Amedeo Tessari, detto Duccio, nasce a Genova l’11 ottobre 1926 e muore a Roma il 6 settembre del 1994 dopo una lunga malattia. Marito della bella attrice Lorella De Luca, sposata in seconde nozze nel 1971, interprete di molte sue pellicole, che gli dà una figlia, anche lei attrice, Fiorenza Tessari. Vive a Genova fino al 1955, produce cortometraggi, si trasferisce a Roma dove comincia la carriera come aiuto regista e sceneggiatore di film mitologici. Collabora con Carmine Gallone e Vittorio Cottafavi, infine, dopo anni di gavetta debutta alla regia con l’ottimo Arrivano i titani, esordio anche per il biondo attore protagonista, lo sconosciuto Giuliano Gemma. Il genere western è la specialità di Tessari, comincia sceneggiando Per un pugno di dollari diretto da Sergio Leone, ma continua con numerosi titoli di una certa importanza, al punto di essere considerato, insieme a Sergio Corbucci e Sergio Leone, uno dei padri dello spaghetti-western. Negli anni Sessanta Tessari inventa il personaggio di Ringo, interpretato per due pellicole, dall’attore Giuliano Gemma. Il successo personale di Tessari è segnato da Una pistola per Ringo (1965), incasso di oltre due miliardi, e Il ritorno di Ringo (1966), entrambi interpretati da un sempre più convincente Giuliano Gemma. I bastardi (1968) è uno dei suoi capolavori, ma non dobbiamo dimenticare Tony Arzenta (1973) e uno Zorro (1975), interpretato da Alain Delon e Ottavia Piccolo, tanto famoso da aver generato una parodia interpretata da Franco Franchi. Negli anni Ottanta si dedica alla televisione come sceneggiatore di fiction e di Arrivano i vostri, un documentario dedicato al western italiano. Tex e il signore degli abissi (1985) è il suo fallimento più eclatante, un film che voleva preparare un ritorno dello spaghetti-western e al tempo stesso omaggiare il popolare eroe dei fumetti ideato da Gianluigi Bonelli. Giuliano Gemma è il protagonista, ma il cinema western è ormai fuori tempo massimo e il pubblico non premia il coraggio del regista. I suoi ultimi film sono il fiabesco C’era un castello con 40 cani (1990) e Beyond Justice (1992). Si ricorda Duccio Tessari come un uomo che fa grande il western all’italiana, un artigiano che ammette i debiti con i maestri della letteratura: “Noi non inventiamo niente di nuovo nelle nostre storie, hanno già inventato tutto Omero e Tolstoj!”.
Duccio Tessari è un autore a tutto tondo del nostro cinema di genere, prima prolifico sceneggiatore di pellicole mitologiche e documentarista, quindi regista di fiction capace di muoversi con disinvoltura tra peplum, western, commedia, poliziesco, melodramma, thriller, film d’avventura e di guerra. La sua cifra stilistica è l’ironia, che anticipa gli anni Ottanta e un western comico interpretato da Bud Spencer e Terence Hill. Una pistola per Ringo e Il ritorno di Ringo sono due western del 1965 che si ricordano con piacere, ma è notevole anche il poliziesco La morte risale a ieri sera, ispirato a un romanzo di Scerbanenco con protagonista Duca Lamberti. La critica è unanime nel dire che il suo film più riuscito è Tony Arzenta (1973), un noir interpretato da Alain Delon. Tessari si dedica a smitizzare i generi, trattandoli con ironia, ma nell’ultima parte della carriera gira molti film televisivi affrontando argomenti più seriosi. Il suo unico errore è stato aver tentato di portare al cinema un mito come Tex nel poco riuscito Tex e il signore degli abissi (1985), interpretato da Giuliano Gemma.
Le sceneggiature giovanili e Arrivano i Titani (1961)
Tra le sue sceneggiature prima del debutto alla regia, ricordiamo: Pezzo, capopezzo, capitano (1958), Cartagine in fiamme (1959), Gli ultimi giorni di Pompei (1959), Le legioni di Cleopatra (1959), La vendetta di Ercole (1960), La rivolta degli schiavi (1960), La regina delle Amazzoni (1960), Il colosso di Rodi (1960), Femmine di lusso (1960), Chiamate 22-22 tenente Sheridan (1960). Messalina venere imperatrice (1959) lo vede solo assistente alla regia. Il 1961 è l’anno in cui Tessari debutta alla regia, scrivendo pure il soggetto di Arrivano i Titani e facendo debuttare un giovane di belle speranze come Giuliano Gemma che diventerà una star del cinema italiano. Arrivano i Titani è una parodia di un genere al quale ha dedicato tutta la prima parte della sua carriera. La pellicola anticipa il western all’italiana, che sarà un altro degli amori di Tessari, ma soprattutto il western comico e scanzonato di Enzo Barboni. Il soggetto e la sceneggiatura sono di Duccio Tessari ed Ennio De Concini, le musiche di Carlo Rustichelli, il montaggio di Maurizio Lucidi, la fotografia di Alfio Contini. Produce Franco Cristaldi. Interpreti: Pedro Armendáriz (Cadmo), Giuliano Gemma (Crios), Jacqueline Sassard (Antiope), Antonella Lualdi, Serge Nubret, Gérard Séty, Tanya Lopert, Ingrid Schoelle, Franco Lantieri, Monica Berger, Maria Luisa Rispoli, Isarco Ravaioli, Aldo Podinottì, Fernando Rey, Fernando Sancho, Alfio Caltabiano, Ileana Grimaldi ed Erika Spaggiari. L’azione si svolge a Creta, governata dal folle tiranno Cadmo, che ha avuto una terribile profezia: perderà il trono se la figlia Antiope si innamorerà. Cadmo si autoproclama Dio, rende immortale anche la moglie, quindi rinchiude la figlia in una prigione dorata, privandola di contatti con l’esterno. Giove, che non sopporta miscredenti e tiranni dispotici, si adira con Cadmo e manda sulla Terra il Titano Crios con il compito di uccidere il signore di Creta. Al termine di una serie di avventure mirabolanti, Crios corona il suo sogno d’amore con Antiope e l’intervento degli altri Titani provoca una rivolta popolare contro il tiranno. Duccio Tessari dopo aver sceneggiato molti peplum seriosi e avventurosi si dedica alla smitizzazione del genere, chiamando a interpretare la pellicola un insolitamente biondo Giuliano Gemma, alla prima prova come attore dopo anni di gavetta. La pellicola può dirsi riuscita anche per merito dell’interpretazione sopra le righe di un ottimo Giuliano Gemma. L’attore rende credibile un personaggio scaltro e acrobatico, che lotta per la libertà e per conquistare il suo amore. Il regista e lo sceneggiatore compongono un calderone di ricordi mitologici che vanno da Polifemo alle Parche, passando per la Gorgone, Plutone e il regno negli inferi, ma ben amalgamato e ancora oggi godibile in un contesto ironico e di pura azione. Le sequenze che vedono Giuliano Gemma e i suoi fratelli Titani impegnati in solenni scazzottate anticipano il clima da spaghetti – western e il cinema comico anni Ottanta di ambientazione western. Arrivano i Titani è un interessante esempio di commistione dei generi, perché al suo interno