Il 13 dicembre si commemora la memoria liturgica di santa Lucia, una giovane siracusana martirizzata durante la grande persecuzione voluta dall’imperatore Diocleziano (284-305). L’antropologo e filosofo francese Claude Lévi-Strauss nel suo celebre saggio Antropologia strutturale, ma anche in altri, osserva come il «pensiero mitico si fonda sulla sfera del sensibile, cioè sul mondo che vediamo, odoriamo, gustiamo e percepiamo». La professoressa Lavinia Contini, docente all’Università del Salvador in Argentina, ha scritto che non è un caso che «la vista» e con lei i suoi strumenti, l’occhio e la luce hanno rappresentato e continuano a rappresentare, nelle culture di tutti i tempi, temi e simboli particolarmente prolifici di significati, di riflessioni che arricchiscono gli immaginari collettivi, le diverse culture lingue di ogni popolazione.
Il nome di santa Lucia, dalla radice latina lux, riassume nella Weltanschauung cristianità diversi significati e varie suggestioni. Già lo stesso Iacopo da Varazze attesta, nella celeberrima Legenda aurea, che «Lucia dicitur a luce. Lux enim habet pulchritudinem in aspectione, quia ut dicit Ambrosius, lucis natura haec est, ut omnis in aspectu eius gratia sit… Vel Lucia dicitur quasi lucis via».
Le più antiche agiografie della santa sono le cosiddette «Passio Greca», che risale al V secolo, e la «Passio Latina» che, invece, è datata tra il V e il VI secolo e che sembra essere una traduzione di quella greca.
Noi festeggiamo la santa siracusana seguendo il calendario gregoriano, introdotto nel 1582, appunto il 13 dicembre ma al tempo in cui visse Lucia si seguiva il calendario giuliano in cui il 13 dicembre coincideva con il solstizio d’inverno che poi fu spostato al 21 o 22 dicembre.
Tra i devoti più illustri di santa Lucia c’è il padre della nostra lingua italiana: Dante Alighieri. In quest’articolo-intervista ci accompagnerà il professore Armando Giardinetto, un amico per chi scrive e una ben nota firma per tanti/e lettori/lettrici de Il salto della quaglia, con cui – affascinati dagli «occhi belli» di Lucia – richiamerà, ci farà comprendere meglio i motivi, i topoi della “grazia illuminante» che santa Lucia dona allo stesso fedele Dante, alla Commedia, a noi lettori di «un libro che tutti dobbiamo leggere» (Borges). Un viaggio nel quale il professore Armando Giardinetto ci farà conoscere meglio l’unità del clima culturale, ma anche spirituale, che nel Medioevo unisce Occidente e Oriente, il mondo arabo-persiano e quello latino-cristiano. Un’unità che più che in ogni altro ambito si incastona nella Letteratura.
D.: Professore Armando Giardinetto, ci rammenti la storia perché Dante è un fedele, un devoto di santa Lucia, la santa dagli «occhi belli»?
