Il 7 giugno 2008 muore all’età di 91 anni un autore molto amato dal pubblico ma meno apprezzato da certa critica poco propensa a valorizzare la commedia. Dino Risi è il poeta della piccola umanità, autore di garbate commedie all’italiana che scavano con ironia nei vizi indelebili della nostra gente. Risi non ama la definizione di commedia all’italiana e si considera un regista di commedie tout court, ma l’accezione non va intesa in senso negativo. La commedia all’italiana è qualcosa di più specifico rispetto alla commedia, perché rende minima la distanza tra comico e tragico. Un film comico puro è la farsa, cinema senza pretese che racconta eventi surreali, cose che non possono accadere nella realtà, ma finalizzate a strappare la risata grassa. La commedia all’italiana presenta elementi drammatici in misura superiore rispetto alla media delle normali commedie e non è obbligatorio che abbia un lieto fine.
Dino Risi (Milano, 1917 – Roma, 2008) si laurea in medicina, ma si interessa di cinema come critico e aiuto regista, nel dopoguerra realizza alcuni documentari e un ottimo corto come Buio in sala (1948), su un rappresentante depresso che grazie alla visione di un film si tira su di morale e affronta con grinta la vita. Il corto costa duecentomila lire e Carlo Ponti lo acquista per due milioni, cosa che convince Risi ad abbandonare la carriera di psichiatra per dedicarsi al cinema. Lavora con Lattuada e Steno come sceneggiatore e debutta con Vacanze col gangster (1952), pellicola sulle avventure infantili. Risi si presenta come poeta della piccola umanità, regista che ama fotografare i comportamenti della povera gente e i difetti umani. Il suo cinema non è lontano dalla lezione neorealista, anche se si tratta di neorealismo rosa che si presenta sotto forma di commedia. Il suo primo successo è Pane, amore e… (1955), sequel di Pane, amore e fantasia e Pane, amore e gelosia di Luigi Comencini, pellicole manifesto della stagione del neorealismo rosa. Vittorio De Sica interpreta ancora il maresciallo Carotenuto, mentre il ruolo femminile passa da Gina Lollobrigida a Sophia Loren. Poveri ma belli (1956) è ancora un successo realizzato in economia che genera due sequel come Belle ma povere (1957) e Poveri milionari (1959). Il cinema italiano degli anni Cinquanta realizza storie consolatorie, commedie rosa che dipingono il mondo in maniera stereotipata, dove i poveri sono sempre buoni e romantici. Dino Risi segue la moda e asseconda i gusti di un pubblico che va al cinema per dimenticare i problemi e per sognare ciò che nella vita reale non può avere. Venezia, la luna e tu (1958), interpretato da Alberto Sordi e Nino Manfredi segue un canovaccio simile e si basa su due attori che fanno da mattatori. Dino Risi lavora con molti grandi interpreti comici e predilige Alberto Sordi, Nino Manfredi e Vittorio Gassman. Il vedovo (1958) è un piccolo capolavoro, una commedia nera che Sordi interpreta accanto alla bravissima Franca Valeri, moglie ricca da eliminare per diventare padrone e decidere senza una presenza ingombrante. Risi comincia a fare satira di costume mettendo alla berlina gli italici vizi, leitmotiv della produzione successiva. Il mattatore (1959) con Vittorio Gassman è un altro film interessante che porta l’attore al successo cinematografico.
Dino Risi realizza i suoi film migliori negli anni Sessanta, quando diventa autore originale della commedia all’italiana.
Una vita difficile (1961) è un eccellente affresco del dopoguerra italiano che punta il dito sul clima di opportunismo politico e di stagnazione intellettuale. Sordi è un ex partigiano collaboratore di un giornale di sinistra, cerca di mantenere anche nella vita una coerenza politica, ma non è facile. Il regista mostra la caduta negli inferi di un personaggio positivo, che finisce in miseria, si trova in galera e viene abbandonato dalla moglie. Il riscatto e la riconquista della moglie arrivano soltanto quando accetta di diventare segretario di un uomo che aveva denunciato come esportatore di capitali. Un finale eclatante vede Sordi ribellarsi alle umiliazioni del datore di lavoro che getta in piscina con uno schiaffone memorabile. Il futuro è accanto alla sua donna (Lea Massari) e può affrontare con la vecchia coerenza ciò che verrà. Rodolfo Sonego firma una delle sceneggiature più belle della sua carriera e Alberto Sordi interpreta un eroe positivo raccontato in chiave grottesca, senza concessioni alla retorica.
Il sorpasso (1962) è un film epocale che vede la coppia Gassman – Trintignant fare i vitelloni sul lungomare di Castiglioncello a bordo di una spider. Una commedia dolce – amara senza lieto fine dove a finir male è proprio il personaggio positivo, l’intellettuale che nella vita avrebbe potuto fare qualcosa di buono, mentre il cialtrone salva la pelle. I mostri (1963) con Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman è una satira graffiante della società italiana condotta su un registro eccessivo e con lampi di comicità surreale. Dino Risi con stile semplice, lineare ed essenziale racconta un’Italia piena di difetti e con poche virtù, immortala gli anni del boom e confeziona una galleria di mostri prodotta dal sonno della ragione. È interessante anche la critica alle vacanze dei ricchi messa in atto ne L’ombrellone (1965), interpretato da Enrico Maria Salerno e Sandra Milo. Risi è ancora più cattivo che ne I mostri, dipinge con durezza la cafonaggine italiana fatta di voglie basse, vuoto morale e volgarità. Operazione San Gennaro (1966) è un film dalla fotografia stupenda girato in una Napoli non artefatta, interpretato da Totò e Manfredi per dimostrare la diversità tra il tecnicismo statunitense e l’arte di arrangiarsi napoletana. Ugo Tognazzi (muto per tutto il film) è preso come emblema per una satira al fotoromanzo in Straziami, ma di baci saziami (1966). Risi gira molti film a episodi, genere nel quale è un maestro e un innovatore, ma il più interessante è Vedo nudo (1969), che affronta il tema della sessualità dopo il Sessantotto e anticipa molte tematiche della commedia sexy. Nino Manfredi interpreta sette personaggi diversi. La diva è il primo episodio con protagonista femminile un’affascinante Sylva Koscina che fa innamorare tutti i medici di un ospedale dopo aver accompagnato un ferito. Processo a porte chiuse vede Manfredi nei panni di uno stupratore di una gallina provocatrice, ma c’è anche Nerina Montagnani. Ornella: ovvero la doppia vita è un film sul mondo dei gay visto in maniera farsesca e interpretato da Nino Manfredi ed Enrico Maria Salerno. Il guardone è tutto concentrato su Manfredi che è così miope da scambiare un gioco di specchi per una donna nuda. La protagonista femminile de L’ultima vergine è Veronique Vendell, che scambia un tecnico dei telefoni per uno stupratore. Motrice mia è ancora tutto su Manfredi che ama più le locomotive della moglie. L’ultimo episodio – Vedo nudo – dà il titolo al film ed è interpretato da Nino Manfredi, Umberto D’Orsi, Marcello Prando e John Karlsen. Un pubblicitario vede nude tutte le donne che incontra, accetta di farsi curare, ma il rimedio è peggiore del male perché finisce per vedere gli uomini senza vestiti. La nota lieta del film è Nino Manfredi, bravissimo a cambiare volto in sette diverse interpretazioni. Dino Risi inaugura la sua attenzione nei confronti della commedia erotica con un film che sbanca il botteghino, non entusiasma la critica, ma comincia a focalizzare le tematiche sessuali. La sceneggiatura è di Iaia Fiastri e Ruggero Maccari, che elaborano soggetti di Maccari, Risi, Fabio Carpi e Bernardino Zapponi.