troviamo il peplum classico rivisto alla lente dell’ironia tipica di Tessari, il melodramma, l’action – movie, suggestioni horror, elementi di cinema fantastico e parti di puro romanticismo. Un film sperimentale, una provocazione a metà strada tra il mitologico e il melodramma sentimentale. Le scenografie sono spesso di cartapesta colorata, ma si segnalano ottimi esterni e parti suggestive girate all’interno di grotte che compongono una buona atmosfera infernale. Il clima da horror fantastico è evidente nelle scenografie cupe, nella discesa negli inferi e in alcune sequenze che vedono protagonisti ciclopi, esseri mitologici e divinità dell’Olimpo. Puro cinema fantastico quando Giuliano Gemma ruba l’elmo di Plutone che lo rende indivisibile ai soldati del signore di Creta. Le sequenze di azione sono spettacolari e Giuliano Gemma fa sfoggio di tutta la sua prestanza fisica e abilità di acrobata. Il messaggio politico è presente come in tutti i peplum, anche se molto sfumato: “Le parole di un uomo libero nessuno può imbrigliarle”, dice Giuliano Gemma in una delle prime sequenze. Segnaliamo diversi falsi storici e commistioni di usanze che non hanno niente a che vedere con la Grecia, come quando il regista mette in scena una sorta di corrida tra tori e amazzoni, che sembra un inserto riempitivo prelevato da un’altra pellicola. Il personaggio interpretato da Giuliano Gemma è un abile ribelle dalla lingua sciolta, che sfida il signore di Creta per amore e per compiere il volere di Zeus. Il suo messaggio è non violento e cavalleresco: “Basta vincere. Non c’è bisogno di uccidere”. Jacqueline Sassard è bella ed espressiva, perfetta nella parte della ragazza ingenua, sacrificata al volere di un dispotico padre. A un certo punto si intravede, molto sfumato, pure un seno nudo. Il massimo dell’erotismo per i tempi, insieme ad alcuni baci sensuali. Il finale vede la consueta sfida tra buono e cattivo con conseguente liberazione della bella in pericolo, ma anche un velato romanticismo con la storia d’amore che giunge a compimento. I Titani liberano Creta da un signore dispotico e si abbandonano alla consueta ironia: “Questa è stata proprio un’impresa titanica!”. Da riscoprire.
Tessari e lo spaghetti-western
Altre sceneggiature peplum e storiche di questo periodo: Maciste contro il vampiro (1961), Ercole alla conquista di Atlantide (1961), Le meraviglie di Aladino (1961), Maciste alla corte del Gran Kahn (1961), Ercole al centro della Terra (1961), Marco Polo (1961), Romolo e Remo (1961).
La seconda regia di Duccio Tessari è un remake de Il fornaretto di Venezia (1939) di John Bard (Dulio Coletti), che nel 1963 esce con identico titolo, replicando la storia cinquecentesca del figlio di un fornaio veneziano capro espiatorio per un delitto maturato nell’ambito della nobiltà. Duccio Tessari e regista e sceneggiatore insieme a Marcello Fondato, ma la base del racconto è il dramma di Francesco Dall’Ongaro, riconvertita – secondo Goffredo Fofi – a “metafora sul conservatorismo illuminato e la rivoluzione proletaria”. Un lavoro interessante, a metà strada tra il giallo e l’apologo politico, che non si limita a raccontare una vicenda ma cerca di lanciare un messaggio basato su una lettura morale dell’opera e su una precisa ricostruzione storica. Interpreti: Gastone Moschin, Stefania Sandrelli, Michèle Morgan, Enrico Maria Salerno,. Sylva Koscina, Jacques Perrin.
Tessari resta a Venezia per la sceneggiatura de Il ponte dei sospiri (1963), quindi gira La sfinge sorride prima di morire (1964), noto anche come Stop Londra, un film minore che esula dai generi sino a questo momento sperimentati per dirigersi verso lo spionistico – avventuroso. Il film è ambientato in Egitto (da Demofilo Fidani) e alla base della vicenda ci sono alcuni lingotti d’oro rubati da una banca del Cairo concupiti da diverse persone. Il cast tecnico è ottimo. Tessari scrive il soggetto e lo sceneggia insieme a Guido Zurli, Aristide Massaccesi è l’operatore alla macchina, Camillo Teti si occupa della produzione. Interpreti: Tony Russel, Maria Perschy, Manuela Kent, Ivan Desny, Tullio Altamure, Franco Ressel, Gigi Ballista.
Molto importante la sceneggiatura di Per un pugno di dollari (1964), scritta insieme a Fernando di Leo e al regista Sergio Leone, che porta Tessari a contatto con il cinema western, genere che lo consacrerà al successo popolare. Il quarto film di Tessari da regista è Una voglia da morire (1965), certo non annoverabili tra le sue cose memorabili, anche se tra gli interpreti troviamo Annie Girardot, coadiuvata da Alberto Lionello, Raf Vallone e Michel Lemoine. Una pellicola drammatica che racconta le vicissitudini di due ricche borghesi milanesi in vacanza ad Arenzano che per dimostrare il loro potere di seduzione si improvvisano prostitute per una notte. Finirà male. Una viene uccisa e l’altra torna a Milano terrorizzata. I borghesi non possono permettersi lo scandalo, per questo i mariti nascondono i fatti e mettono a tacere i pettegolezzi.
Il cinema western è il prossimo passo di Tessari che scrive la sceneggiatura di Sette pistole per i Mac Gregor (1965) e subito dopo scrive il soggetto e dirige i suoi due successi indimenticabili: Una pistola per Ringo (1965) e Il ritorno di Ringo (1966). Nel primo film Giuliano Gemma si fa chiamare Montgomery Wood, mentre gli altri protagonisti sono Fernando Sancho, Hally Hammond, Nieves Navarro e Antonio Casas. Ringo (detto Faccia d’Angelo) è un fuorilegge solitario che recita la parte del buono perché aiuta uno sceriffo a sconfiggere una banda di pericolosi banditi. Due miliardi d’incasso e fama meritata per Giuliano Gemma, mentre esplode la western mania e Tessari si unisce ai migliori autori del filone mettendo in scena una storia classica, non molto originale, ma girata senza sbavature. Effetti speciali notevoli, sequenze rapide, velocità di esecuzione, ritmo, ironia, sono le armi vincenti del cinema di Tessari. Il ritorno di Ringo è un ottimo sequel ispirato all’Odissea, scritto da Tessari e Fernando di Leo, interpretato ancora da Gemma (Wood) e da Sancho, ma pure da Lorella De Luca (si fa chiamare Hally Hammond), Nieves Navarro e Atonio Casas. Ringo torna a casa dopo aver combattuto nella guerra di Secessione, scopre che il suo villaggio è nelle mani dei banditi e si rende conto che la moglie (De Luca) sta per cedere alle loro lusinghe. Proprio come Ulisse viene creduto morto, si presenta vestito da vagabondo e uccide i suoi nemici uno dopo l’altro. Molta ironia nel testo ma anche citazioni precise del poema omerico, a dimostrazione che la grande letteratura si presta a ogni trasposizione. Musiche di Ennio Morricone.
