Cultura streaming: vecchia e nuova normalità

Articolo di Andrea Musumeci

Il clima generale di confusione e frustrazione di cui siamo vittime sacrificali in questo preciso contesto storico è diretta conseguenza di tutti i decreti promulgati da questo governo nell’arco di brevissimo tempo, tra regolamentazione degli spostamenti, restrizioni geografiche, disgregamento pressoché totale della socialità ed una inevitabile e susseguente depressione economica.

Regna sempre più incontrastato lo stato di emergenza sanitaria, che ormai da parecchio tempo condiziona le vite di tutti noi ad ogni latitudine, pregiudicando le nostre abitudini ed il concetto basico di libertà, ultimamente ribattezzato come “vecchia normalità”.

Tra i settori più colpiti dall’emergenza covid ci sono sicuramente quelli dell’arte e dello spettacolo, ai quali, ad oggi, è interdetta ovunque ogni forma di rappresentazione dal vivo. Così facendo, il mondo della cultura è stato messo letteralmente in ginocchio.

 Le istituzioni politiche, per quanto concerne il nostro Paese, hanno motivato tale ostracismo ingiusto (avete presente il famoso “schiaffo di Anagni”?) facendo leva sul pericolo di eventuali assembramenti, situazioni di contatto tra le persone e quindi focolai di contagio.

Tuttavia, come accade puntualmente in determinate prese di posizione assolute e totalitariste, la teoria non si sposa mai con la pratica, cosicché il buon esempio che arriva (che dovrebbe, ormai il condizionale è d’obbligo) dall’alto, cioè dalle nostre cariche politiche, non è mai accompagnato dalla coerenza logica e da quel buon senso sapienziale richiesto, invece, a gran voce al resto della popolazione.

A tal proposito, qualche giorno fa, in barba a tutte le attuali disposizioni anti-covid imposte proprio dai nuovi DPCM a tutto il mondo dell’arte, il governo italiano “dell’io so io e voi non siete un cazzo” ha pensato bene di mettere in piedi il tradizionale concerto di Natale al Senato.

La gravità di questa iniziativa sta nel messaggio irresponsible e nemmeno troppo implicito che è arrivato alla gente: in misura accomodante per la vasta scala inerme dell’opinione pubblica e indisponente verso quella minoranza cocciuta che si ostina a sfruttare le proprie facoltà intellettive per non farsi raggirare da certe azioni provocatorie, fosse solo per differenziarsi dai fan minus habens del duo Fazio-Littizzetto.

Allo stato attuale delle cose, ogni palinsesto musicale dal vivo è severamente proibito, eccezion fatta per una ristretta categoria di show popolari televisivi orientati a standardizzare l’industria dell’intrattenimento e ad enfatizzare la comodità del divano casalingo, come ad esempio i talent show, le partite di calcio, giustappunto il consueto concerto di Natale al Senato e, prossimamente, il già annunciato Festival di Sanremo.

Pertanto, il governo ha stabilito unilateralmente che esistono due schieramenti di intrattenimento collettivo: da una parte le manifestazioni artistiche “essenziali” (ammesso che si possa parlare di arte nel caso dei sopracitati esempi), fondamentali per dissetare le insaziabili fauci onnivore della cultura trash di massa, dall’altra tutti quegli eventi ritenuti “non essenziali” e che fanno riferimento a tutte quelle organizzazioni non mainstream abbandonate e lasciate indietro dalle istituzioni (Ministro della Cultura Franceschini in primis).

Eppure, ce lo ricordiamo bene il celebre slogan lanciato poco tempo fa dal nostro Premier: “Nessuno verrà lasciato indietro”. A quanto pare, quell’espressione motivazionale del primo ministro era destinato ai “Signor Nessuno”, vale a dire tutti quelli coinvolti in attività giudicate non più indispensabili nelle nostre vite per come venivano considerate prima dell’era covid e, soprattutto, prima che venissimo invasi dalle nuove soubrette dei salottini televisivi, ovvero la casta dei virologi.