Il giovane normale (1970) è la storia di un povero autostoppista milanese che si trova a fare l’autista a tre americani che girano il Mediterraneo. Non si tratta ancora di commedia erotica, ma la presenza nel cast di una disinibita Janet Agren che non disdegna qualche rapido nudo ci ricorda che il periodo è vicino. Lino Capolicchio è l’antipatico protagonista di una storia tratta da un romanzo di Umberto Simonetta, sceneggiata da Ruggero Maccari e Maurizio Costanzo. La moglie del prete (1970) è un film modesto che spreca due grandi interpreti come Sophia Loren e Marcello Mastroianni per una storia esile e dal fiato corto scritta e sceneggiata da Risi, Maccari e Zapponi. La storia è vecchia e risaputa: una giovane donna tenta il suicidio, si innamora del prete che l’ha confortata e alla fine prova a fargli abbandonare i voti. Il film, ambientato nella cattolica Padova, manda in bestia i clericali. Noi donne siamo fatte così (1970) è una modesta commedia in dodici episodi costruita su Monica Vitti che interpreta un numero incredibile di personaggi femminili. Nel cast troviamo Enrico Maria Salerno e Carlo Giuffrè che collaborano alla confezione di una serie di situazioni comiche scritte e sceneggiate da Scola, Sonego, Age e Scarpelli. In nome del popolo italiano (1971) è una bella commedia piena di personaggi negativi in cerca di redenzione, scritta e sceneggiata da Age e Scarpelli per criticare la regola del profitto a ogni costo. Gli interpreti sono Ugo Tognazzi (giudice integerrimo), Vittorio Gassman (un viscido Lorenzo Santenocito), Simonetta Stefanelli, Ely Galleani, Yvonne Furneaux, Michele Cimarosa, Enrico Ragusa e Mario Maranzana. Il film si ricorda come un momento importante per la liberalizzazione dei costumi, perché dà il via libera alle prime realistiche parolacce sul grande schermo.
Il grande successo ottenuto da Malizia (1973) di Salvatore Samperi convince Dino Risi a dirigere Laura Antonelli in una divertente commedia erotica a episodi come Sessomatto (1973), dove la bella attrice è protagonista insieme a un ottimo Giancarlo Giannini. La pellicola registra anche la presenza di attori come Duilio Del Prete, Paola Borboni e Alberto Lionello. Sessomatto è un piccolo capolavoro di erotismo malizioso dove Laura Antonelli si guadagna la palma di icona erotica di un’intera generazione. Negli episodi vediamo un cameriere che sveglia la padrona scopandola (Signora sono le 8), due amanti poveri che sfornano figli in continuazione (Due cuori una baracca), un avvocato gerontofilo (Non è mai troppo tardi), uno sposo che riesce a fare l’amore solo in ascensore (Viaggio di nozze), una prostituta truccata da moglie (Torna piccina mia), una suora che incoraggia un donatore di sperma (Lavoratore italiano all’estero), una siciliana che si vendica del marito (Vendetta), un travestito innamorato (Un amore difficile) e una coppia che si eccita esibendosi (L’ospite). Gli episodi sono sceneggiati da Ruggero Maccari, risultano molto rapidi e certe situazioni potevano essere meglio approfondite, ma il film si ricorda soprattutto per la fantastica presenza di Laura Antonelli nei panni di una sexy suora vestita di bianco e di una padrona che ama farsi scopare dal servitore. Laura Antonelli sta diventando il simbolo erotico italiano, per questo motivo Dino Risi e la produzione mettono in piedi un’intelligente operazione commerciale che focalizza l’attenzione sui momenti sexy.
Mordi e fuggi (1973) è un lavoro di scarso interesse interpretato da Marcello Mastroianni e Carole Andrè, prigionieri di una banda di terroristi in fuga. Il regista vuol dimostrare che la vera violenza è quella della polizia, ma i personaggi sono poco credibili.
