e importanti, La cavalla storna: Nella Torre il silenzio era già alto […]

A otto anni entra nel collegio dei padri scolopi a Urbino, dove frequentava la prima liceo quando, nel 1867, il padre viene assassinato in circostanze misteriose (forse l’assegnazione del posto di amministratore della Torre avrebbe scatenato rancori che avrebbe portato all’omicidio). Pascoli nella sua poesia torna molto spesso su questo primo drammatico momento come se l’arte della poesia potesse tentare di sanare, guarire questa «ferita». La morte del padre sta alla base della sua vocazione e costruzione poetica. I componimenti lirici più famosi che muovono da questo trauma sono Il X agosto, la già citata La cavalla storna, ecc L’assassinio del padre è il primo di una lunga serie di lutti familiari che segnano e temprano il suo carattere, la sua personalità e che influenzano la sua poetica, la sua produzione artistica. Grazie al professore Giosue Carducci, che ne intuisce il talento, Pascoli – laureatosi in Lettere nel 1862 con una tesi sul poeta greco Alceo – inizia a insegnare dapprima latino e greco nelle scuole superiori (Matera, Massa, Livorno) fino poi succedere a Giosue Carducci nella cattedra di Letteratura italiana dell’università di Bologna. Solo nel 1891 Pascoli pubblica il primo libro di poesie Myricae, al quale seguono, nel 1897, Poemetti (poi divisi in Primi poemetti, nel 1904, e Nuovi poemetti, 1909), i Canti di Castelvecchio nel 1903) e altre opere.

Giovanni Pascoli scrive e pubblica anche tre volumi di esegesi dantesca: La Minerva oscura. Prolegomena: la costruzione morale del Poema di Dante nel 1896, Sotto il velame nel 1900 e La Mirabile Visione. Abbozzo d’una storia della Divina Commedia nel 1902. Per Pascoli l’arte poetica ha una suprema utilità̀ socio-morale in quanto nasce da una spontanea inclinazione al bello e al buono: «il poeta è poeta, non oratore o predicatore». Per Pascoli il poeta può insegnare, in quanto ci aiuta a ri-scoprire le verità sepolte nelle piccole cose, ma non deve atteggiarsi a maestro o a filosofo, altrimenti la poesia diventa vuota retorica (G. Langella). «Intenso il sentimento poetico è di chi trova la poesia in ciò che lo circonda, e in ciò che altri soglia spregiare» scrive Pascoli nel breve saggio Il fanciullino pubblicato originariamente nel 1897. Pascoli non è solo un poeta coltissimo ma è soprattutto l’«ultimo poeta classico» (in quanto allievo di Alceo, Virgilio e Carducci) – lui stesso si presenta come «l’ultimo dei rapsodi» – e il primo, in Italia, dei «poeti moderni» in quanto la sua poesia, ad es. con la pubblicazione dei Canti di Castelvecchio (1903), opera una svolta, nella poetica del Novecento, verso una «nuova poesia» (G. Ferroni).

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