Che cos’è l’amor? Chiedilo al vento, all’amaca gelata, alla guardarobiera nera. Oppure chiedilo a due rispettabilissimi e temutissimi boss di Cosa Nostra. Rozzi, ignoranti e violenti? No. Raffinati, colti e sentimentali.
Ma guai a sgarrare con loro. Perché in fin dei conti sempre pezzi da novanta sono, superiori a tutto e a tutti. Simili agli dei.
È la geniale trovata partorita dalla fervente mente di Adriano Meis per trattare in modo del tutto originale un tema universale come l’amore nell’ultimo suo libro Dialoghi. Il convivio dei due sapienti. Più uno (Spazio Cultura edizioni, 10 euro), con la postfazione di Giuseppe Savagnone.
Protagonista principale è l’amore, il fil rouge che lega gli interpreti, in carne e ossa ma anche no. L’amore che scorre da pagina a pagina come un fiume in piena e finisce col depositare i suoi detriti: passione, sesso, vita, morte e ogni umana sensazione, il tutto innaffiato da buon vino. E poi c’è il cibo. Dove c’è l’amore c’è anche il cibo. Cibo e amore (e, per estensione, cibo ed eros) non possono che andare a braccetto. D’altronde, per la cornice in cui si svolge l’intera storia, l’autore si ispira liberamente al più celebre Simposio di Platone. Il menù è di tutto rispetto e descritto così bene che dalle pagine sembra di sentire gli odori: dalla pasta con le anciove agli anelletti al forno, dal tonnetto arrostito alle cozze scoppiate e ai cappuccetti fritti passando per le mezze maniche ai pomodorini, olive e capperi fino agli immancabili cannoli preparati al momento, caffè e ammazzacaffè.
I profumi e i sapori sono quelli di Palermo, la città dove si svolge il racconto. Perché Palermo? Perché i palermitani s’annacano, direbbe Meis, proprio come i due fratelli mafiosi ma allitrati, direbbe ancora Meis.
Due fratelli , due capimafia, che ricordano i Duke di Una poltrona per due. Se i ricchissimi e annoiati fratelli di Filadelfia usavano come cavie un giovane in carriera e un povero cristo per scoprire se è l’ambiente o la persona stessa a decidere il destino di un essere umano, i due fratelli palermitani, invece, giocano con qualcosa di assai più delicato e rischioso: l’amore. E srotolano subito sul tavolo le loro contrastanti tesi: spontaneità dettata dalla carne oppure l’amore è solo idea? Il malcapitato questa volta è un taverniere piccolo piccolo, “tascio e ignorante”, ossequioso e deferente nei confronti dei boss, cuoco autodidatta, marito fedele fin quando i due fratelli buontemponi decideranno di tirargli un brutto scherzo, giocando con i suoi sentimenti. Il poveretto perderà la testa per una donna conosciuta “per caso” (“credo di essermi fottuto il cervello …”) e si ritroverà pure disposto a morire nel corso di un turbinio di eventi che qui è opportuno non svelare.
Ma alla fine chi avrà ragione in quella disputa sull’amore? E’ una questione di carne o di testa? E se ci fosse un’altra spiegazione? E se la verità sull’amore la conoscesse invece proprio un tascio? Perché l’amore non guarda in faccia nessuno e coinvolge tutti, senza distinzioni di sesso, razza, religione o titolo di studio. Lo spiega Meis in un passaggio, forse uno dei più belli del libro, e che merita invece di essere subito rilevato. Osando addirittura mettere in discussione la celebre poesia del Principe Antonio De Curtis, in arte Totò, l’autore afferma: “ … l’amore mette tutti sullo stesso piano, proprio tutti. La livella non è la morte … è l’amore”.
Dialoghi, l’amore secondo Adriano Meis, merita di essere letto, e consultato all’occorrenza in caso di dubbi e perplessità sull’amore. Con l’avvertenza che sin dalle prime pagine una domanda comincerà a risuonare ripetutamente in testa: ma chi sono davvero quei due fratelli?