Profumo di donna (1974) è una commedia tratta da Il buio e il miele di Giovanni Arpino, adattata da Risi e Ruggero Maccari, sospesa tra patetico e umorismo nero, interpretata da Vittorio Gassman, Agostina Belli, Alessandro Momo, Moira Orfei e Franco Ricci. Il regista racconta la storia di un ufficiale diventato cieco dopo un incidente che rifiuta la pietà degli altri indossando una maschera da cinico donnaiolo. In realtà soffre e pensa di uccidersi, ma saranno un soldato (Momo) che l’accompagna in un viaggio da Torino a Napoli e l’amore di una ragazza (Belli) a fargli cambiare idea. Gassman è bravissimo e si aggiudica la Palma d’Oro a Cannes come miglior interprete. Il film gode di un pessimo remake statunitense uscito nel 1992 con il titolo Scent of a Woman – Profumo di donna, interpretato daAl Pacino e diretto da Martin Brest. Telefoni bianchi (1976) è una farsa poco riuscita ambientata ai tempi del fascismo, interpretata da Agostina Belli nei panni di una cameriera che diventa attrice con il nome di Alba Doris. Sceneggiatura di Risi, Zapponi e Maccari, ma il film non convince per difetti di rappresentazione storica e superficialità, nonostante un buon cast che vede la presenza di Cochi Ponzoni, Vittorio Gassman, Maurizio Arena, Ugo Tognazzi, Renato Pozzetto, Alvaro Vitali, William Berger e Marcello Fusco. Un altro romanzo di Giovanni Arpino è alla base del drammatico Anima persa (1976), interpretato da Vittorio Gassman e Catherine Deneuve, fotografato da Tonino Delli Colli in una Venezia sporca e popolata da strani personaggi. Il film ha la caratteristica di un gotico ma la costruzione del personaggio di un pedofilo invecchiato è molto intensa e Gassman regala un’interpretazione da manuale.
Alla fine degli anni Settanta ricordiamo un tentativo compiuto da Dino Risi per rivitalizzare la commedia all’italiana a episodi – insieme a Mario Monicelli ed Ettore Scola – con I nuovi mostri (1977). Si tratta di quattordici brevio episodi che hanno come tema le meschinità dell’italiano medio, quindici ani dopo il grande successo de I mostri. Gli attori sono bravi, ma il film non colpisce nel segno e resta un’insieme di brevi parodie con poco spessore. Vera e propria metafora della fine della commedia all’italiana, anche per l’episodio finale (Elogio funebre) interpretato da Alberto Sordi che guida alcuni comici di varietà a improvvisare uno sketch davanti alla bara di un collega. Il film viene fatto per raccogliere fondi per pagare le cure mediche allo sceneggiatore Ugo Guerra: registi, attori e sceneggiatori (Age, Scarpelli, Maccari, Zapponi e Scola) non chiedono compensi. La versione originale del film è una rarità, perché molti episodi sono stati massacrati dalla censura (Pornodiva) e in alcuni casi eliminati (Il sospetto). Tra gli attori: Alberto Sordi, Ornella Muti, Ugo Tognazzi, Gianfranco Barra, Nerina Montagnani, Eros Pagni, Yorgo Voyagis e Vittorio Gassman. Nel 2009 Enrico Oldoini tenta di riproporre la stessa formula con il pessimo e inutile (anche dal punto di vista economico) I mostri oggi. La stanza del vescovo (1977)è una buona commedia interpretato da Ornella Muti e Ugo Tognazzi, che si ricorda per la presunta storia d’amore tra i due attori pubblicizzata dalla stampa rosa. Il film è tratto da un ottimo romanzo di Piero Chiara (che partecipa alla sceneggiatura) ed è ambientato a Luino sul Lago Maggiore. Tognazzi è un marito succube della moglie (Gabriella Giacobbe) che si innamora della bella cognata (Muti) e si fa aiutare dall’amico Marco Maffei (Patrick Dewaere) per gli appuntamenti galanti che si tengono a bordo della sua barca. A un certo punto la moglie di Tognazzi viene trovata morta e l’amico comprende di essere stato usato. Il film è fedele al romanzo di Chiara e gli sceneggiatori De Bernardi e Benvenuti sono bravi a ricreare l’atmosfera cinematografica. Tognazzi è grande come sempre quando si tratta di interpretare personaggi meschini e patetici, coinvolto nelle sue passioni erotico – culinarie. La Muti non si lascia fotografare spesso senza veli, ma il film riscuote un successo di pubblico notevole e in parte segue i canoni convenzionali della commedia erotica. Primo amore (1977) è un’altra commedia dove Ornella Muti è la servetta Renata che si lega al vecchio attore Picchio (Ugo Tognazzi), ospite di una casa di riposo per anziani artisti. Renata vorrebbe fare la soubrette e scappa con l’anziano amante che vagheggia un impossibile ritorno al lavoro. Un buon film, velato di nostalgia per il passato e per un mondo che non c’è più, dotato di alcuni momenti erotici e di molte citazioni colte (L’angelo azzurro). Caro papà (1979) è un film apocalittico sul terrorismo che prende in considerazione il rapporto genitori – figli, interpretato da Vittorio Gassman, Stefano Madia, Aurore Clément e Lory Del Santo. Sceneggiatura di Risi padre, Zapponi e del figlio Marco, ma per fortuna la profezia di un’Italia che va verso l’autodistruzione non si realizza. I seduttori della domenica (1979) interessa la produzione di Dino Risi solo per l’episodio Roma, interpretato da Ugo Tognazzi, Sylva Koscina, Rossana Podestà e Beba Loncar, che non sarà un lavoro memorabile ma è pura commedia erotica. Risi narra le vicende di un marito che in assenza della moglie tira fuori la vecchia agendina con gli indirizzi di alcune amiche del passato per passare un po’ di tempo in piacevole compagnia. Non avrà successo. Gli altri episodi sono Londra (Bryan Forbes), Parigi (Edouard Molinaro) e Los Angeles (gene Wilder).
Negli anni Ottanta Risi gira alcuni film commerciali, meno ispirati.
Sono fotogenico (1980) con Renato Pozzetto, Edwige Fenech e Aldo Maccione è una satira pungente al mondo del cinema che sfrutta la popolarità dell’attore milanese. Sesso e volentieri (1982) rappresenta un tentativo fallito per riesumare un genere estinto come quello della commedia sexy a episodi. Parleremo di questi due film in maniera approfondita nei capitoli successivi.
