Secondo i dati ISTAT, dall’1 gennaio al 17 novembre 2024, sarebbero ben 99 le donne vittime della furia omicida del proprio attuale o ex coniuge/compagno. Quando a uccidere è il partner, nell’87,9% dei casi la vittima è una donna. Tra i femminicidi più discussi di quest’anno, quello di Giulia Tramontano (incinta di 7 mesi), vittima del proprio compagno e padre del bambino che portava in grembo, e quello di Giulia Cecchettin, uccisa dall’ex fidanzato che non accettava la fine della loro relazione. In entrambi i casi, il profilo psicologico degli assassini – condannati in primo grado alla pena dell’ergastolo – parrebbe ascrivibile a quello del Disturbo Narcisistico di Personalità (in assenza di vizio parziale/totale di mente).
Ma come si sviluppa la Personalità Narcisistica? Grazie all’innovativa Teoria interpersonale proposta da Harry Sullivan, gli studiosi dello sviluppo infantile, così come i ricercatori che indagavano l’attaccamento e il trauma evolutivo, ebbero modo di osservare il rapporto madre-bambino in un’ottica differente da quella freudiana (centrata, com’è noto, sull’importanza del soddisfacimento delle pulsioni libidiche). All’interno dell’opera La moderna concezione della psichiatria, infatti, Sullivan indicò i bisogni di contatto e sicurezza come essenziali ai fini della corretta strutturazione del Sé, e, più in generale, del buon funzionamento ed equilibrio psichico (Sullivan, 1929); in altre parole, riprese dalla teorizzazione freudiana il ruolo dei fattori organici, che però associò a quelli di matrice interpersonale. Difatti, nel momento in cui un bambino piange ed emette vocalizzi, non richiede alla madre solo il cibo (bisogno fisiologico), ma anche cura e protezione (bisogno psicologico e relazionale).
Ciò premesso, se tali bisogni vengono ignorati o non riconosciuti dalla figura di riferimento (ad oggi, piuttosto che di ‘Madre’, sarebbe opportuno parlare di caregiver), il bambino uscirà da quella relazione traumaticamente impoverito, e l’angoscia vissuta al suo interno diverrà ‘organizzatore ’del modo di relazionarsi con l’Altro e con il mondo. Un’angoscia, quella provata, che continuerà ad essere presente durante l’intero arco di vita del soggetto, e verrà – ad un qualche livello – percepita sotto forma di sensazioni di vergogna, vuoto, incompletezza, inferiorità. Il Sé narcisistico, infatti, è un Sé non strutturato, incline alla frammentazione, che disconosce emozioni quali il rimorso e la gratitudine (poiché, laddove sperimentate, metterebbero a nudo la vulnerabilità del soggetto stesso, facendolo percepire ‘fallace ’nel primo caso e ‘bisognoso di aiuto ’nel secondo). In quest’ottica, la costruzione del Falso Sé appare quasi necessaria; come preservare il proprio e fragile Sé dalla perenne angoscia di frammentazione? Attraverso la strutturazione di una personalità che si fondi sul mantenimento dell’autostima tramite conferme provenienti dall’esterno (McWilliams, 2011).
Il narcisista altro non è che un bambino privato dalla madre dell’indispensabile processo di rispecchiamento reciproco – necessario ai fini della nascita e della crescita del proprio Sé e basato sulla logica del “mi vedi, dunque sono”. Un principio, se pensiamo, confermato dalla fisica quantistica, la quale descrive non la singola particella ma l’interazione, poiché l’elettrone, in assenza di interazioni con un altro elettrone, non è localizzabile (Rovelli, 2014). Dirac giunse perfino a dimostrarci come una massa divenga reale solo nel momento in cui ne incontra un’altra. Il principio secondo il quale un soggetto nasce dalla relazione con l’oggetto (l’Altro) risulta uno dei pilastri portanti della psicoanalisi post-freudiana, la quale riconosce l’importanza dell’incontro si sguardi e corpi tra madre e bambino (il toccare e l’essere toccato, il guardare e l’essere guardato). Un incontro indispensabile, come ampiamente spiegato, ai fini della corretta strutturazione del Sé e della distinzione Sé – Altro da Sé. L’esito di tale processo provocherà cambiamenti neurobiologici e costituirà il modo attraverso il quale il soggetto si approccerà agli Altri e al mondo. Infatti, nessun ricordo può essere realmente perso; anche se l’ippocampo (principale struttura celebrale deputata alla rievocazione mnestica) non si è ancora formato, i ricordi e le emozioni vissute dai bambini molto piccoli lasciano traccia nella memoria implicita, che ha sede nell’inconscio non rimosso. Le esperienze vissute, dunque, rimangono impresse sia nella psiche che nel soma, e ci connettono al mondo. La mancanza di rimorso e l’arresto dello sviluppo della capacità di amare costituiscono il più grave prezzo pagato da chi soffre di un Disturbo Narcisistico di Personalità.
Secondo Melanie Klein, autrice della Teoria delle relazioni oggettuali, il processo di introiezione dell’oggetto buono (in questo caso, la madre, vissuta come fonte di piacere e sicurezza) sarebbe di primaria importanza: è attorno ad esso, infatti, che il soggetto deve svilupparsi. Ma cosa accade nel caso in cui viene meno il rispecchiamento reciproco ed il bambino non vive quella necessaria esperienza del “mi vedi, quindi sono”? Il bambino, non sentendosi visto (a causa di condizioni di incuria, maltrattamento o, ancora, di mancato riconoscimento della propria unicità), sviluppa una ferita narcisistica primaria. Ne deriveranno sentimenti di inadeguatezza ed una generale sensazione di fragilità del Sé, che però l’individuo nasconderà attraverso un senso di onnipotenza. Percepire la propria fragilità è impensabile per il narcisista, e la sua violenza ha origine dall’angoscia di disintegrazione. Freud, in Introduzione al narcisismo, paragona il narcisista ad un’ameba: organismo unicellulare che con i propri pseudopodi avvicina a sé le prede e le divora. Nel medesimo modo agisce il narcisista, che trasforma il proprio partner in Oggetto-Sé; ovvero, un proprio prolungamento narcisistico. Una sorta di ‘stampella ’metaforica alla quale aggrapparsi e dalla quale ottenere l‘ ’energia vitale ’necessaria ad accrescere i propri vissuti di onnipotenza. È nel momento in cui l’oggetto-sé abbandona il soggetto narcisista che l’angoscia di disintegrazione di quest’ultimo si riaccende, investendo l’oggetto di odio disimpastato, sadismo e angosce paranoidi. Siamo nel regno di Thanatos, della pulsione di morte.