R.: Innanzitutto permettimi di ringraziarti per questa opportunità giacché parlare di Dante fa sempre bene allo spirito soprattutto in questi giorni che precedono il Natale, sentimento che noi italiani sentiamo seriamente. Permettimi anche di dirti che sono molto contento che riusciamo ogni tanto a collaborare e a scambiarci opinioni sulla nostra meravigliosa letteratura e per me questo, lo sai, è molto importante. Dunque, per rispondere alla tua domanda, un culto molto antico vuole santa Lucia come la patrona della vista. Allora mi viene in mente la locuzione latina “Nomen omen” proprio perché, come dicevi pure tu poc’anzi nella presentazione dell’intervista, il nome della santa deriva dal latino – lux – che significa luce, nella fattispecie, la luce degli occhi, cioè la vista. Santa Lucia, alla quale durante il martirio vennero cavati gli occhi, viene ricordata nel calendario liturgico il 13 dicembre ed è una santa molta amata in tutta Italia sin dai primi secoli dopo la sua morte. Per esempio, a Napoli, mia adorata terra natale, precisamente al Borgo marinaio di Santa Lucia, un antichissimo santuario in suo onore venne fondato – raccontano le leggende – da una nipote dell’imperatore Costantino anche se le prime certificazione del luogo sono attestate al IX secolo. I napoletani sono molto affezionati alla Santa protettrice degli occhi, anche mia nonna era una devota di santa Lucia e ha saputo trasmettere questa sua devozione a mia madre, alle mie zie e a noi suoi nipoti. Un altro esempio bello legato al culto è quello che avviene nel Nord-Italia tra la notte del 12 e il 13 dicembre quando i bambini vanno a letto nella speranza che Lucia passi e lasci un regalo per loro: una sorta di festa dell’Epifania. Santa Lucia era molto venerata anche nel medioevo e il Sommo Poeta ebbe con lei un rapporto assai rassicurante che ci rivela in due delle sue grandiosi opere letterarie: Convivio e Divina Commedia. Già il figlio di Dante, Jacopo di Durante degli Alighieri, nonché primo commentatore della grandiosa Opera paterna, ci riferisce che il padre riservava per Santa Lucia una “somma venerazione”. Ciò ci viene confermato da Grazioli Bambaglioli – cancelliere bolognese del ‘300, scrittore e anch’egli commentatore della Commedia. Il motivo di questa grande devozione per la santa siracusana ce lo racconta lo stesso Dante nel suo Saggio. Infatti il Sommo Poeta, nel Convivio (1304-1307), al capitolo IX, 14-15 del III trattato, ci racconta di aver avuto, intorno ai trent’anni, un grave problema alla vista causato dalla prolungata lettura dei testi. Fu costretto, secondo gli usi terapeutici dell’epoca, a portare le bende e a stare in una camera fredda per 6-8 mesi: “E questo è quello per che molti, quando vogliono leggere, si dilungano le scritture dalli occhi, perché la imagine loro vegna dentro più lievemente e più sottile; e in ciò più rimane la lettera discreta nella vista; e però puote anche la stella parere turbata. E io fui esperto di questo l’anno medesimo che nacque questa canzone, che per affaticare lo viso molto a studio di leggere, in tanto debilitai li spiriti visivi che le stelle mi pareano tutte d’alcuno albore ombrate”. Probabilmente si sarà trattato, dicono gli esperti moderni, di astenopia di cui i sintomi sono offuscamento della vista; occhi secchi; cefalea, nausea e perdita del senso di equilibrio; proprio per questo motivo Dante si vota a Santa Lucia per chiederle di intercedere presso Dio affinché potesse ricevere la grazia della guarigione dalla sua infermità agli occhi. Le allusioni alla Santa protettrice della vista nella Divina Commedia sono diverse; il Sommo Poeta, per fare un esempio, nel Purgatorio, al Canto XXVI, v.58., scrive che compie il viaggio “per non essere più cieco”. Pertanto, si può certamente dire che Lucia diventa una delle tre donne – insieme alla Madonna e a Beatrice – protettrici di Dante Alighieri lungo la sua peregrinazione nell’oltretomba ed è proprio la Vergine Maria a dichiarare che Dante è un suo fedele: “Questa chiese a Lucia in suo dimando e disse: – Or ha bisogno il tuo fedele di te, e io a te lo raccomando” (Inferno II, vv. 97-99).
D.: Santa Lucia è una delle figure, donne-chiave nella Commedia. Ci spieghi meglio perché la figura di santa Lucia nella Divina Commedia, fin dai suoi primo commentatori, è apparsa, rappresenta il simbolo della «grazia illuminante» e l’«occhio dell’anima»?