Tra i lavori degli anni Ottanta ricordiamo il romantico Fantasma d’amore (1981), interpretato da Marcello Mastroianni e Romy Schneider. Il film è una sorta di gotico al’italiana fuori tempo massimo, ispirato al romanzo omonimo di Mino Milani, sceneggiato dal regista con la collaborazione di Bernardino Zapponi. Tra le nebbie di una Pavia misteriosa riemerge la figura di una donna morta per una crudele malattia, che un maturo commercialista ha amato in giovinezza. Si riaccende la passione in un crescendo di spiritismo, apparizioni e parapsicologia. Un film insolito per Dino Risi, ma molto curato da un punto di vista tecnico e da ricordare per un’ottima fotografia di Tonino Delli Colli. Risi si concede una parentesi televisiva con lo sceneggiato (non si chiamavano ancora fiction) E lavita continua, trasmesso su Rai Uno, da domenica 1 aprile 1984, in prima serata. Sceneggiatura del regista che collabora con Bernardino Zapponi e Giorgio Arlorio. Tra gli interpreti una parata di bellezze femminili: Virna Lisi, Clio Goldsmith, Sylva Koscina, e Valeria d’Obici. Non mancano gli uomini: Jean Pierre Marielle, Vittorio Mezogiorno, Tino Scotti, Philippe Leroy, Tobias Hoesl e Mario Marenco. Si tratta di otto episodi formato telenovela che dovrebbero essere la risposta italiana a Dallas, per raccontare la saga di una ricca famiglia brianzola nell’arco di trent’anni. Dagobert (1984) è un film in costume interpretato da Ugo Tognazzi, Coluche, Carole Bouquet, Isabella Ferrari, Moana Pozzi e Michel Serrault. Non male il cast femminile, ricordiamo soprattutto la presenza di Moana Pozzi e la bellezza discinta di Carole Bouquet. Il film racconta le gesta del re dei Franchi ucciso dai congiurati mentre tenta di rimettere sul trono il legittimo pontefice. Un apologo grottesco sul potere che ricalca i meccanismi della commedia all’italiana e per questo non mancano diverse sequenze di nudo. Ottimi i costumi d’epoca e le scenografie di Dante Ferretti. Scemo di guerra (1985) è una commedia ambientata nel periodo della seconda guerra mondiale, ispirata a Il deserto di Libia di Mario Tobino. Interpreti principali sono Beppe Grillo, Colouche, Bernard Blier, Fabio Testi, Claudio Bisio, Franco Diogene e Sandro Ghini. Niente più che una farsa, scritta insieme ad Age e Scarpelli, che tralascia il lato drammatico della guerra per cercare di mettere in primo piano i meccanismi della commedia all’italiana.
Risi dirige anche Lino Banfi nel farsesco Il commissario Lo Gatto (1986) che vede interpreti anche Maurizio Ferrini, Maurizio Micheli, Isabel Russinova, Galeazzo Benti e Licinia Lentini. Il commissario Natale Lo Gatto viene spedito per punizione in Sicilia, presso il commissariato di Favignana, dove tenta di risolvere il mistero di un omicidio nel mondo della prostituzione. Ci sono elementi di commedia sexy, non solo per la presenza di Banfi, Russinova e Lentini, ma soprattutto per i numerosi nudi integrali, le battute grevi e la leggerezza di certe situazioni. Risi sceneggia insieme a Enrico Vanzina un giallo balneare con un po’ di satira politica che sbeffeggia i vizi erotici di Craxi e la brama di potere di Andreotti. Banfi è molto bravo, sforna il suo repertorio consueto e duetta da par suo con l’ottimo Micheli. Non riscuote alcun successo al botteghino.
Teresa (1987) interpretato da Serena Grandi e Luca Barbareschi è un flop totale, sia di critica che di pubblico, una commedia rosa scadente che vede protagonisti due camionisti per niente credibili e davvero modesti come attori. Serena Grandi si innamora di Luca Barbareschi dopo aver evitato le attenzioni di molti altri colleghi, ma il solo elemento di interesse sono alcuni ammiccanti nudi parziali della bella attrice. Teresa è la camionista con più curve d’Italia dal fascino esplicito e il film – scritto niente meno che dal Premio Oscar Bernardino Zapponi – racconta le vicissitudini (anche sessuali) di una casalinga vedova che si improvvisa autotrasportatrice al posto del marito, scorrazzando per tutta l’Italia con il suo TIR, difendendosi dai creditori e respingendo la corte dei camionisti arrapati. Teresa si prende come aiutante un ragazzotto che finisce per innamorarsi di lei, ma il rapporto diventa burrascoso finché Teresa non sposa un maturo spasimante. Nel finale a sorpresa, Teresa ci ripensa e torna tra le braccia del giovane aiutante. Gran mostra di seni da parte della Grandi, lusingata per essere stata scelta da Dino Risi, ma difettano ancora dizione e recitazione.
Altra televisione per Dino Risi con Il vizio di vivere (1989), La ciociara (1989), Carla – episodio di Quattro storie di donne (1989) – e Vita coi figli (1990). Il vizio di vivere è un film per la tv, interpretato da Carol Alt, che va in onda su Canale 5, martedì 18 aprile 1989, in prima serata. Narra la vita di Rosanna Benzi, giovane donna genovese vissuta per anni in un polmone d’acciaio a causa di una grave malattia. Carol Alt interpreta una ragazza coraggiosa che nonostante le difficoltà non rinuncia a amare la vita. Lo stile è cinematografico, soprattutto per il grande ricorso al flashback per illustrare il passato della donna. Vita coi figli è uno sceneggiato che va in onda su Canale 5, in prima serata, a partire dal 28 maggio 1991. Sceneggiato da Ennio De Concini – come Il vizio di vivere – e interpretato da Giancarlo Giannini, Corinne Cléry, Monica Bellucci e Maria Moretti. La storia si sviluppa in due puntate, gode delle belle musiche di Stelvio Cipriani e rappresenta una visione superficiale dei rapporti familiari. L’ultimo grande film di Dino Risi – scritto con la collaborazione di Enrico Oldoini e Bernardino Zapponi – è Tolgo il disturbo (1990), apologo sulla vecchiaia interpretato da uno straordinario Vittorio Gassman, Dominique Sanda, Elliott Gould, Maurizio Fardo, Eva Grimaldi, Valentina Hotkamp, Monica Scattini e Firmine Richard. Augusto Scribani è un ex direttore di banca che torna a casa dopo aver passato diciotto anni in manicomio, ma tutti gli sono ostili, a parte la nipotina che lo seguirà persino in una breve fuga campestre. Un apologo sui mali della nostra società che non comprende vecchi e bambini, forse troppo sentimentale, ma interpretata con professionalità da Gassman.