Il noir ironico e il cinema avventuroso
Giuliano Gemma si conferma attore prediletto da Tessari anche nell’insolito film di spionaggio di produzione italo spagnola Kiss Kiss… Bang bang (1966). Bruno Corbucci, Ferdinando di Leo e Duccio Tessari scrivono soggetto e sceneggiatura, condendo la trama avventurosa con un pizzico di ironia. Il cast è quasi identico ai due Ringo: Giuliano Gemma, George Martin, Lorella de Luca, Nieves Navarro, Daniele Vargas. Gemma è un sergente traditore dei servizi segreti che può riabilitarsi e sfuggire alla pena capitale sottraendo una formula importante al nemico. Per amore… per magia (1967) è una sorta di strampalato musicarello avventuroso scritto da Tessari, Ennio De Concini, Alberto Cavallone e il paroliere Franco Migliacci. Il film sembra realizzato per la televisione, ma il cast è da paura. Gianni Morandi, Rosemarie Dexter, Mischa Auer, Daniele Vargas, Gianni Musy Glori, Harold Bradley, Lorella de Luca, paolo Poli, Tony Renis, Mina, Rossano Brazzi, Sandra Milo. La storia ambienta in tempi moderni La lampada di Aladino, la mette in musica con protagonista Gianni Morandi (Aladino), inserisce una bella figlia del Granduca (Dexter) promessa sposa che va difesa dal cattivo Visconte (Vargas).
Tessari non abbandona la sceneggiatura di pellicole western e avventurose: Dick Smart 2.007 (1967), Un treno per Durango (1967), Dio perdoni la mia pistola (1967), ma ormai la sua strada è la regia, con film di cui è quasi sempre autore.
Meglio vedova (1968) è un mafia-movie di scarso interesse, ma anche una storia d’amore tra un ingegnere inglese e la figlia di un capo-mafia, che porta il primo ad assecondare le regole dell’onorata società. Si tratta di una commedia, in fondo, ma di poche pretese. Regia alimentare di Tessari che dirige Virna Lisi, Peter McEnery, Lando Buzzanca, Jean Servais, Gabriele Ferzetti e Nino Terzo. Ci sono le intenzioni satiriche ma la Sicilia è dipinta in maniera didascalica e il discorso sulla mafia procede per luoghi comuni.
I bastardi (1968) è uno dei film più citati nelle filmografie di Tessari che dirige un cast stellare: Giuliano Gemma, Klaus Kinski, Margaret Lee, Rita Hayworth, Claudine Auger, Serge Marquand, Umberto Raho. Soggetto e sceneggiatura di Duccio Tessari, Mario Di Nardo ed Ennio De Concini, per un film girato negli Stati Uniti con alcune vecchie glorie americane. Una storia che racconta la spietata vendetta di Giuliano Gemma che dopo una rapina viene tradito dalla sua ragazza (Lee) e dal fratellastro (Kinski) e si ritrova con i tendini della mano destra distrutti. Rita Hayworth è la madre alcolizzata dei due protagonisti. Kinski è perfetto nella parte del fuorilegge cattivo che vuole la donna del fratello e il bottino della rapina. Gemma ucciderà Kinski, ma sarà fatto fuori dalla madre che nonostante tutto amava il figlio peggiore. La critica alta distrugge il film come “un modesto lavoro nella media delle pellicole girate da autori italiani in America e interpretati da vecchie star ormai alla frutta” (Mereghetti), ma tra i critici di bocca buona c’è chi si accontenta e lo ritiene un lavoro che anticipa Tarantino (Marco Giusti) .
Vivi o preferibilmente morti (1969) vede ancora interprete Giuliano Gemma, vero e proprio attore feticcio di Tessari, per un ritorno al western – questa volta farsesco – di produzione italo spagnola che non delude le attese. Tra gli interpreti ricordiamo il pugile Nino Benvenuti, la giovanissima Sidney Rome, Cris Huerta e George Rigaud. Ennio Flaiano è l’autore di questo western insolito che scorre veloce e divertente come una commedia. Tessari è bravo alla regia e con grande mestiere riesce a dare brio alle scene di azione. Gemma e Benvenuti sono i folli protagonisti, due cugini senza un soldo in tasca, che devono incassare un’eredità, cercano di commettere qualche reato ma non ci riescono e finiscono per aiutare la legge. I due cugini sono costretti a una convivenza difficile per sei mesi, come clausola prevista per incassare l’eredità del nonno. La pellicola non piace per niente a Paolo Mereghetti e a Marco Giusti che la demoliscono senza pietà, sia per un soggetto risibile che per la presenza di Nino Benvenuti, a parere di Giusti “capace di rovinare qualsiasi film”. Certo è che Benvenuti non lavorò più…
Quella piccola differenza (1970) è scritto e diretto da Tessari che cambia del tutto genere per dedicarsi a una commedia trash sul cambio di sesso. Al tempo era una cosa scandalosa e infatti il protagonista (Pino Caruso) rimane sconvolto quando apprende che il suo medico si sta per operare, anche perché lui se la spassa tra moglie e amanti. Interpreti di questa commedia prodotta tra Italia e Francia: Juliette Mayniel, Pino Caruso, Victoria Zinny, Carlo Hintermann, Elisabetta De Galleani (Ely Galleani, in uno dei suoi primi ruoli). Secondo Paolo Mereghetti è “un film volgare e approssimativo”, ricco di “battute e situazioni risapute”. Marco Giusti non apprezza Tessari e pure lui ci va giù pesante: “Tessari e Caruso costruiscono il film sulla nevrosi dell’uomo e tutto diventa di una noia mortale”. Non è un capolavoro, ma preso come commedia senza pretese si guarda ancora con piacere.
Thriller all’italiana, regie alimentari e spaghetti-western
La morte risale a ieri sera (1970) è uno dei migliori film di Tessari che insieme a Biagio Proietti adatta il quarto e ultimo romanzo di Giorgio Scerbanenco, I milanesi ammazzano il sabato, subito dopo che Boisset (Il caso Venere privata) e Fernando di Leo (I ragazzi del massacro) avevano condotto analoghe operazioni. Un bel noir ambientato a Milano con protagonista l’ispettore Duca Lamberti (Wolff) che cerca di chi ha rapito una ragazza handicappata (Bray) per farla prostituire, sfigurarla e infine ucciderla. Una prostituta lo aiuta nella non facile impresa e lo porta a conoscere un mondo notturno ricco di perversione. Il padre (Vallone), un onesto operaio, scopre i colpevoli prima di lui e si fa giustizia da solo. Interpreti: Frank Wolff, Raf Vallone, Gabriele Tinti, Eva Renzi, Beryl Cunningham, Gill Bray, Gigi Rizzi, Checco Rissone, Wilma Casagrande, Jack la Cayenne. I toni del film sono quasi da inchiesta quando il regista cerca di mettere in evidenza la corruzione di una città vittima del benessere. Uscito in dvd come I milanesi ammazzano il sabato, bella colonna sonora jazz di Gianni Ferrio con canzoni di Mina, ottima fotografia di una Milano cupa e spettrale, autunnale e nebbiosa, di Lamberto Caimi.