R.: Pima di tutto va detto che nella Divina Commedia la santa protettrice degli occhi viene citata varie volte da Dante che, fedele profondamente grato a Lucia per essere guarito per sua intercessione, le dimostra moltissima ammirazione. Lucia, in qualità di vergine e martire, diventa per Dante – così come per ogni cristiano – quella luce che illumina la via da percorrere per arrivare a Cristo, pertanto “grazia illuminante” in quanto “Lucia lucens”. La prima volta che si parla di lei è, come dicevo prima, nell’Inferno al Canto II, vv. 97-108: la Vergine Maria dice a Lucia di andare in soccorso a Dante che si trova smarrito nella «selva oscura», quindi la santa si rivolge immediatamente a Beatrice dicendole che il suo amato era in pericolo e che necessitava del suo aiuto in quanto anima caritatevole e degna per quella missione celeste. A sua volta Beatrice scende nel Limbo e, piangendo, si rivolge a Virgilio che andrà a soccorrere Dante nella selva e lo accompagnerà nei primi due regni dell’oltretomba. La seconda volta che santa Lucia viene citata è nel Purgatorio, al Canto IX, vv. 55-57: questa volta è la stessa Lucia che arriva al cospetto di Dante – il quale si è addormentato sul letto di fiori nella valletta dei Principi negligenti incavata sul fianco del monte dell’Antipurgatorio difficilissimo da scalare, anzi impossibile farlo senza luce – si presenta e prende tra le sue braccia il Poeta per condurlo in alto davanti alla porta del Purgatorio dandogli modo di iniziare il percorso della purificazione: “Venne una donna, e disse: “I’ son Lucia; lasciatemi pigliar costui che dorme; sì l’agevolerò per la sua via”. Dante, ormai sveglio, verrà a conoscenza dell’accaduto grazie al racconto del suo Maestro colpito da “li occhi suoi belli” (v. 62), chiaro e ulteriore segnale della devozione dantesca per Lucia. Nel Purgatorio, inoltre, il Sommo Poeta racconta che, mentre dormiva, vide un’aquila in sogno che andava a prenderlo per portarlo sul sacro e mitologico Monte Ida; ebbene la scena è facilmente accostabile ai sopraccitati vv. 55-57: “In sogno mi parea veder sospesa un’aguglia nel ciel con penne d’oro, con l’ali aperte e a calare intesa; ed esser mi parea là dove fuoro abbandonati i suoi da Ganimede… Poi mi parea che, poi rotata un poco, terribil come folgor discendesse, e me rapisse suso infino al foco”. Proprio per questo Lucia diventa anche il simbolo della giustizia rappresentata dal volatile ex emblema imperiale. La santa viene chiamata in causa per la terza volta nel Paradiso, al Canto XXXII, vv. 136-138: San Bernardo di Chiaravalle – monaco, teologo, mariologo e, oltretutto, ripristinatore del culto mariano nel XII sec. – descrive la scena paradisiaca del X cielo a Dante e gli dice che Lucia è seduta nella candida rosa dei beati di fronte ad Adamo. Ancora una volta il Poeta, per parlare della “Nimica di ciascun crudele” (Inf. II, v.100), mette in bocca a Bernardo parole che ci richiamano al senso della vista: “E contro al maggior padre di famiglia siede Lucia, che mosse la tua donna, quando chinavi, a ruinar, le ciglia”. Alla fine di tutto si può chiaramente ribadire che santa Lucia è per Dante Alighieri la luce della speranza che tutti i cristiani hanno bisogno soprattutto quando ci si trova smarriti nei momenti bui della vita. Santa Lucia si fa “occhio dell’anima”, il solo che riesce a guardare Cristo, conoscere e rispettare i suoi insegnamenti. L’occhio dell’anima è pertanto la fede che ci fa riconoscere l’amore del Creatore per la sua creatura.
Intanto è bene ricordare – così come mia nonna Carmela faceva con me – che è appena passata la notte del 12 dicembre, quella più lunga e più tenebrosa di tutto l’anno; dalla prossima notte – quella di santa Lucia – le giornate si faranno sicuramente più lunghe e luminose.
D.: In quest’ultimo periodo caratterizzato da una «pace finita» (Lucio Caracciolo) quale speranza, Provvidenza, «grazia illuminante» la Letteratura può offrire a noi che siamo nel mezzo del cammin di nostra vita (Inferno, I,)? Nella tua azione-ricerca-vocazione all’insegnamento della lingua e cultura italiana quale «dono di salvezza», laico e/o cristiano, offri fin dall’appello agli studenti e alle studentesse?
