Dire «NO» al corpo della violenza

Articolo di Pietro Salvatore Reina

Il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione numero 54/137 del 17 dicembre 1999.

Per definizione il sostantivo femminile «violenza» (dal latino «violentia», che deriva da «violentus» è affine a «vis», violenza. In greco invece violenza si dice βία. L’atto e/o il fatto violento così come la forza fisica si personificano già nel poeta greco Esiodo, poi in modo sempre più plastico nei tragediografi Eschilo, Sofocle ed Euripide dove la violenza genera violenza: una realtà inestirpabile della stessa specie umana. Un mistero senza fine. Una brutalità che segna le prime pagine del Genesi ripercorse da Camilleri in Autodifesa di Caino: «senza il male il bene non esisterebbe» (p. 79).

La tendenza, la forza, l’azione impetuosa ed incontrollata della violenza è sempre esistita. Ha sempre attraversato, vissuto, ispirato l’essere umano. Parallelamente ad essa si sono sempre sviluppati sistemi – religiosi, filosofici, giuridici, ecc.– per prevenirla o limitarla. Nessuno di essi ha avuto completo successo, ma tutti hanno contribuito a definire una caratteristica essenziale della civiltà.

La violenza è chiaramente un problema molto complesso legato a modalità di pensiero e di comportamento definite da una molteplicità di pulsioni. forze all’interno di comunità, famiglie, individui. Affrontare il tema assai delicato, complesso della violenza ed in particolare della violenza contro le donne significa comprendere la nostra «Storia» e il «corpo» nella nostra storia. La storia – ammonisce e insegna Jacques Le Goff in Il corpo nel Medioevo – e gli storici hanno dimenticato il corpo. Ciò costituisce una delle grandi lacune della storia […] La storia tradizionale era effettivamente disincarnata: si interessava ad alcuni uomini e in via accessoria, ad alcune donne.

Nella storia contemporanea, a grandi linee, le donne incontrando enormi difficoltà e combattendo epocali battaglie hanno pari diritti politici rispetto agli uomini, dal diritto di voto fino alla possibilità di candidarsi e venire elette. Ma ancora oggi nel nostro vecchio continente dove è nata l’idea dell’uguaglianza fra i sessi essa stenta a tradursi in realtà. Le grandi figure femminili contemporanee (ad es. Margaret Thatcher, Benazir Bhutto, Nilde Iotti) sono in netta minoranza rispetto agli uomini. Perché? È un un’omissione della storia o un rifiuto, a volte violento, di riconoscere l’altro: la donna, l’essere femminile.

Le differenze sessuali non sono solamente delle differenze biologiche, bensì conformazioni, modi, affinità di percepire, leggere, vivere il mondo. L’«altro» femminile e/o maschile che sia è un dono, una ricchezza, è altro da me.

Nel settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri (1265-1321) nel IV canto del Paradiso (vv. 73-81), in una accensione lirica, la Commedia ci insegna che la volontà dell’uomo ha in sé la possibilità di opporsi in ogni momento alla violenza:

Se violenza è quando quel che pate

niente conferisce a quel che sforza,

non fuor quest’alme per essa scusate:

ché volontà, se non vuol, non s’ammorza,

ma fa come natura face in foco,

se mille volte violenza il torza.

Perché, s’ella si piega assai o poco,

segue la forza; e così queste fero

possendo rifuggir nel santo loco.

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