Forza “G” (1970) è una regia alimentare che non resterà nella storia della produzione di Tessari. Un film sul volo, con protagonista un ragazzo appassionato di aereonautica, arruolato in aviazione, che riesce a diventare pilota della squadriglia acrobatica. Tutti diffidano di lui e della sua eccessiva passione, ma il ragazzo saprà farsi valere. Ottime immagini di volo, bella fotografia aerea, notevoli le sequenze di gara durante le quali il protagonista sperimenta pericolose evoluzioni e vince contro gli inglesi le gare internazionali di Rivolto. Si tratta di una commedia convenzionale con personaggi stereotipati e privi di spessore, salvata da un minimo di umorismo e ironia. Da recuperare solo per le sequenze acrobatiche. Ottimo il cast femminile.
Interpreti: Pino Colizzi, Mico Cundari, Riccardo Salvino, Barbara Bouchet, Magda Konopka e Dori Ghezzi.
Una farfalla con le ali insanguinate (1970) è uno dei film di Tessari che vale la pena rivedere. Il cast è ottimo: Helmut Berger, Giancarlo Sbragia, Silvano Tranquilli, Evelyn Stewart (Ida Galli), Günther Stoll, Wendy D’Olive, Lorella de Luca, Carole André, Wolfang Preiss. Sceneggiatura di Gianfranco Clerici – uno specialista del thriller – con la collaborazione del regista, molto curata e ricca di colpi di scena, piena di finte piste e di possibili soluzioni a un giallo che si guarda ancora con piacere. Interessanti i personaggi che vogliono essere una caricatura della corrotta borghesia milanese e dei giovani figli sessantottini. Lo stile di Tessari è perfetto, tra flashback e inquadrature psichedeliche, molto secondo la moda del tempo. Ottima colonna sonora di Gianni Ferrio. Un giornalista televisivo è accusato di aver ucciso una studentessa, ma mentre lui è in galera l’assassino colpisce ancora. Viene liberato poco prima di essere processato, visto che due delitti molto simili al precedente sono stati commessi da un’altra mano. Il fidanzato di sua figlia gli farà una confessione sconcertante. Viva la muerte… tua! (1971) è un nuovo spaghetti-western, versione tortilla, perché ambientato in Messico, interpretato da Franco Nero, Eli Wallach, Lynn Redgrave, Horst Janson, Marilù Tolo, Eduardo Fajardo. Una tantum manca Giuliano Gemma, ma i protagonisti sono due colonne del genere e non lo fanno rimpiangere interpretando due banditi evasi di galera grazie a una giornalista che li credeva rivoluzionari. Siamo ai tempi della rivoluzione messicana, uno sceriffo corrotto aiuta a evadere un bandito e il suo compare, che si spaccia per principe russo. Nero (famoso per Django) e Wallach (il brutto di Sergio Leone) si impadroniscono di un tesoro che finisce nelle mani dell’esercito, per questo si uniscono a un gruppo di rivoltosi messicani, recuperano il bottino e lo spartiscono con loro. I due banditi prendono coscienza della bontà della causa e restano con i peones a lottare per la libertà. La pellicola – con tutti i limiti di un cinema ironico e avventuroso – può essere inserita tra i cosiddetti western rivoluzionari. Tessari accentua i toni grotteschi e paradossali, come suo stile, alternando scene di azione ad altissimi livelli a momenti di pura farsa che anticipa le commedie western di Enzo Barboni. Bravissimi Nero e Wallach, coppia ben assortita.
Gli eroi (1973) è un film di guerra girato come un western, interpretato da Rod Steiger, Rosanna Schiaffino, Rod Taylor, Calude Brasseur e Gianni Garko. L’azione si svolge nell’Africa del Nord durante la seconda guerra mondiale e vede protagonista un’avventuriera senza scrupoli (la sensuale Rosanna Schiaffino) che tenta di impadronirsi di un tesoro destinato agli arabi. Dopo alcune peripezie, la ragazza ha la meglio, ma l’intervento dell’Intelligence Service è provvidenziale. La tematica è tipica dello spaghetti – western: una caccia al bottino alla quale partecipano anche soldati degli eserciti in guerra.
Tony Arzenta e il noir alla Melville
Tony Arzenta – Big Guns (1973) è un altro film per cui viene ricordato Duccio Tessari, un’opera importante che convince persino Paolo Mereghetti a concedere tre stelle. Cast di altissimo livello: Alain Delon, Carla Gravina, Richard Conte, Anton Diffring, Roger Hamin, Umberto Orsini, Marc Porel, Giancarlo Sbragia, Lino Troisi, Guido Alberti, Corrado Gaipa, Ettore Manni, Silvano Tranquilli, Nicoletta Machiavelli, Erioka Blanc, Rosalba Neri. Un film duro, un noir moderno e pretarantiniano, sullo stile di molti lavori girati da Fernando di Leo. Soggetto e sceneggiatura di Ugo Liberatore, Franco Verucci e Roberto Gandus. Tony Arzenta (Delon) è un killer affascinante che vorrebbe ritirarsi dall’ambiente e vivere in pace, ma i suoi datori di lavoro non sono d’accordo. Per questo motivo gli fanno saltare in aria la macchina e per errore non uccidono lui, ma la moglie e il figlio. La vendetta del killer è spietata. Non è facile trovare la versione integrale di questo film che in televisione passa spesso ma tagliato dalle scene più crude. Tony Arzenta è la storia amara e truce di una vendetta, un rape & ravenge duro e spietato, più che “un ibrido tra poliziesco all’italiana e polar”, come scrisse la critica del tempo. Un film che resta nell’immaginario di chi lo guarda per la cura nella ricostruzione storica e per la profondità del carattere dei personaggi. Alla base del film c’è il tradimento, un mondo corrotto dove non ci si può fidare di nessuno. Duccio Tessari – come Fernando di Leo – ama Melville e si vede dalle scelte di regia, dalla violenza estrema e imprevedibile, dalle inquadrature psichedeliche e dai tempi dilatati. Lo stile originale si nota. Tessari realizza il suo capolavoro conclamato. Alain Delon è coproduttore. Gianni Ferrio compone una colonna sonora indimenticabile.