R.: Francesco Petrarca ebbe con i libri una relazione veramente molto intensa, infatti, diceva: “I libri dilettano nel profondo, parlano, consigliano e sono strettamente legati a noi da una sorta di viva e penetrante familiarità, e non solo ciascuno si insinua nel suo lettore, ma gli suggerisce anche il nome di altri e l’uno provoca il desiderio dell’altro”. Credo fermamente che sia molto importante conoscere e amare la letteratura, ma purtroppo non sempre i nostri ragazzi mostrano interesse rispetto a questo. Tuttavia, la letteratura è esperienza di vita; è il modo per conoscere le nostre radici, la nostra cultura e quella degli altri; ci aiuta a esprimerci meglio; ci aiuta a capire come è andato e come va il mondo, come si relazionano le diverse società e ci suggerisce che esistono numerosi punti di vista ognuno valido a modo suo e bene si sa che la condivisione della nostra idea con quella dell’altro è veramente molto importante per la nostra crescita personale. La letteratura, inoltre, stimola l’intelligenza e ci aiuta a vivere la nostra vita con più coscienza. Oggi per fortuna moltissimi insegnanti portano in classe una letteratura scorrevole, attraente, appassionante, che incuriosisce, non immobile, non noiosa, ma che riesce a cattura l’attenzione delle nostre studentesse e dei nostri studenti. Come scrissi in un mio articolo sulla filologia qualche tempo fa, se riusciamo a portare nelle nostre aule una letteratura piacevole e dinamica, certamente guadagneremo qualche studente o studentessa in più che “tombe amoureuse” delle humanae litterae e, se questo accade, la scuola gioisce. Oggi come oggi la tecnologia viene in aiuto ai docenti che vogliono mostrare agli allievi uno studio letterario non solo fatto di libri di testo, ma caratterizzato anche da siti interattivi, certificati e autorevoli, che mostrano manoscritti, le tradizioni, le illustrazioni, i primi testi a stampa. Spesso però per i nostri studenti studiare la letteratura non ha senso, per loro significa solo imparare delle date storiche a memoria, qualche verso poetico e lo stile della lingua senza sapere che lo studio delle lettere li mette in relazione con la modernità: che cosa è cambiato da allora a oggi? Qual è stata l’evoluzione della lingua? Quali sentimenti provavano i poeti e gli scrittori di quel tempo e quanti di questi ancora oggi sono vivi e quanti appassiti? Che persona sono rispetto a ciò che leggo e che ruolo sociale ricopro? Come posso dare il mio contributo alla giusta causa delle società? Questa sono le domande che gli allievi devono porsi.
Io, come tu ben sai, prima di essere un insegnate di lettere, nasco professionalmente come insegnante di italiano lingua seconda e per me è molto importante, quando mi trovo davanti ai miei studenti stranieri, venire a conoscenza della loro cultura, delle loro usanze, della loro letteratura che il mezzo principale di cui mi servo per cercare di entrare a capofitto in quella determinata cultura. Alla prima lezione dei miei corsi di italiano L2, durante la presentazione, chiedo sempre alle mie studentesse e ai miei studenti – quando il livello linguistico-comunicativo me lo permette – qual è l’autore principale della loro letteratura. Spesso e volentieri porto in classe – durante i corsi di italiano L2 per studenti di seconda generazione di livello linguistico-comunicativo intermedio-alto – un testo della nostra letteratura naturalmente riadattato per l’occasione, e con mia grande sorpresa scopro che i ragazzi si appassionano. L’anno scorso, per fare un esempio, portai in classe il primo capito riadattato di “Marcovaldo” di Italo Calino. Credo, e con questo vi saluto, che lo studio della letteratura sia necessario per i nostri ragazzi. Con lo studio della letteratura essi potranno trarne dei benefici su tutti i fronti: scoprire il piacere della lettura; apprendere cose nuove; imparare a relazionarsi con l’altro; avere la consapevolezza del presente e del futuro, imparando dagli errori commessi in passato; formarsi come persona con valori morali e civili; essere consapevole che le diversità sono una ricchezza e non sintomo di povertà. Pertanto, in questo senso la letteratura è “grazia illuminante” per la vita dei nostri giovani che saranno le donne e gli uomini di domani. Tuttavia, questo dipende molto anche dagli insegnanti che – come scrisse lo scrittore americano William Arthur Word – non devono solo dire o spiegare, ma soprattutto devono ispirare.