Crisi idrica in Italia: un paese che fa acqua da tutte le parti

Articolo di C. Alessandro Mauceri

In Italia è emergenza idrica. Ma non da ora: da anni. Solo ora che l’acqua manca in alcune regioni (come Piemonte e Lombardia oltre al Lazio) tutti gridano all’ “emergenza” e chiedono di dichiarare lo stato d’emergenza, invocano l’aiuto della protezione civile e di concordare un’intesa con i produttori di energia idroelettrica per ridurre l’uso dell’acqua a favore dell’uso umano e agricolo.

In tutto il Paese si susseguono gli appelli dei sindaci a un uso parsimonioso dell’acqua con la parola d’ordine “No agli sprechi”. Anche le Regioni sono scese in campo e hanno chiesto di incontrare i rappresentanti del governo e il capo della protezione civile Fabrizio Curcio per decidere il da farsi.

Un po’ come chiudere la stalla dopo che i buoi sono usciti. Di cambiamenti climatici si parla da anni, se non da decenni. Lo stesso per quanto riguarda la riduzione della capacità dei bacini idrici. Qui il problema deriva anche dalla scarsa manutenzione e dalla rimozione del limo che si accumula sul fondo riducendone la capacità effettiva di stoccaggio. Ma di questo non ha parlato nessuno. Così come nessuno ha parlato delle perdite nella fornitura dell’acqua potabile lungo le condutture: veri e propri colabrodo che, tra perdite e allacci abusivi, raggiungono percentuali impressionanti.

Problemi, questi, che non sono una novità. Eppure sono decisamente rilevanti. Secondo i dati riportati sul Blue Book 2022, la monografia completa dei dati del Servizio idrico integrato, realizzato dalla Fondazione Utilitatis in collaborazione con Cassa Depositi e Prestiti e ISTAT, l’Italia è una nazione a “stress idrico” medio. Non molto diversa da Francia o Germania. A differenza di questi paesi, però, il consumo medio di acqua è molto maggiore: in media, ogni abitante nei comuni capoluogo di provincia o nelle città metropolitane utilizza 236 litri al giorno di acqua potabile, a fronte di una media europea di 125 litri. Un consumo così elevato potrebbe essere dovuto in parte alle perdite nella rete idrica. In Italia, per tanto, troppo tempo, gli investimenti per il servizio idrico sono stati insufficienti, inadeguati e troppo diversi tra Nord e Sud. La rete idrica è un colabrodo con perdite che, secondo il dossier, rappresentano in media il 40% dell’acqua potabile immessi nel sistema italiano, nel 2020: mediamente, ogni 100 litri messi in circolo, 40 non arrivano ai destinatari. E gli obiettivi nazionali non sono certo ottimali: sarebbero felici di perdere “solo” il 25%!

L’ultimo rapporto ISTAT sui cambiamenti climatici, pubblicato lo scorso marzo (ma i dati sono relativi al 2020, non lascia dubbi in proposito: “nelle reti di distribuzione dell’acqua potabile dei comuni capoluogo di provincia e di città metropolitana, dove si convoglia circa il 33% dell’acqua complessivamente movimentata in Italia, nel 2020 a fronte dei 2,4 miliardi di metri cubi di acqua (370 litri per abitante al giorno) ne sono stati erogati agli utenti finali soltanto 1,5 miliardi di metri cubi (236) per gli usi autorizzati (fatturati o ad uso gratuito), con una perdita totale in distribuzione di 0,9 miliardi di metri cubi, pari al 36,2% dell’acqua immessa in rete (erano del 37,3% nel 2018)”.

Ogni giorno, nelle città italiane, si perdono milioni e milioni di metri cubi d’acqua potabile. Numeri folli se si pensa alla crisi ambientale (di cui pare che alcuni si stiano accorgendo solo ora) e agli sprechi d’acqua dovuti alle cattive abitudini (che senso ha purificare l’acqua e renderla potabile per poi utilizzarla per scaricarla nel wc?). Secondo alcune stime, solo l’acqua sprecata nelle città basterebbe per soddisfare le esigenze di circa 10 milioni di persone. Un numero altissimo, ma del quale, finora, non ha parlato nessuno. Anche nelle città dove questi sprechi raggiungono dimensioni pazzesche (oltre il 52%). Tra le città dove le perdite sarebbero peggiori Palermo, Cagliari, Catania, Messina, Napoli, Bari, Reggio di Calabria, Firenze, Torino, Roma, Genova, Venezia, Bologna e Milano. Secondo Utilitalia, rendere la rete più funzionale e limitare gli sprechi, permetterebbe di aver 1,7 miliardi di metri cubi in più ogni anno. Ma nessuno finora ha granché per “metterci una pezza”. Ci si è accorti che manca l’acqua solo quando non ce n’è più. Quando i buoi sono scappati. E allora è inutile chiudere la stalla e piangere sul latte versato… anzi sull’acqua versata fuori dalle falle di condotte colabrodo.

Secondo le Nazioni Unite, nel mondo, il 29% della popolazione, circa 2,2 miliardi di persone, non ha accesso all’acqua potabile o a servizi idrici di base. E in Italia, invece di fare un uso responsabile di questa risorsa (anche in considerazione ai cambiamenti climatici in atto), si preferisce perderla.

Il governo punta tutto sui fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che prevede miliardi di euro per la tutela del territorio e delle risorse idriche (3,5 miliardi per le aziende di servizio idrico). Dovrebbero servire a finanziare 75 progetti di manutenzione straordinaria e opere di potenziamento e completamento delle infrastrutture di derivazione, stoccaggio e fornitura primaria. Ma le opere da eseguire sono tante e non solo quelle di manutenzione straordinaria: sono prima di tutto quelle manutenzione ORDINARIA.

I fondi non basteranno a tappare tutti i buchi nel sistema di gestire le risorse idriche nazionali. E certamente non saranno sufficienti ad adeguare i sistemi di fognatura e depurazione nazionali: già, perché un altro aspetto strettamente legato all’acqua del Bel Paese vede 939 agglomerati urbani (e 29,7 milioni di abitanti) oggetto di tre diverse procedure di infrazione da parte dell’Unione europea proprio per la mancata o inadeguata attuazione della direttiva comunitaria sul trattamento delle acque reflue urbane. E una quarta è in arrivo. Ma anche di questo non si parla mai.

Foto: legambiente.it

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