Comizi d’amore, come La rabbia, può essere definito – secondo la lezione di Serafino Murri – come un saggio in forma di film; girato tra marzo e novembre del 1963, si caratterizza come un viaggio lungo la penisola a caccia di opinioni sul sesso, tra il Sud più retrogrado e il Nord più evoluto, senza dimenticare le opinioni dei borghesi e dei vacanzieri del Centro Italia. Pasolini interrompe per pochi giorni la sua ricerca erotica per compiere un viaggio in Palestina (documentato da riprese in forma di film), location dove in un primo tempo pensava di girare il Vangelo secondo Matteo.
Comizi d’amore avrebbe dovuto chiamarsi Cento paia di buoi (titolo in lavorazione che richiama un famoso detto popolare) ed è film pensato per scandalizzare l’Italia del benpensanti – come quasi tutte le opere del poeta -, sviscerando un argomento tabù come la sessualità, confortato dal pensiero di Alberto Moravia e dai commenti psicanalitici di Cesare Musatti. Il titolo definitivo deriva da una frase contenuta nel romanzo Il sogno di una cosa (1962): “L’odio, solo l’odio può dare la forza … bisogna chiarire l’odio in comizi d’amore”. Non poteva mancare il divieto ai minori di anni diciotto – rivisto oggi pare assurdo -, che i censori riservavano quasi a ogni opera di Pasolini, mentre il Festival di Locarno dedicò buona attenzione alla pellicola. Un altro titolo del film avrebbe potuto essere Il Don Giovanni, ma il poeta optò per il più ermetico – nella sua ottica emblematico – Comizi d’amore.
La pellicola è composta da sei paragrafi distinti composti da una serie di domande preconfezionate da sottoporre a varie persone, con il tono dell’inchiesta (importanza della vita sessuale, anormalità sessuale …), concluso da una breve parte di pura fiction come il matrimonio di due giovani. Pasolini intervista uomini, donne e bambini sul sesso, indaga la conoscenza dell’omosessualità, chiede informazioni sui rapporti prematrimoniali, cerca di capire la condizione della donna, scova improbabili nostalgici delle case di tolleranza dopo l’approvazione della Legge Merlin. Tra gli intervistati riconosciamo operai e borghesi, uomini colti e ignoranti, donne del profondo sud e intellettuali milanesi. Il percorso è compiuto con grande leggerezza, Pasolini chiede come nascono i bambini a un gruppo di ragazzi del Sud, al tempo stesso intervista Fallaci e Cederna sul femminismo, comodamente sdraiate al Lido di Venezia. L’indice accusatore del regista è puntato sempre contro la borghesia ipocrita ma anche sugli operai milanesi nostalgici delle case chiuse, piuttosto conformisti, per niente aperti al nuovo; in definitiva sono le classi più umili e le persone meno colte a dare le risposte migliori, istintive, ironiche, senza troppi sotterfugi. Il pericolo di una simile inchiesta, infatti, viene indicato da Moravia e da Musatti, quando affermano che le opinioni peggiori sono quelle non dette, i pensieri nascosti per pudore.
Pasolini compie il suo solito studio dei volti, ricerca i particolari fisici che definiscono la borghesia, tutto quel che contrasta anche visivamente con i contadini del sud e con gli operai delle fabbriche milanesi. Fritto misto all’italiana, definisce Pasolini il suo lavoro, dove apprezziamo un’Italia ancora riconoscibile dalla diversità delle espressioni secondo le classi sociali di appartenenza, non ancora uniformata, ma ben distinguibile tra Nord, Sud e Centro.
Comizi d’amore è un film inchiesta, rivisto oggi rappresenta uno spaccato culturale degli anni Sessanta, tra impennate poetiche, immagini di volti catturate e immortalate per sempre, immemore ritratto di come eravamo, non tanto per fare apologia del passato ma per dire come negli anni Sessanta la globalizzazione fosse ancora lontana, pure se Pasolini ne aveva già intuito i pericoli. Il film ha un tono disincantato e lieve, l’autore scherza e ironizza persino sulla sua sessualità, chiedendo opinioni sugli invertiti e sui presunti anormali da curare, facendo esprimere al poeta Ungaretti un originale concetto di anormalità, come qualcosa di impossibile a definirsi. Poetico il finale, unica parte di puro cinema di finzione, che riprende un matrimonio popolare, con gli sposi che esercitano il loro crudele diritto a essere ciò che furono i loro padri e le loro madri, confermando la lietezza e l’innocenza della vita.
Pasolini è sempre stato critico nei confronti della società italiana, dopo aver analizzato, studiato, indagato … come un polemista colto e profondo. Pasolini critica il Partito Comunista e la società italiana, così come critica i cattivi romanzi e le pessime poesie; studia la lingua italiana, rimpiange i dialetti, osserva il modo di vestirsi e di pettinarsi dei giovani, parla di omologazione, di perdita della memoria storica. “Reduce dalla mia maledetta inchiesta, ho davanti agli occhi l’Italia sessuale come un vecchio monumento di fango e di sole”, dice. Comizi d’amore possiede la forza di un’inchiesta giornalistica sociologica, pure se Pasolini sa bene che domande sul sesso fatte all’improvviso a un passante – sotto le luci dei riflettori e davanti alla macchina da presa – non possono pretendere risposte attendibili e sincere, ma solo risposte emozionate e confuse, perché a domande imbarazzanti seguono risposte imbarazzate. Le interviste di Pasolini sono come il coro della tragedia greca, mentre la vera tragedia è la società contemporanea, celebrata in primo piano tra repressione e indifferenza. Il sesso fa da cartina di tornasole per mostrare drammaticamente la cultura piccolo – borghese dell’Italia anni Sessanta, tra repressione sessuale clerico – fascista di un Nord evoluto e l’inibizione sessuale arcaica di un Sud represso.
Regia: Pier Paolo Pasolini. Soggetto e Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini. Intervistatore e commentatore: Pier Paolo Pasolini. Fotografia: Mario Bernardo, Tonino Delli Colli. Musica: a cura di Pier Paolo Pasolini. Montaggio: Nino Baragli. Aiuto Regia: Vincenzo Cerami. Speaker: Lello Bersani. Interventi: Alberto Moravia e Cesare Musatti. In ordine di apparizione: Camilla Cederna, Oriana Fallaci, Adele Cambria, Peppino di Capri, squadra di calcio del Bologna, Giuseppe Ungaretti, Antonella Lualdi, Graziella Granata, Ignazio Buttia. Ruolo della sposa: Graziella Chiarcossi. Casa di Produzione: Arco Film (Roma). Produttore: Alfredo Bini. Pellicola: Ferrani P 30, Kodak Plus X. Formato: 16 e 35 mm, b/n, 1:1.85. Macchine da Presa: Arriflex. Sviluppo e Stampa: Istituto Luce. Sonorizzazione: Fono Lux. Distribuzione: Titanus. Riprese: marzo – novembre 1963. Esterni: Napoli, Palermo, Cefalù, Roma, Fiumicino, Milano, Firenze, Viareggio, Bologna, campagna emiliana, Venezia Lido, Catanzaro, Crotone.