Domenico Modugno. L’italiano che incantò il mondo

Articolo di Gordiano Lupi

Avevamo già visto lo sceneggiato televisivo Volare – La grande storia di Domenico Modugno di Riccardo Milani, con un ottimo Beppe Fiorello nei panni del cantante, che concedeva qualcosa al romanzesco e terminava con il successo della canzone simbolo. Domenico Modugno. L’italiano che incantò il mondo non lascia adito a dubbi sulla veridicità del racconto e va ben oltre, coprendo tutta la vita artistica e umana del cantautore. Il documentario di Maite Carpio racconta il teatro, l’ascesa verso il successo, il carattere del personaggio, l’amore per Franca Gandolfi, la malattia, la parte politica con i radicali di Pannella, il ritorno sulle scene, tutto commentato da Aragozzini, dal figlio Massimo, da critici musicali e biografi (Governi), oltre a far ricorso a molti spezzoni d’epoca.

Domenico Modugno ha cambiato la canzone italiana ed è rimasto sulla cresta dell’onda – tra alti e bassi – dagli anni Cinquanta ai primi Novanta. Si parte e si chiude con Meraviglioso, prima cantata da Modugno, quindi nella versione Negramaro; Aragozzini (il suo manager) si commuove spesso commentando per circa 90’ la vita di un così grande personaggio. “Nessun artista italiano si può paragonare a Modugno”, afferma Aragozzini e non è facile dargli torto. Vediamo Pippo Baudo che apre la valigia dei successi in un suggestivo bianco e nero, da Dio come ti amo a Pasqualino Maragià. Ascoltiamo la voce del cantante che racconta di un successo per caso, perché sapeva cantare in siciliano, anche se nativo di Polignano a Mare, doveva esibirsi in tale idioma per piacere a Frank Sinatra. Il modo di cantare di Modugno è diverso da tutti, per i conformisti anni Cinquanta la sua musica è alternativa, non parla di dolori, amori, mamme, scarponi, canta altro, debuttando con l’ironico La donna riccia. Scopriamo inoltre che Modugno ama visceralmente Vecchio Frack, la canzone della vita con cui apre i concerti e che presenta sempre.

Il documentario fa conoscere la modernità di Domenico Modugno, sin dal 1952, quando lancia la storia d’amore del pesce spada che racconta il dramma di un pescatore. Pugliese anche se tutti lo conoscono come cantante siciliano, perché nel paese dove vive si parla un dialetto molto simile al siculo, inoltre quando si rende conto che il pubblico lo vuole siciliano si adatta. Da qui il rapporto difficile con Polignano a Mare anche se il paese natale gli ha dedicato un monumento, ma in passato i concittadini non gli perdonarono i tradimenti. La regista racconta la fuga a Torino, il lavoro in fabbrica, i lavoretti per campare, quindi l’arrivo a Roma per cercare di fare il cinema e la musica che amava tanto. Un concorso vinto al Centro Sperimentale risolve il problema di mangiare una volta al giorno e di avere qualche soldo in tasca. Come insegnante ha avuto niente meno che Luigi Zampa. La regista recupera uno spezzone in cui Modugno è impegnato nella parte dello iettatore di Pirandello che pretende la sua patente di fronte a un giudice integerrimo. Comincia a fare musica in via Margutta, dove suona la fisarmonica e in cambio ha la cena gratis; abbiamo l’incontro con Franca Gandolfi, l’amore della sua vita, due caratteri forti, dice il figlio che litigavano spesso ma si amavano. Uno showman completo, che frequenta l’accademia di arte drammatica, studia dizione, conosce Riccardo Pazzaglia, scrive con lui molte canzoni napoletane e si fa convincere a cantare solo in tale dialetto. Pur essendo pugliese, conosciuto come siciliano, si mette in competizione nella canzone napoletana e si fa accettare da una realtà culturale che non è la sua. Canta Resta cu’ me meglio di un vero napoletano, melodia censurata perché la morale corrente impone di avere un marito solo, non sta bene parlare di una donna che ha avuto altri amori.

Pazzaglia, Migliacci e Modugno (nel film di Milani la storia è raccontata bene) vivono a Roma da spiantati e faranno successo, ma ci vorrà tempo. Volare è un’idea di Migliacci, suggestionato da Chagall e dalla pittura, nessuno vuol cantare quel motivo nuovo e dirompente, Modugno ci mette la faccia ed è un successo. Volare è ancora oggi la canzone che meglio rappresenta l’Italia nel mondo, forse ancor più dell’Inno di Mameli. Modugno rompe tutti gli schemi, fa teatro anche nella formale Sanremo, allargando le braccia sul palco, con una canzone che vince il Festival, vende duecento milioni di copie e fa passare il suo autore dall’indigenza alla ricchezza. Un anno dopo con Ciao ciao bambina (Piove) rivince il Festival di Sanremo e conferma la sua grandezza. Nel 1960 Libero (una scelta sbagliata) non ce la fa contro Romantica ed è Renato Rascel che vince il Festival, un rivale di sempre, un attore con cui Modugno non andrà mai d’accordo. Libero è troppo libera per i tempi, non piace ai cattolici soprattutto il ritornello … come rondine che non vuole tornare al nido … Modugno si piazza secondo nonostante le mamme d’Italia siano tutte schierate contro di lui. Nel 1962, alleato con Claudio Villa, vince ancora Sanremo con Addio Addio, i due cantanti hanno un pubblico diverso ma lo uniscono, inoltre il figlio dice che facevano finta di essere in competizione, nella realtà erano amici. Si emozionava prima di cantare, come un ragazzino, dice Aragozzini. Dio come ti amo, infatti, la canta con le lacrime agli occhi e vince il suo ultimo Festival insieme a Gigliola Cinquetti, un clamoroso successo mondiale.