L’uomo senza memoria (1974) è un noir meno ambizioso di Tony Arzenta, ma viene girato con stile identico e non è invecchiato male. Interpreti: Luc Merenda, Senta Berger, Umberto Orsini, Bruno Corazzari, Anita Strindberg, Duilio Cruciani e Manfred Freyberger. Il film è ambientato a Portofino, dove il protagonista – un ottimo Luc Merenda – interpreta un uomo in preda a un’amnesia che torna dalla moglie (Berger) e viene perseguitato da un tipo losco (Corazzari). Il film comincia con Luc Merenda ritrovato accanto a un cadavere, privo di memoria, con la polizia che approfitta del fatto e gli fa credere di essere un’altra persona. L’uomo senza memoria avrebbe nascosto da qualche parte una partita di eroina ed è sul possesso di questo bottino che si scatena la guerra tra bande. Sceneggiatura del regista, Bruno Di Geronimo ed Ernesto Gastaldi, che nonostante alcune carenze strutturali funziona, soprattutto per il finale con rasoio e motosega.
Film girato in una Liguria piovosa e cupa, fotografia suggestiva, azione a buoni livelli.
Uomini duri (1974) è il terzo noir consecutivo girato da Tessari che questa volta ambienta l’azione a Chicago, dove un prete manesco italo – americano (Ventura) e un ex poliziotto nero (Hayes) si mettono insieme per indagare sulla morte di un agente assicurativo che cercava un bottino scomparso. Interpreti: Lino Ventura, Isac Hayes, Willaim Berger, Paula Kelly, Lorella De Luca, Luciano Salce. Soggetto e sceneggiatura di Luciano Vincenzoni e Nicola Badalucco, che vorrebbero scrivere un poliziesco, ma i protagonisti sono così sopra le righe che ne viene fuori un film indefinibile. Isac Hayes è un sassofonista nordamericano che realizza anche la colonna sonora, così come Lino Ventura è più musicista che attore. Una coppia strana, singolare, ma tutto il cast è improbabile, con Luciano Salce impiegato addirittura in una parte da gangster. Molto mestiere e un film artigianale che non va oltre le convenzioni di un genere che Tessari conosce a memoria.
Zorro, Tex e le ultime pellicole fallimentari
Zorro (1975) è uno dei tanti film che vedono protagonista il bandito mascherato, vendicatore degli oppressi, ma questa versione di Tessari avrebbe l’ambizione (non riuscita) di essere definitiva. Zorro – Don Diego de la Vega è niente meno che Alain Delon, mentre la sua bella è Ottavia Piccolo, gli altri interpreti sono Stanley Baker, Adriana Asti, Moustache, Giampiero Albertini, Enzo Cerusico. Un tentativo di riportare in voga i vecchio e gloriosi film di cappa e spada che hanno fatto il loro tempo, portato sul grande schermo da un valido artigiano, esperto nelle scene d’azione e abile con le convenzioni dei generi. Il film va bene solo per un pubblico di ragazzini che affolla le sale, decretandone un successo polare sottolineato dalla parodia Il sogno di Zorro (1975) di Mariano Laurenti, interpretato da Franco Franchi orfano di Ciccio Ingrassia. La storia è trita e risaputa, ma Tessari è bravo nella ricostruzione d’epoca e nella scelta degli interpreti. Girato in Spagna, non convince la critica, ma incanta il pubblico infantile.
La madama (1975) segna una caduta verticale di Duccio Tessari che concede un ruolo da protagonista a Christian De Sica, imbranato agente di polizia che indaga sulla morte di un pregiudicato e si trova alle prese con una banda di contrabbandieri internazionali. Lo tira fuori dai guai niente meno che la CIA. Altri interpreti: Oreste Lionello, Carole André, Tom Skerritt, Ettore Manni, Ines Pellegrini, Gigi Ballista, Nello Pazzafini. Il soggetto deriva dal romanzo omonimo di Massimo Felisatti e Fabio Pittorru, basato sui personaggi della serie televisiva Qui squadra mobile, già portati al cinema con A tutte le auto della polizia. La sceneggiatura – scritta dal regista insieme a Felisatti, Pittorru e Fabio Veruicci – trasforma il poliziesco in una sorta di commedia noir che elimina ogni riferimento sociopolitico e non soddisfa neppure i palati di bocca buona. Tentativo non riuscito di lanciare Christian De Sica come nuova stella comica. Musiche di Manuel De Sica. Regia alimentare di Tessari.
Safari Express (1976) si ricorda per il ritorno di Giuliano Gemma in un cast di Tessari e come un buon comico – avventuroso girato in Africa. Interpreti: Giuliano Gemma, Ursula Andress, Jack Palance, Biba, Nello Pazzafini. Gemma è un avventuriero che insieme a una finta suora (la procace Andress) sventa il tentativo di alcuni speculatori che vogliono arraffare importanti risorse naturali africane. Ursula Andress è una bella e misteriosa ragazza senza memoria che diventa amica di un affascinante Giuliano Gemma, impiegato di un’agenzia turistica africana. Jack Palance è il classico cattivo, un perfido olandese che vuole appropriarsi di un giacimento di uranio e tenta di uccidere la ragazza. Quando la Andress ritrova la memoria il gioco è fatto, perché è stata testimone di tutte le malefatte di Palance. Il film non ha pretese e si rivolge a un pubblico di ragazzini. Tessari fa il verso a Barboni, basando il film sulla coppia improbabile alla Spencer – Hill, corretta al maschile – femminile e composta da due miti del cinema avventuroso. Palese l’ispirazione al precedente Africa Express (1975) di Michele Lupo, interpretato da identico cast, con totale replica della formula: scazzottate, personaggi da fumetto, acrobazie…
L’alba dei falsi dèi (1978) è un film sul nazismo che potrebbe rappresentare una riabilitazione di Tessari verso un cinema di impegno civile. Non è così, perché il regista cade nella caricatura fumettistica e semplifica troppo la vicenda per renderla davvero drammatica. Il film è ambientato nella Germania degli anni Venti e racconta le vicissitudini di due ragazzini coinvolti in una serie di delitti da un fanatico nazista. Bernie e Leo sono due adolescenti dediti al furto, cacciati di casa dal padre, che si rifugiano da uno zio. Quando il padre muore i ragazzi tornano a casa. Bernie trascina Leo in una serie di delitti commissionati da un loro ex compagno di scuola plagiato da un ufficiale delle SS. Una pellicola drammatica troppo convenzionale che vorrebbe essere il romanzo di formazione di un’adolescenza perduta. Pino Farinotti è il solo critico italiano ad apprezzare la pellicola, concedendo addirittura tre stelle. Interpreti ottimi: Helmut Berger, Peter Hooten, Umberto Orsini, Lorella De Luca, Kurt Zips, Udo Kier.