I rappresentanti di governo, a prescindere dal loro colore cromatico di discendenza, appartenenza e convenienza, in nome della salute dei cittadini (chissà perché, gli anni precedenti, l’argomento salute non creava così tanta empatia governativa), stanno via via disintegrando il concetto di cultura, nella sua accezione edonista di bellezza, di crescita individuale e di gruppo, ed ogni forma di creatività, a favore di un incostituzionale imprinting distopico di matrice nazista, facendo impallidire ogni genere di fantasia orwelliana e favorendo prioritariamente l’ascesa della società della mediocrizzazione, contestualmente all’annientamento del libero pensiero.

Fecondando questo nuovo percorso formativo di reset culturale basato sulla schiavitù tecnologica e informatica, la classe del potere sta puntando, palesemente, a riformattare l’essere umano, creando orizzonti di asocialità e di regressione mentale, al fine di aumentare la facoltà di controllo su tutte le classi sociali subalterne. Chiaramente, avvalendosi del nostro prezioso contributo autolesionista.

Questa rinnovata prospettiva di marketing da parte del nostro management statale sta diffondendo e incoraggiando una “nuova normalità” eticamente inaccettabile, la quale sta mettendo a repentaglio il concetto di libertà sotto ogni punto di vista, nell’intento nemmeno troppo celato di trasformarci in cavie da laboratorio o, semplicemente, in scimmiette ammaestrate e addomesticate, con l’obiettivo di rinchiuderci definitivamente in quello zoo virtuale che è il mondo digitale di internet.

Cedere a queste nuove tiranniche dinamiche sociali e mediatiche, che Noam Chomsky descriveva perfettamente nel suo saggio “Media e Potere”, prestando il fianco a quell’indecoroso abominio culturale incarnato dalle esibizioni live in streaming, significa decretare da una parte la morte cerebrale dell’essere umano e dall’altra prostituirsi ad un linguaggio rivolto unicamente al presente, senza memoria storica e senza impegno per il futuro, accettando in modo servile ed irreversibile “la banalità del male” documentata da Hannah Arendt nel suo famoso romanzo.

L’unica soluzione a questo nuovo scenario distopico è che il mondo dell’arte, in ogni sua parte attiva e indotta, non si pieghi a tale perversione interattiva e rifiuti di netto la condizione di sottomissione culturale a cui si è soggetti in questo difficile momento storico.

Personalmente, rigetto categoricamente questo modus pensandi e mi rifiuto di concepire qualsiasi esperienza dal vivo (che si tratti di visitare una città d’arte, un qualsiasi museo, oppure di partecipare ad un concerto) per come stanno cercando di venderla: al pari di un automa e fruibile da dietro un monitor, esclusivamente attraverso la visualizzazione streaming di video virtuali su piattaforme digitali, che siano di consumo gratuito o, ancor peggio, a pagamento.

Non per pura coincidenza, iniziano a proliferare sempre più numerose le iniziative di “live set streaming”, con l’obiettivo di ovviare al divieto assoluto di manifestazioni artistiche in pubblico, quello fatto da persone fisiche. Di questi tempi, è preferibile specificare.

D’altronde, l’arte, la musica, la letteratura, ecc., per come le conosciamo oggi, si sono diffuse nei secoli grazie al coinvolgimento, alla sinergia, allo scambio reciproco e al contatto diretto tra i popoli, senza i filtri anticostituzionali introdotti da una classe elitaria formata da impuniti controllori statali appartenenti ad un regime contemporaneo totalitario.

Uno status quo completamente distaccato dalla realtà ed incurante dell’importanza della prevenzione, se non come scusa ridondante utilizzata per poter colpevolizzare sistematicamente la popolazione e per nascondere le proprie nefandezze comunicative e gestionali.

Sostanzialmente, conformismo, perbenismo ed ipocrisia sono il vero fiore all’occhiello dell’attuale classe politica, rea di aver confezionato leggi inadatte ai giovani, contro il sistema educativo, e di aver allevato una società di ignoranti funzionali, stupidi e contagiosi (come cantava Kurt Cobain già trent’anni fa), programmati come robot per condurre un’esistenza pigra, passiva e stereotipata, totalmente incapaci di distinguere il bene dal male. 

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