Il cinema non lo vuole, ma lui tiene molto al teatro, interpreta Rinaldo in campo (dove si passa dal teatro di rivista alla commedia musicale) poi Alleluja brava gente, ma il rapporto con Rascel è così negativo che si deve far sostituire da un giovanissimo Proietti. Produce Tommaso con Eduardo De Filippo, ma è un fallimento di pubblico perché la commedia musicale è troppo lunga e seriosa, uno spettacolo in perdita al punto di dover chiudere, cosa che si trasforma in un dramma personale.

In televisione si ricorda Scaramouche, dove compone quasi tutte le canzoni, persino la sigla L’avventura e molti brani stile commedia musicale, per uno spettacolo leggero con Gravina, Orfei e Carrà. Modugno compone fino a tarda notte e fino alle due del pomeriggio dorme, pretende il silenzio anche dal figlio piccolo, fino al suo risveglio. Non si ferma neppure di fronte al 1968, vende dischi a milioni pur se vanno di moda altri cantanti, più impegnati. Dopo un periodo di crisi, Enrica Bonaccorti scrive il testo de La lontananza, parole vergate su un diario a 14 anni, dedicate al primo amore, che Modugno mette in musica per un nuovo grande successo, un miracolo di canzone prima in classifica per settimane. La lontananza era magica, dice la Bonaccorti. Una melodia geniale che s’incontra con un testo adeguato. E poi c’è la canzone dell’emigrante – Addio, addio amore … amara terra mia … – la mancanza di lavoro che obbliga a partire, altro motivo di successo, drammatico e profondo. Piange il telefono fa dimenticare il Modugno artista e insegue solo il successo commerciale, Aragozzini non ama quel brano, dice che non è un brano adatto a lui, ma il pubblico che non segue il rock e la grande musica internazionale ne decreta il successo, diventa persino un film, un lacrima movie.

La malattia complica le cose, un ictus alla carotide che rischia di mandarlo all’altro mondo, tutta la parte sinistra del corpo bloccata. In quel periodo è importante la vicinanza della moglie Franca, Modugno esce fuori menomato, in carrozzina, con il bastone, per molto tempo non riesce a cantare, deve sospendere il suo lavoro. La passione politica arriva a proposito, con il Partito Radicale e Marco Pannella, la presidenza del movimento, l’impegno per l’ospedale psichiatrico di Agrigento. Quando ricomincia con la musica – per poco, alcuni mesi prima di morire – il primo spettacolo organizzato da Aragozzini lo vuol fare proprio ad Agrigento. Un grande successo a New York, dove canta in carrozzina i suoi brani più belli di fronte a un pubblico in delirio, a un certo punto si alza addirittura in piedi per intonare Volare. La morte lo coglie in Sicilia, un infarto terminale, muore con la paura negli occhi, dice il figlio, la moglie accanto come sempre e tutti gli amici a portare la bara. Aragozzini vuol parlare con lui un’ultima volta, da solo. Tutto molto bello.

Un gran bel lavoro di Maite Carpo che contiene tutta la vita artistica (e non solo) di un grande protagonista della cultura popolare italiana, scritto con garbo, fotografato e montato con raffinatezza, girato con rispetto della verità e dello spettatore.

Regia, Soggetto, Sceneggiatura, Produzione: Maite Carpio. Fotografia: Sabrina Varani. Montaggio: Andrea Mancori, Michele Fuccio. Musiche: Francesco Menegat. Coproduzione: Rai – Radiotelevisione Italiana, Rai Documentari, Radiotelevisione Svizzera (RSI). Coproduttore: Alberto Meroni. Produttore Rai: Gianluca Casagrande. Produttore RSI: Alessandro Marcionni. Produttore Esecutivo: Eleonora Orlandi. Direttrice di Produzione: Silvia Ceccarelli. Case di Produzione: Garbo Produzioni Srl, Inmagine SA. Interventi: Adriano Aragozzini, Gaetano Benedetto, Enrica Bonaccorti, Marco De Antoniis, Giancarlo Governi, Massimo Modugno, Liana Orfei, Giuliano Sangiorgi, Maurizio Ternavasio, Marinela Venegoni. Genere: Documentario, Biografico. Durata: 90’.

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