Un centesimo di secondo (1981) è uno dei momenti più bassi della carriera di Tessari, un film sportivo con protagonista Gustavo Thoeni, interpretato dallo stesso sciatore e da Mario Cotelli, Antonella Interlenghi, Saverio Vallone, Renato Antonili, Cesare Anzi. Scritto dal regista con Massimo De Rita, fotografia di Cristiano Pogany, musiche di Stelvio Cipriani. Ispirato al grave incidente subito dallo sciatore Leo David. Non l’ha visto nessuno, per fortuna. Patetico e retorico come un lacrima movie uscito fuori tempo massimo. Alcuni discesisti della nazionale si stanno allenando su un percorso molto difficile, quando uno di loro esce di pista e subisce una grave menomazione. Gustavo (Thoeni), nei panni di se stesso, come atleta importante e campione carismatico, tira su il morale dei compagni e li convince ad allenarsi ancora. “Vinceremo e dedicheremo la vittoria al nostro compagno!”, dice. Un centesimo di secondo non sembra neppure un film di Tessari, regista ironico specializzato in western e noir, ma anche in cinema avventuroso dotato di grande ritmo. Il film ufficialmente non esiste, i più noti dizionari non lo citano, non figura nei repertori dell’ANICA di Aldo Bernardini e neppure nelle Segnalazioni del Centro Cattolico cinematografico, anche se schedato nel Filmario dello sport di Bertieri-Casiraghi. Marco Giusti su Stracult ne parla come un “totale disastro mélo sportivo costruito sulle non grandi capacità recitative di Gustavo Thoeni”. Giovanni Buttafava su Il patalogo scrive: “Ovvero l’impossibilità di confezionare un normale film d’azione italiano, specialmente se condito col lievito di una presenza divistica autentica (Gustavo Thoeni), specialmente se girato con questa fretta, con questi attori, con questo gusto cinico del melodramma”. E pensare che il produttore lo lanciava come: “Un film spettacolare, romantico, allegro. Due ore di assoluto divertimento”.
Tex e il signore degli abissi (1985) arriva quattro anni dopo ed è un’occasione perduta per rivitalizzare lo spaghetti-western e per rendere omaggio a un personaggio importante del fumetto italiano come Tex. Torna Giuliano Gemma, icona del Tessari-movie, nei panni di un improbabile Tex, coadiuvato da William Berger (Kit Carson), Carlo Mucari (Tiger Jack), Isabel Russinova, Peter Berling, Flavio Bucci, Gian Luigi Bonelli (il papà del fumetto nei panni dello stregone indiano), José Luis de Villalonga (il dottor Warton). Il film è tratto da una delle storie più belle di Tex, dal taglio fantasy avventuroso, uscita nel 1948 sui fascicoli 101, 102 e 103 del fumetto, scritta da Gianluigi Bonelli e illustrata dal grande Aurelio Galleppini. Sceneggiatura di Gianfranco Clerici, Marcello Coscia, Duccio Tessari e Giorgio Bonelli. Tex sta indagando su un traffico d’armi al confine tra Stati Uniti e Messico quando scopre che una tribù indiana sta progettando una rivolta contro i bianchi. Gli indiani possiedono una pietra fantastica quanto letale che mummifica istantaneamente i corpi. La parte soprannaturale che spesso leggiamo nelle avventure Tex è salva, ma non la suggestione del personaggio che nella trasposizione filmica perde molto del suo fascino. Giuliano Gemma non si cala al meglio nella parte e Tessari non pare consapevole del compito storico di portare al cinema un’icona del fumetto italiano. Il film è un esperimento pilota di una serie che muore sul nascere. Marco Giusti su Stracult lo rivaluta dopo una visione televisiva: “Rivisto oggi è divertente. Funziona anche bene come audience in tv”. Il film viene presentato a Venezia come la risposta italiana a Indiana Jones.
C’era un castello con 40 cani (1990) è l’ultimo film di Tessari uscito sul grande schermo. Interpreti: Peter Ustinov, Roberto Alpi, Salvatore Cascio, Gina Rovere, Delphine Forest, Jean.Claude Brialy. Non si ricorda come un film indimenticabile. Favoletta ecologica che narra la scelta di un manager che si ritira in una villa di campagna dove vive circondato da cani difendendo la natura. Ustinov è un veterinario saggio ed ecologista, Alpi è il manager pentito che lotta contro le speculazioni edilizie. Tratto da un romanzo di Remo Forlani, “un film solo per cinofili”, ironizza Mereghetti. Non sappiamo dargli torto. Pino Farinotti è il solo a rivalutare il film come “una favola moderna di taglio ecologico, ambientata in una Toscana da cartolina”.
Gli ultimi lavori di Tessari sono per la televisione: Il principe del deserto (1990) e Il Gorilla – Bomba nell’oasi (1992).
Il principe del deserto è uno sceneggiato che va in onda ogni martedì dal 19 marzo 1991 su Canale 5, scritto e sceneggiato da Adriano Bolzoni. Tra gli interpreti si ricordano la fascinosa Carol Alt e Kabir Bedi (il Sandokan di Sollima), ma ci sono anche Omar Sharif, Elliot Gould, Peter Sands, Brett Halsey, Stewart Jan Bick, David Flosi, Dilum Nanayakkara, Larry Dolgin, Lee Moore, Ahmed Marey. Il lavoro televisivo gode di ottime scenografie e costumi curate da Luciano Sagoni, ma soprattutto della colonna sonora di Ennio Morricone. Si tratta di una favola esotica in tre puntate ambientata nel deserto marocchino dove l’affascinante Carol Alt si reca alla ricerca del figlio adolescente, rapito dal padre (Bedi) che vuole farlo diventare principe del deserto. Il cast è eccellente ma il discorso che il regista tenta di fare (contrasto tra occidente e mondo arabo) trasuda retorica da ogni fotogramma. Il Gorilla – Bomba nell’oasi è il secondo lavoro televisivo di Tessari, sempre di ambientazione esotica, ma puramente alimentare.
Beyond Justice (1992) è l’ultimo film diretto da Duccio Tessari, scritto da Sergio Donati e Adriano Bolzoni, girato da New York e il deserto marocchino. Non è mai uscito sugli schermi italiani. Possiamo reperire in rete il trailer in lingua inglese di un film avventuroso che ricrea identica ambientazione del televisivo Il principe del deserto. Persino il cast è quasi lo stesso: Rutger Hauer, Carol Alt, Omar Sharif, Elliott Gould, Kabir Bedi, Stewart Bick, David Flosi, Brett Halsey, Peter Sands. Ottime le scene d’azione, perfetta la ricostruzione ambientale, eccellenti le scenografie. Il cast è internazionale.
Giuliano Gemma e Duccio Tessari
Giuliano Gemma è l’attore che meglio rappresenta Duccio Tessari, un vero e proprio feticcio, icona del peplum ironico e del western all’italiana, più o meno classico.