Giovani e belli (1996) è l’ultima prova da regista cinematografico per Dino Risi e anche l’ultima occasione per vedere all’opera Ciccio Ingrassia come attore. Molti critici lo definiscono un fallimentare remake di Poveri ma belli (1956), ma a nostro avviso la sola cosa in comune con un capolavoro del neorealismo rosa è una vaga assonanza nel titolo. Luca (Edoardo Scatà) è un ragazzo bello, ricco e annoiato, incapace di provare nuovi entusiasmi perché ha avuto tutto dalla vita. Luca è figlio di un politico che a un certo punto finisce in galera e manda la famiglia sul lastrico. Gino (Luca Venantini), giovane borgataro romano che vive alla giornata, stringe una solida amicizia con Luca, dopo una notte passata in discoteca. I due ragazzi mollano le rispettive fidanzate, ma anche le famiglie, per andare a vivere alla periferia di Roma, in un barcone sul Tevere. Tra i due amici si inserisce il personaggio di una bella zingara, Zorilla (Anna Falchi), che si finge cieca per rubare indisturbata. La zingara abbandona il campo nomadi, va a vivere con i due ragazzi e li mette uno contro l’altro, ma finisce per sposare entrambi perché non sa decidere. Bernardino Zapponi mette la firma su una sceneggiatura sconclusionata, Dino Risi (1917 – 2008) conclude la carriera con un film da dimenticare, girato con tempi televisivi, senza un filo logico, ricco soltanto di incongruenze. Il poeta della piccola umanità, autore di garbate commedie all’italiana, ci aveva abituati a lavori originali che stigmatizzavano con ironia i vizi della nostra gente. Il regista è lontano anni luce dai suoi capolavori che fotografano i comportamenti della povera gente e i difetti umani. Una critica poco obiettiva definisce Giovani e belli come una scanzonata commedia di costume che unisce folclore gitano e vizietti italiani. Niente di tutto questo. Si tratta soltanto di un calderone di stupidità e luoghi comuni a base di approcci e amicizia tra ragazzi e ragazze. Ricordiamo citazioni a casaccio da Hermann Hesse, divagazioni nella Roma di notte, spogliarelli maschili nei night per signore, vecchi comunisti rimbambiti dopo la caduta del muro di Berlino e zingari che celebrano riti tzigani. La musica di Trovajoli è una delle poche cose da salvare, composta da un interessante mix di Roma nun fa’ la stupida stasera e una serie di orecchiabili stornelli. Carlo Croccolo si perde nella macchietta del collocatore gay, irritante come i due protagonisti, Scatà e Venantini junior, del tutto incapaci di recitare. Bravo Venantino Venantini, invece, nei panni del vecchio playboy Bubi, ormai in disarmo. Straordinario Ciccio Ingrassia, barba bianca e interpretazione intensa, tra le poche note liete del film, nei panni del re degli zingari che tenta di celebrare il matrimonio combinato di Zorilla. Finirà per sposare la bella ladruncola con i due amici, prima gelosi l’uno dell’altro, infine riconciliati dall’idea di diventare entrambi mariti di Zorilla. Anna Falchi è brava, anche se i dialoghi non l’aiutano, ma sostiene sulle sue spalle il peso di alcune sequenze da tarda commedia sexy e risolve le situazioni con freschezza e simpatia. Giovani e belli è una pellicola scadente, soprattutto perché la sceneggiatura non giustifica la grande amicizia tra i due ragazzi e neppure l’amore che Zorilla dice di provare per entrambi. Abbiamo persino lo struzzo Giuditta a rendere ancora più ridicolo il soggetto di un lavoro da dimenticare.
Per completezza citiamo i televisivi Myriam (1996) – episodio da Esercizi di stile -, Le ragazze di Miss Italia (2002) e il documentario Rudolf Nureyev alla scala (2005), firmato con il figlio Claudio. Dino Risi fa in tempo a ricevere un meritato Leone d’Oro alla carriera (2002) e l’onorificenza di Cavaliere della Gran Croce dal Presidente della Repubblica (2004). Nel 2005 pubblica la sua autobiografia, I miei mostri, edita da Mondadori. Passa gli ultimi anni della sua vita a Roma, in un albergo del quartiere Parioli, lontano dal cinema e ormai sopravvissuto a troppi amici scomparsi.
Operazione San Gennaro (1966) è un film fotografato splendidamente da Aldo Tonti, girato in una Napoli non artefatta, interpretato da Totò e Manfredi, che si sforza di dimostrare la diversità tra il tecnicismo statunitense e l’arte di arrangiarsi tutta napoletana. Terzultimo film di Totò, che presta volto e movenze a Don Vincenzo, capobastone della criminalità d’altri tempi, con un suo codice d’onore, rispettato da tutti e omaggiato persino in galera. Nino Manfredi è Dudù, erede naturale di Don Vincenzo, capo della criminalità di quartiere, gestore di piccoli furti e scippi ma niente di cruento. Berger, Guardino e Walter sono i malavitosi americani che chiedono aiuto ai colleghi napoletani per compiere il colpo del secolo: rubare i gioielli di San Gennaro, che valgono ben trenta miliardi. Dudù chiede il parere di Don Vincenzo, si consiglia persino con il santo, quindi decide di aiutare gli americani, per investire la sua parte (nove miliardi) in opere di bene a vantaggio del povero quartiere dove vive. Finale pirotecnico, tra sorprese inattese ed esplosioni che divelgono intere mura di palazzi mentre i napoletani guardano il festival della loro canzone. Una pochade ricca di colpi di scena, battute a effetto, situazioni grottesche e surreali, ai limiti della farsa, corretta al cinema di gangster.
