Il primo (e forse unico) Django è un film prodotto nel 1965 (uscito in sala nel 1966) da Manolo Bolognini per l’Italia e da José Gutiérrez Maesso per la Spagna; regia di Sergio Corbucci, aiutato da Ruggero Deodato per alcune sequenze efferate (regista della seconda unità). Soggetto e Sceneggiatura curati da un vero squadrone di esperti: Franco Rossetti, Bruno e Sergio Corbucci, Piero Vivarelli, Fernando di Leo, José G. Maesso (produttore spagnolo).
Fotografia di Enzo Barboni – che diventerà E.B. Cloucher con i film di Bud Spencer e Terence Hill -, musiche niente meno che di Luis Enriquez Bacalov. Interpreti: Franco Nero, Eduardo Fajardo, José Bodalo, Loredana Cappelletti, Angel Alvarez, Luciano Rossi, Gino Pernice. Django è un reduce della guerra di secessione che giunge a Tombstone, alla frontiera con il Messico, in mezzo al fango e al vento, incede senza cavallo, sella in spalla e mitragliatrice nascosta in una bara che si trascina dietro.
Inevitabile la lotta tra buoni e cattivi, tra Django (insolito buono) e il maggiore Jackson (brutale e razzista), con l’amore per una prostituta liberata dalle grinfie dei malvagi. Django massacra a colpi di mitraglia gli uomini di Jackson, si allea con il rivoluzionario Rodriguez per rubare un sacco di soldi al maggiore, infine si mette contro tutti e vince la sua guerra personale contro rivoluzionari e banditi. Django ottiene un insperato successo di pubblico, al punto di convincere sia Bolognini che Maesso a investire sul genere western, insistendo sull’idea di un cinema violento e spietato, realistico e cruento, ben diverso dalle pellicole nordamericane.
L’idea che sta alla base della storia viene al produttore Bolognini che inventa la figura di un pistolero originale, senza cavallo, con una bara che contiene una mitragliatrice, che vaga per un western fangoso e sporco, per niente solare, caratterizzato da cieli plumbei e piovosi. Corbucci perfeziona l’idea con l’aiuto di valenti sceneggiatori (Rossetti, su tutti, ma anche Vivarelli) e con la collaborazione di Deodato, riscattando il modesto (e poco visto) Johnny Oro.
Una curiosità che abbiamo reperito sul documentato testo di Matteo Mancini (Spaghetti Western, volume uno, Edizioni Il Foglio, 2012) riguarda il nome del protagonista, una sorta di omaggio a Django Reinhardt, grande chitarrista jazz. Corbucci non è certo convinto di girare un capolavoro, tutt’altro, definisce il film in fieri come la più grande porcheria della sua vita. Molte sequenze girate in Spagna vengono delegate a Ruggero Deodato, soprattutto quando c’è di mezzo la neve, elemento poco gradito a Corbucci.
Il segno distintivo di Django è l’estrema violenza, la durezza di certe scene che fanno scalpore e sconvolgono, indicando la strada da seguire per un prodotto western sempre più originale. Kurosawa è presente nel western italiano con l’idea dello straniero che viene da lontano e torna dalla guerra, infine mette due fazioni una contro l’altra per tornaconto personale. Vero e proprio western gotico, persino crepuscolare, messo in scena con una serie di sequenze disturbanti, estreme, eccessive, tra azioni sadiche e atti barbarici, su tutte l’amputazione di un orecchio che viene messo in bocca alla vittima.
Non è da meno la visione di Django con le mani spappolate dagli zoccoli dei cavalli. Scenografia a base di fango e paludi, persino sabbie mobili, dalle quali Django viene salvato da una prostituta innamorata. Film dark e malinconico, con protagonista un eroe disilluso e solitario, pronto a sfidare tutti pur di portare a termine il compito che si è prefissato. Bravissimi gli attori.
Franco Nero ha soltanto 25 anni, è un pistolero glaciale dagli occhi cerulei, sempre meditabondo e sicuro dei suoi gesti, coraggioso e implacabile, un personaggio indimenticabile. Pensare che Corbucci avrebbe voluto Mark Demon. Non sarebbe stata la stessa cosa. Eduardo Fajardo dà vita a un maggiore Jackson fanatico e razzista, amorale e spietato; José Bodalo è un ottimo rivoluzionario messicano; Loredana Cappelletti (ex concorrente a Miss Italia) è la prostituta innamorata di Django.
Colonna sonora straordinaria di Bacalov, arricchita dalla voce di Rocky Roberts per sottolineare il tema principale della pellicola. Scenografie gotiche di Simi, fotografia ordinaria di Barboni. Un film di culto che influenza molti registi successivi e produce una ridda di pistoleri apocrifi che portano il nome di Django, ma niente hanno a che vedere con l’inimitabile originale ideato da Corbucci.