“Il primo film che ho fatto con Tessari è Arrivano i Titani, il mio debutto come attore, un lavoro che smitizza il peplum dove recito con il mio vero nome. Il primo western che ho interpretato è Una pistola per Ringo (1965), film in cui nasce il mio pseudonimo, Montgomery Wood. Si trattava di una condicio sine qua non per fare il film, imposta dalla produzione che voleva venderlo come nordamericano. Era una moda. Mi obbligarono e lo pseudonimo lo scelse il produttore. A me andava bene tutto. Sono riuscito a usare il mio vero nome solo a partire dal terzo western come protagonista. Ho fatto due western della serie Ringo, entrambi con Tessari, tutti e due buoni lavori, ma fondamentalmente diversi l’uno dall’altro. Una pistola per Ringo è un film ironico, nelle corde di Tessari, girato con il suo inconfondibile stile. Il ritorno di Ringo è un film drammatico, ispirato all’Odissea. Il primo è più divertente, il secondo più serio. Sono due film coprodotti con gli spagnoli, girati nella penisola iberica, interpretati da Fernando Sancho, persona simpatica e grande mangiatore, che poi ho ritrovato in Arizona Colt (Michele Lupo, 1966, nda). Nel cast ricordo anche George Martin, un ginnasta spagnolo molto atletico con cui spesso mi allenavo. E che dire di Pajarito? Un personaggio inventato da Tessari, uno spagnolo che parlava in modo buffo e si occupava di produzione. Tessari lo utilizzò come attore dandogli il soprannome che aveva nella realtà. Una pistola per Ringo è un film ironico che anticipa il western comico di Barboni, alternativo al cinema di Leone, ma non meno violento, nonostante l’ironia. Nella mia carriera non ho mai interpretato personaggi cliché, né stereotipi. Pure nei due film della serie Ringo differenzio i personaggi. Nel primo sono un pistolero ironico e strafottente. Nel secondo sono un eroe cupo e represso che torna a casa dopo una lunga guerra, una sorta di Ulisse – Ringo. Vivi o preferibilmente morti è un altro western diretto da Tessari, sceneggiato niente meno che da Ennio Flaiano, nato dalla mia amicizia con Nino Benvenuti sin dai tempi del militare. Si sperava che andasse meglio, che la coppia Gemma – Benvenuti portasse più gente al cinema, che il debutto di Sidney Rome incuriosisse il pubblico. L’incasso non fu male, comunque, ma la critica distrusse il film. Ma il vero insuccesso tra i lavori di Tessari da me interpretati fu Tex e il signore degli abissi (1985), una pellicola che non era western all’italiana e che non funzionò per niente. Credo che sia il peggior western di Tessari, nonostante ci fosse William Berger, un ottimo attore. La storia era sbagliata, servivano troppi soldi per realizzarla, ma noi disponevamo di un budget irrisorio. La produzione non aveva la possibilità di costruire un accampamento indiano di venti tende (ce n’erano soltanto tre) e neppure di affittare cinquanta cavalli (erano dieci). La storia di Tex venne scelta male perché troppo complessa e costosa da realizzare al cinema. Conoscevo bene i fumetti di Tex, un eroe della mia infanzia, ed ero orgoglioso di prestare il volto al ranger mezzo sangue. Ma avremmo dovuto sceneggiare una storia low-budget, stile spaghetti-western, non un soggetto ambizioso che finì per restare irrisolto. Persino Gianni Ferrio compose una musica anonima, in piena sintonia con il film. L’insuccesso fu così clamoroso che bloccò l’idea di girare una serie di ventuno film televisivi con protagonista Tex. Una pistola per Ringo resta il mio film preferito, comunque. Forse perché il primo western non si scorda mai…”
Ernesto Gastaldi e Duccio Tessari
Abbiamo avvicinato lo sceneggiatore Ernesto Gastaldi per avere un’opinione su Duccio Tessari, il parere di un uomo che ha lavorato spesso con il regista genovese.
“L’ultima volta che ho lavorato con Tessari fu sul finire del 1985 per la serie TV Caccia al ladro d’autore, per l’episodio Il ratto di Proserpina. C’era una scena dove un elicottero rubava il famoso gruppo marmoreo dalla galleria Borghese e lo portava attraverso il cielo di Roma. La copia era fatta bene, in gesso, leggera, ma il passaggio sollevò denunce ai carabinieri e allarme. Molti credettero che fosse il vero gruppo del Bernini a volar via da Roma. Ridemmo molto e fu l’ultima volta che risi con Duccio. L’avevo incontrato per la prima volta verso la metà degli anni Sessanta, scapolo e bohemien. Era un uomo scanzonato e affascinante. Come mi strinse la mano mi confessò che, anni addietro, per bisogni alimentari, aveva venduto un copione intitolato Semiramide dopo aver strappato la prima pagina su cui c’era scritto il mio nome. Io non ricordavo neppure di averlo scritto quel copione, probabilmente un reperto degli anni in cui scrivevo scrivevo scrivevo nella speranza, di solito vana, di vendere qualcosa per vivere. Mi disse che gli avevano dato cinque milioni, di lire ovviamente. Mi congratulai con lui. Duccio aveva un senso ironico della vita e un’intelligenza acuta. Amava vestirsi da dandy e ordinava dozzine di vestiti da grandi sarti che poi non poteva pagare. Una volta ebbi la fortuna di assistere a una scena davvero divertente. Un sarto creditore si era fatto petulante ed esigeva di essere pagato. Duccio lo guardò come un nobile può guardare un misero plebeo e gli rispose: Vede, signore – calcando ironico sulla parola – io ogni anno a Natale metto i nomi dei miei creditori in un cappello e ne estraggo uno a sorte che pago. Lei quest’anno non sarà nel cappello. Nel 1974, su istigazione di Luciano Martino, scrissi per lui, e solo con lui, (spesso spuntano strani nomi di collaboratori mai visti!) un film dal titolo L’uomo senza memoria (nel mondo anglosassone distribuito col titolo Puzzle). Ora quell’uomo sono io perché non ricordo quasi nulla di quella storia. Mi vengono in mente alcune scene, come quella dei fiammiferi lanciati contro una Senta Berger inzuppata di benzina, sempre lei con una sega elettrica che affetta qualcuno e uno splendido Luc Merenda nel pieno delle sue attrattive fisiche. Ho incontrato pochi giorni fa Luc Merenda a Stracult la trasmissione di Marco Giusti e l’ho trovato ancora in splendida forma: anche lui ha un buon ricordo di Duccio Tessari, uno dei tanti nostri registi troppo intelligente per prendersi davvero sul serio e impegnarsi in grandi film. Chiunque abbia avuto la fortuna di lavorare con Duccio ne ha un vivo divertente ricordo. Forse tranne i suoi sarti”.
Biagio Proietti e Duccio Tessari
Abbiamo parlato con Biagio Proietti che ha collaborato con Duccio Tessari per la sceneggiatura de La morte risale a ieri sera. Questa la sua dichiarazione inedita e in esclusiva.