Dino Risi dimostra tutta la sua arte cinematografica nella cura dei dettagli, soprattutto durante la prima parte, quando non pare tanto interessato alla storia, quanto a descrivere la sua Napoli, vista dagli occhi di un milanese innamorato della spontaneità meridionale. Scendiamo nelle viscere di Spaccanapoli, assistiamo al miracolo di San Gennaro, vediamo un trasporto funebre, sentiamo vibrare il cuore della città più vera, tra venditori di polpo lesso, cocomero, pizza, cozze, giocatori delle tre carte e poveri individui che vivono sui tetti. Il regista pone grande attenzione ai particolari, invita lo spettatore a guardare lo sfondo, la scenografia multicolore e variegata che compone con la macchina da presa, all’interno della quale si muovono i personaggi. Non manca una parentesi dedicata al Festival della Canzone Napoletana, con Pippo Baudo giovanissimo presentatore e pezzi canori come Ce vo’ tiempo cantata da Peppino Di Capri, Ma pecché di Iva Zanicchi, A pizza di Aurelio Fierro e Giorgio Gaber. Altra musica popolare in voga nel periodo esce da un giradischi improvvisato a bordo di un’imbarcazione, mixata con la suadente colonna sonora del maestro Trovajoli. Riprese quasi integralmente napoletane: il terrazzo di Dudù è in via Toledo 424, il banchetto di nozze dove Frank muore per indigestione di cozze viene girato a Villa Campolieto a Ercolano. La chiesa di San Gennaro è la chiesa dei Girolamini, mentre la finta statua del San Gennaro fu scolpita per il film ma è ancora conservata nella chiesa sede del set. Bravissimi gli attori, ma il vero mattatore è Nino Manfredi, in gran forma, appassionato e sincero, piccolo malavitoso che si fa cantore della povera gente, innamorato di una fidanzata che maltratta (Auger) e attratto da una sensuale americana (Berger). Totò è grande come sempre, pur stanco e sofferente, in una delle sue ultime interpretazioni, in un ruolo marginale ma importante. Tra i caratteristi ricordiamo i giovanissimi Cannavale e Fangareggi. Merita una menzione Carlo Croccolo che doppia molti protagonisti, in alcune scene persino un sofferente Totò (che imitava benissimo), ma anche Jack (Guardino), Frank (Walter), Sciascillo (un convincente Adorf), il Barone (Ardia) e Carlo Pisacane (vecchietto alla tv). Elio Pandolfi è altrettanto impegnato, perché doppia Agonia (Fangareggi), Giovanni Caputo e una turista tedesca. Operazione San Gennaro è grande commedia, di quella che i nostri registi non sanno più fare, un genere cinematografico nel quale eravamo maestri. Non resta più neppure il ricordo.
Regia: Dino Risi. Soggetto: Ennio De Concini, Dino Risi. Sceneggiatura: Ennio De Concini, Dino Risi, Adriano Baracco, Nino Manfredi. Fotografia: Aldo Tonti. Montaggio: Franco Fraticelli. Scenografie: Luigi Scaccianoce. Costumi: Maurizio Chiari. Produttore: Turi Vasile. Musiche: Armando Trovajoli. Paesi di Produzione: Italia, Francia, Germania Ovest. Casa di Produzione: Ultrafilm (Roma), Lyre (Parigi), Roxy Film (Monaco). Distribuzione: Interfilm (Italia). Durata: 98’. Genere: Commedia. Interpreti: Nino Manfredi (Dudù), Senta Berger (Maggie), Harry Guardino (Jack), Claudine Auger (Concettina), Mario Adorf (Sciascillo), Ugo Fangareggi (Agonia), Dante Maggio (il Capitano), Totò (Don Vincenzo), Giovanni Drudi (arcivescovo Aloiso), Giacomo Rizzo (Giacomo), Pinuccio Ardia (il Barone), Vittoria Crispo (mamma Assunta), Enzo Cannavale (Gaetano, secondino), Nella Gambini (damigella al matrimonio), Rino Genovese (commissario), Carlo Pisacane (spettatore alla tv), Solvi Stübing (suora), Ralph Wolter (Frank), Vincenzo Falanga (Settebellezze), Elena Fiore (vedova), Mauro Laurentino (commissario).
Nel 1980 Dino Risi vuole Edwige Fenech nel cast di una commedia come Sono fotogenico che vede protagonista un Renato Pozzetto all’apice del successo. Si tratta di una produzione italo-francese e accanto ai due attori principali abbiamo Aldo Maccione, Michel Galabru e Massimo Boldi. Soggetto e sceneggiatura sono di Massimo Franciosa, Dino e Marco Risi, le scenografie e i costumi di Ezio Altieri, le musiche di Manuel De Sica (dirette dall’autore). La fotografia è di Tonino Delli Colli e il montaggio di Alberto Gallitti, mentre Claudio Risi è aiuto regista. La storia parla di Antonio Barozzi (Pozzetto), appassionato di cinema che vive a Laveno sul Lago Maggiore e sogna un futuro nel mondo della celluloide. La famiglia di Pozzetto presenta molte gustose caratterizzazioni, prima tra tutte quella di un nonno erotomane che fin da bambino mostrava di nascosto al nipote il sedere della cameriera. Quando Pozzetto imita De Niro ne Il cacciatore, il nonno lo guarda e dice: “A te t’hanno battezzato con l’acqua dei ravioli!”. La mamma di Pozzetto invece è la classica donna di provincia che per il figlio sogna un matrimonio con una brava ragazza. Pozzetto ha pure una fidanzata al paese, ma per lui conta solo il cinema e un giorno decide di andare a Roma per tentare la sua strada. L’arrivo a Roma viene descritto da Risi, regista milanese, come l’ingresso in un mondo di truffatori, bidonisti e borseggiatori. Forse si calca un po’ la mano, ma si tratta pur sempre di una commedia. Purtroppo per Pozzetto la vita è meno facile di quel che credeva e nella capitale incontra soltanto registi gay, produttori bidonisti e attori stronzi. Conosce pure l’agente cinematografico Pedretti (Aldo Maccione) che è interessato soltanto ai suoi soldi, non certo alla sua carriera di attore. Edwige Fenech fa la parte di un’attrice opportunista a caccia di successo che ha un compagno geloso (Gino Santercole), ma si infila nei letti di chi le può far comodo. Ha una relazione con Aldo Maccione che le promette una parte importante e una volta va pure a letto con Pozzetto, ma lui si eccita a tal punto che ha un orgasmo sul lenzuolo. Parti sexy non ve ne sono, l’unica scena dove la Fenech