Se l’ultimo libro di Francesco Pira, docente in Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Messina, fosse soltanto il risultato di una analisi scientifica del fenomeno digitale e dell’impatto che la tecnologia ha sulla vita degli adolescenti, potrebbe forse restare confinato nelle aule universitarie dove, presumiamo, sarà oggetto di studio da parte degli studenti e punto di riferimento per studiosi che vogliano partire da qui per approfondire questo tema cruciale per la contemporaneità. Ma Figli delle App (Franco Angeli, 2021), già dal titolo, appare “riscaldato” dall’approccio empatico di Pira, la cui attività di insegnamento si accompagna da sempre alla pratica quotidiana di condivisione sui social dei suoi post, dall’incontro con i suoi allievi, con i genitori, e dalla sua partecipazione, fuori da contesti accademico-scientifici, a un numero infinito di incontri (ora da remoto), riunioni, seminari, workshop, convegni. Francesco Pira è un educatore come quelli di una volta e nello stesso tempo modernissimo perché unisce l’autorevolezza del professore tradizionale allo sperimentalismo che la materia di cui si occupa – la sociologia della comunicazione – richiede. Leggendo il suo avvincente saggio, chi ha a che fare professionalmente con l’immagine e i vari tipi di “narrazione” che l’attività di comunicare oggi richiede, si trova a riflettere su quanto le “dinamiche social” abbiano modificato il modo di relazionarsi: Pira fa ricerca sul campo e ci offre un ultimo capitolo ricco di spunti perché è il compendio dei risultati di una survey online, che ha coinvolto 1.858 ragazze e ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori, chiamati a rispondere a un questionario composto da diciassette domande.
Quella che Pira chiama “la generazione Netflix”, che non legge i giornali ma vive perennemente connessa, finisce per fare da cavia in un’epoca, la nostra, ancora pionieristica rispetto alle possibilità che il progresso tecnologico consente. Ragazzi che stanno costruendo il loro universo relazionale in un ambiente completamente digitalizzato: l’88% possiede un computer e il 96% (praticamente tutti) uno smartphone. La maggioranza dichiara di avere il computer a disposizione nella propria camera, nel proprio spazio personale, dove lo utilizza in un isolamento perfetto che sembra la costruzione di uno spazio autonomo di interazione, ma che segnala invece la solitudine cui “l’iperbole tecnologica” assoggetta i più deboli, quelli che hanno meno mezzi per fare sport o danza, studiare una lingua straniera o uno strumento musicale, quelli che, insomma vivono la conquista del pc e dello smartphone come un privilegio e se li fanno bastare, chiudendosi alle relazioni, agli sport di squadra (sostituiti dai videogiochi e dalle competizioni online), alle relazioni fisiche insomma.
Lo smartphone “è il terminale privilegiato di tutte le comunicazioni: social, musica, video, web tv, smart tv, web radio” e se per Marshall McLuhan il medium era “il messaggio”, oggi, parafrasando il sociologo spagnolo Manuel Castells, è “il network” il messaggio. Sono infiniti gli spunti di riflessione di questo libro (gli influencer, le nuove devianze, il cyberbullismo e il sexting, le fake news), che unisce alla puntualità scientifica dell’analisi l’appassionata partecipazione dell’autore, “magister” nel senso più alto della parola, che in esergo mette una sorprendente citazione di Don Bosco: “Dalla buona o dalla cattiva educazione della gioventù dipende un buon o un triste avvenire della società”, là dove il mainstream ne avrebbe probabilmente messa una, per dire, di Steve Jobs. Questo punto di vista non asservito alle varie distopie oggi di moda, ma seriamente interessato al nuovo umanesimo tecnologico che dal digitale potrebbe scaturire, fa di questo saggio il caposaldo per gettare le basi di una educazione digitale nuova, vista con gli occhi del ricercatore ma anche dell’ “artigiano della comunicazione” che ha a cuore “di tutelare l’infanzia” perché sente di avere “la responsabilità di dover contribuire a delineare percorsi e strumenti che accompagnino la crescita della conoscenza”. Francesco Pira si appoggia a grandi teorici che con il loro pensiero hanno contribuito a delineare alcune tra le più rilevanti teorie nell’ambito della sociologia della comunicazione, “in uno dei momenti più straordinari dell’avventura umana” e ci consegna un volume da studiare certamente all’università, ma anche un saggio con molti interrogativi, che ogni genitore e ogni educatore dovrebbe tenere sul comodino, per leggerne una pagina ogni sera.