mostra il seno è quella in cui va a letto con Pozzetto. In ogni caso l’attrice è brava nel ruolo che le viene affidato (doppiata in romanesco) e questo film rappresenta un passo in avanti nella sua carriera. Pozzetto insiste con il mondo del cinema, va persino a Hollywood per tentare la carta di un produttore amico (ci sono scene girate a Los Angeles), ma deve tornare di nuovo a Roma dove Maccione gli trova da fare solo la controfigura. L’aspirante attore molla tutto dopo un incidente pauroso che lo fa restare zoppo. La Fenech invece comincia a fare parti nel cinema erotico e alcune piccole presenze con attori importanti, resta pure incinta di due gemelli che il compagno sposato non può riconoscere. Alla fine Pozzetto si accolla i due bambini, sposa la fidanzata e torna al paesello, il mancato attore rientra nella sua provincia per rinsaldare una morale che si era capita sin dall’inizio. Renato Pozzetto (non si sa come) in quel periodo andava di gran moda e i suoi film facevano incassi da capogiro, ma la sua recitazione è davvero pessima, le gag sono sempre le solite e la mimica facciale ripetitiva. Edwige Fenech mostra il seno un paio di volte davanti a un Pozzetto esterrefatto (“Olamadooonna!”). Interessante il ritratto del mondo del cinema che ne viene fuori, con molte comparsate di attori come Vittorio Gassman, Barbara Bouchet, Ugo Tognazzi e Mario Monicelli che interpretano loro stessi. Il difetto principale del film sta nella sceneggiatura di Dino e Marco Risi che ricalca situazioni e personaggi già visti nella vecchia commedia. Ci sono alcune scene che sembrano uscite da un film con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, ricordiamo la sequenza dove Pozzetto fa un servizio fotografico ed esibisce la stessa espressione per ogni tipo di situazione. Alcune canzoni di gran moda in quel periodo come “Ricominciamo” di Antonio Pappalardo e “La mia banda suona il rock” di Ivano Fossati allietano al visione. Nel corso del film si cita pure l’ultimo decamerotico italiano: Quant’è bella la Bernarda tutta nera e tutta calda (1975) di Lucio Dandolo.
Nel 1982 Dino Risi gira Sesso e volentieri, un film a episodi scritto e sceneggiato dal regista con la collaborazione di Bernardino Zapponi ed Enrico Vanzina. La fotografia è di Alessandro D’Eva, il montaggio di Alberto Gallitti, le scenografie sono di Giuseppe Mangano, i costumi di Luca Sabatelli e le musiche di Fred Buongusto (dirette da Natale Massara). La pellicola è prodotta da International Dean Film e Italian International Film di Pio Angeletti e Adriano De Micheli, sotto la direzione di Gianni Cecchin. Distribuzione I.I.F./D.I.F. Interpreti: Johnny Dorelli, Laura Antonelli, Gloria Guida, Giuliana Calandra, Giucas Casella, Gastone Pescucci, Jackie Basehart, Roberto Della Casa, Margaret Lee, Richard Lloyd, Pippo Santonastaso, Venantino Venantini, Renato Scarpa e Yorgo Voyagis.
Sesso e volentieri rappresenta per Dino Risi un tentativo fallito per riesumare un genere estinto come quello della commedia sexy a episodi. Sceneggiatori e regista hanno poca fantasia, la verve comico-erotica della pellicola è modesta, gli episodi sono talmente brevi e di così poco spessore che formano solo un patetico barzelletta – movie. Gloria Guida non recita ruoli particolarmente sexy e lascia questo impegno a Laura Antonelli che dimostra ancora una volta una buona attitudine per le interpretazioni erotiche. Il film delude i fan delle due attrici che recitano un copione castigatissimo, ma soprattutto la Guida rinnega tutto il suo passato da lolita e da star del cinema erotico. Il punto debole del film è soprattutto la sceneggiatura dei singoli episodi perché uno spettatore smaliziato comprende quasi subito come si evolverà la trama. La pellicola non presenta nessun elemento di tensione erotica ed è del tutto priva di suspense narrativa. Il vero motivo di interesse di Sesso e volentieri sta nel ritorno sulla scena di Margaret Lee, impegnata nel singolare ruolo di una lady petomane. L’episodio che la vede protagonista (Lady Jane) si svolge in un ristorante dove Johnny Dorelli fa da accompagnatore per la bella inglesina: alla fine entrambi si scoprono petomani e innamorati. Dino Risi si converte alla commedia scorreggiona e gira un episodio a colpi di flatulenze ben ritmate sulle note di un valzer viennese.
I dieci episodi di Sesso e volentieri sono: Domenica In, La nuova Marisa, Radio Taxi, Rasoio all’antica, Il macho, Lady Jane, Armanda e il violinista, L’avventura, Luna di miele, La principessa e il cameriere.
Johnny Dorelli nei primi anni Ottanta andava per la maggiore e la sua presenza bastava a garantire un buon incasso, forse per questo motivo è onnipresente e se la cava bene interpretando dieci personaggi tra loro molto diversi. Il film comincia con Domenica In e presenta Dorelli e la Guida mentre amoreggiano sul letto, ma è un falso allarme perché si tratta della sola occasione per vedere di sfuggita le caste nudità della bella meranese. Niente di sconvolgente perché Dorelli (da poco sposato con la Guida) si limita a palpare il fondoschiena e fa qualche commento sulla rotondità delle sue natiche. Molto divertente è la trovata dello zapping alla televisione mentre la coppia fa l’amore e le battute dei personaggi che si avvicendano sullo schermo non sono per niente casuali. La Guida si eccita mentre fa l’amore davanti a uomini politici come Craxi, mentre Komeini le fa fare un sacco di smorfie e Mike Bongiorno rappresenta una sicurezza intramontabile. La Guida e Dorelli si fanno fregare dal trucco di Giucas Casella (in auge a Domenica In) e restano con le dita intrecciate sopra la testa dopo un black-out energetico. Finisce che si mettono alla guida di un gruppo di rivoltosi e si vendicano del mago prendendolo a calci e a pugni. Niente di eccezionale ma riusciamo a fare qualche risata.
La nuova Marisa vede all’opera una sensuale Laura Antonelli che dopo la morte del marito affitta un appartamento dove viveva una prostituta molto richiesta e deve subire l’assalto dei vecchi clienti. Alla fine cede a un intraprendente Dorelli e si rende conto che fare la prostituta è più redditizio che battere a macchina. Le parti erotiche sono ben fatte, soprattutto per merito di un’ottima Laua Antonelli che sa essere eccitante anche quando il copione le consente di mostrare poco. Peccato che la sceneggiatura sia così prevedibile da suggerire allo spettatore la conclusione dell’episodio.
Radio Taxi è uno degli episodi meglio riusciti, soprattutto per la originalità della trama che vede protagonisti Gloria Guida e Johnny Dorelli. Lei è una telefonista che parla anche in casa con la stessa voce meccanica che utilizza per gli annunci via radio e questo vizio la rende talmente insopportabile che il marito finirà per suicidarsi. Divertente e imprevedibile, pure se di erotico non c’è proprio niente.
Rasoio all’italiana vede protagonista un grande Pippo Santonastaso nei panni di un barbiere di provincia piuttosto nervoso che rischia di affettare la gola del cliente Dorelli. Il barbiere è in collera con la compagna Luisella (Gloria Guida) che definisce “puttana a tempo pieno e manicure del cazzo che fa gli straordinari alla pensione Soligo”. La situazione degenera quando lei si mette a succhiare con voluttà un dito del cliente per disinfettare un taglio. Dorelli scappa con la barba fatta per metà e si rifugia da un altro barbiere, ma finisce dalla padella nella brace perché si tratta del marito di Luisella che è infuriato perché la moglie lo ha mollato. L’episodio è divertente e dal finale imprevedibile, pure se la cosa migliore resta l’interpretazione di Santonastaso nei panni del barbiere nevrotico.
Il macho vede Dorelli calato nella parte di un gay che scopre la sua vera attitudine sessuale e alla fine lascia moglie e figlio per scappare con un macho tenebroso come Yorgo Voyagis. Dorelli è molto bravo a interpretare un ruolo per lui inconsueto che rende con credibilità fino all’assurdo finale.
Lady Jane è l’episodio che presenta una rediviva Margaret Lee e in parte ne abbiamo già parlato, ma non dobbiamo dimenticare un originale rock a tempo di scoregge, una gigantesca peta davanti a un tavolo che rompe un bicchiere di cristallo, la fuga finale a colpi di flatulenze e il valzer delle pete nel giardino. Volgarissimo. Un episodio da dimenticare nella filmografia di Dino Risi, soprattutto perché le scoregge non sono giustificate con la consueta ironia tipica di Alvaro Vitali e Lino Banfi.
Armanda e il violinista vede ancora in primo piano Dorelli e la Guida ma è un episodio così prevedibile che dopo tre scene si sa già come andrà a finire. Dorelli è un playboy ricchissimo che si finge povero in canna per portarsi a letto la Guida, una nobile annoiata che cena con le amiche in una trattoria romana. Alla fine ci riesce con lo stratagemma del violinista mendicante, ma lei quando comprende di essere stata raggirata lo sputtana davanti alla sua futura moglie. Erotismo neanche a parlarne. La Guida è vestitissima e il regista sfuma proprio quando i due vanno a letto insieme. Un episodio pessimo e scontato. Lo spettatore non vede l’ora che finisca.
L’avventura è un buon episodio che torna sul tema sexy con convinzione e mette in primo piano Dorelli e la Antonelli, due coniugi in cerca di novità per ravvivare un rapporto abitudinario. Laura Antonelli è molto convincente nelle parti sexy quando si sfila gli slip, mostra il reggiseno e finge di praticare una fellatio a uno sconosciuto (Venantino Venantini) tra le poltrone di un cinema. Si va avanti con fantasie erotiche sempre più lussuriose, tra violenze carnali e vampate di eccitazione al cambiare della luna. La scena finale è molto sexy con la Antonelli sul letto in sottoveste nera, calze e giarrettiere, pronta per fare l’amore. Peccato solo che si fosse capito da tempo che si trattava di un gioco erotico tra moglie e marito.
Luna di miele torna sulla coppia Dorelli – Guida e ironizza sulla storia vera del miliardario che regalava smeraldi alle belle donne in cambio di una notte d’amore. Pure qui niente sesso ed erotismo neanche a parlarne perché il nuovo corso di Gloria Guida – ormai divenuta signora Guidi – prevede solo ruoli molto castigati. Dorelli è un architetto che per ottenere il progetto di una moschea nell’emirato lascia che la moglie vada a letto con lo sceicco e alla fine per non perdere l’appalto ci va pure lui. Da segnalare un divertente Gastone Pescucci nella parte del segretario occidentale dello sceicco. Non convince per niente uno sceicco arabo che beve alcolici e brinda con lo champagne, ma forse Dino Risi non si era documentato bene sulle regole dettate dal Corano. Dorelli e la Guida restano beffati perché lo sceicco durante la notte prende il largo e la loro ricompensa è soltanto un finto smeraldo di quelli che vendono i vucumprà sulle spiagge.
La principessa e il cameriere vede ancora protagonisti Dorelli e la Antonelli, ma è un episodio poco riuscito che tenta di far ridere descrivendo il difficile rapporto sessuale tra una principessa e un cameriere perennemente disturbati dall’intervento delle guardie del corpo. La parte sexy erotica è abbastanza riuscita ma la storia fa acqua da tutte le parti e la sceneggiatura non convince.
Il film è poco riuscito. Dino Risi pare dimenticarsi di tutto il suo passato, qualche risata riesce a strapparla, ma non basta. Sesso e volentieri lo ricordiamo come l’ultima occasione per vedere al cinema la bionda Gloria Guida, ormai non più lolita e neppure sexy starlet del cinema comico erotico, ma solo bella ed elegante signora che mostra tutte le sue capacità recitative.