“Nel 1969 Duccio Tessari mi chiamò per sceneggiare con lui e per la sua regia il romanzo di Giorgio Scerbanenco I milanesi ammazzano sabato. Io accettai con molto entusiasmo, sia perché stimavo Tessari come regista, sia perché già amavo Scerbanenco, anche se conoscevo i romanzi con protagonista Duca Lamberti ma non tutti i suoi racconti gialli, che sono stati pubblicati in varie antologie dopo la sua morte, avvenuta proprio nel 1969. L’anno precedente avevo venduto alla RAI un mio romanzo inedito (tale è rimasto) e lo avevo sceneggiato con Daniele d’Anza per la sua regia. Il titolo era Coralba, un giallo in cinque puntate, andato in onda a colori prima in Germania, poi in Francia, in Italia andò in onda in bianco e nero il 2 gennaio 1970. Ricordo ancora che mentre era in onda io continuavo ad andare a casa di Tessari per finire la sceneggiatura del film. Sceneggiatura scritta solo da Duccio e da me, anche se a firmarla c’è il nome di un tedesco che in realtà era il coproduttore e la firmò per motivi di coproduzione. Il lavoro fu fatto molto in armonia sia per il carattere di entrambi che non amiamo mai urlare ma convincere il partner, sia perché il nostro intento era di tradurre quanto più fedelmente possibile il mondo di Scerbanenco. Qualche tradimento lo abbiamo fatto, soprattutto sul personaggio di Livia, trasformata in una giornalista di successo, ispirandoci alla Oriana Fallaci di allora. La spiegazione è che il personaggio di Livia nasce in un altro romanzo e si completa negli altri tre, con il rischio che, visto solo per quello che faceva in questo romanzo, potesse sembrare molto limitato e opaco. La trasformazione in giornalista che faceva reportage internazionali sulle stragi nel mondo ci permetteva di dare al dolore di Lamberti, alla sua lotta contro la violenza, una valenza non solo privata. Serviva a dare una giustificazione alla rabbia di Duca contro le ingiustizie del mondo, contro la ferocia del mondo che lo circondava. Io ricordo che per i dialoghi usammo molto quelli originali a riprova della grande capacità di Scerbanenco di usare un linguaggio molto parlato, spesso cadenzato sui ritmi del dialetto. Recentemente mi è capitato di partecipare a un convegno universitario sull’uso del dialetto nei suoi libri e tutti si stupirono quando dissi che Scerbanenco era un grande scrittore, non poteva fare a meno di far parlare i suoi personaggi come nella vita, altrimenti non sarebbero mai diventati così grandi. Se vogliamo, Duca Lamberti è forse il personaggio più bello della letteratura gialla italiana e non a caso qualche anno fa la Garzanti lo fece rivivere nell’antologia Il ritorno del Duca, chiedendo ad autori italiani contemporanei di farlo diventare protagonista di un proprio racconto. Ero fra gli invitati, scrissi un racconto intitolato La morte risale a ieri sera, come il film, non per mancanza di fantasia, ma perché ho immaginato che il commissario Duca Lamberti fosse invitato ad assistere alle riprese di un film girato sul caso che ha appena risolto, quello raccontato nel romanzo. Così Duca si trova davanti il suo doppio, l’attore che lo interpreta, Frank Wolff. La fantasia s’incontra con la realtà e i risultati possono essere devastanti: alla fine del romanzo, Scerbanenco scrisse che Duca Lamberti veniva riabilitato come medico dopo essere stato radiato per eutanasia. Io faccio finire il mio racconto con Duca, di turno notturno in ospedale, che è chiamato per un pronto intervento e si trova davanti al suo doppio, l’attore, morto per essersi suicidato. Vi sorprende se vi dico che l’idea mi è venuta perché il mio amico Frank Wolff si tolse la vita veramente. Allora dov’è la realtà? Dov’è la finzione? Voglio aggiungere due cose: a riprova della fama attuale di Giorgio Scerbanenco, per l’uscita del film in dvd si è preferito dare il titolo del romanzo I milanesi ammazzano il sabato, ma confermo che il titolo del film è sempre stato e sempre sarà La morte risale a ieri sera. A mio avviso, Scerbanenco non ha avuto una grande fortuna negli adattamenti cinematografici e televisivi, credo che questo film sia il più bello, con Milano calibro 9, che Fernando di Leo ha tratto dal racconto omonimo. Naturalmente non lo dico perché ho partecipato alla sceneggiatura, ma perché ritengo che sia quello più vicino al mondo di Scerbanenco e soprattutto al suo stile. La regia, la fotografia, il taglio delle scene restituiscono il mondo triste e violento, umano e disperato dello scrittore. Dopo di questo, lavorai con Duccio Tessari per altri due progetti ma non andarono in porto, io credo che un giorno sarebbe necessario scrivere una storia dei tanti progetti che non sono andati a buon fine, spesso per ragioni misteriose o incomprensibili. Uno di questi ad esempio fu il trattamento che scrissi ispirato all’inedito Le sei assassine, di Scerbanenco, che la stessa società di produzione mi affidò per fare un film, visto il successo anche economico del primo. Tutto scomparve nelle nebbie della Lombardia. A rimanere, la mia passione per quest’autore che tutti finalmente ora considerano quello che indiscutibilmente è: un maestro”.
Giampiero Brunetta e Duccio Tessari
La Storia del Cinema Italiano di Giampiero Brunetta prende in considerazione il lavoro di Tessari con riferimento al peplum e al western all’italiana. Il film mitologico rappresenta un momento di evasione, di fuga dalla realtà.
“Le immagini del passato, delle mitiche origini diventano il luogo ideale, di evasione fantastica e liberazione dal quotidiano per uno spettatore non ancora entrato nella società dei consumi, che si riconosce nei valori di una società patriarcale da cui si sta separando per sempre”. Brunetta afferma che “i film di Freda, Tessari, Cottafavi, Leone, Francisci sono i frammenti di un cantare in cui, partendo verso un nuovo mondo industriale, un’intera civiltà si congeda dal passato restituendogli il volto più nobile”. I film mitologici affermano la loro fiducia antropocentrica, in un momento storico che vede perdere importanza alla figura individuale.
Il passaggio dal peplum al western, con le pistole all’amatriciana, è segnato dal successo di Per un pugno di dollari. I riferimenti dei nostri autori sono alti, perché “Leone e Tessari guardano ai temi omerici e della tragedia oltre che ai modelli narrativi di film giapponesi (come I sette samurai o La sfida del samurai di Kurosawa)”. Brunetta si sforza di definire lo spaghetti – western come un genere a se stante dal western americano, perché ai nostri autori non interessano i motivi biblici della frontiera. “Il racconto è spogliato dall’aura mitica e il contesto si occupa di riprodurre il presente”.
Brunetta definisce Sergio Leone un vero e proprio caposcuola, capace di rovesciare valori fondanti, moltiplicando le fasi di tensione e scomponendo la struttura, usando molti primi piani e mettendo al centro di tutto il punto di vista del personaggio. Ironia e scelta antirealistica sono alla base del western italiano, due elementi che ritroviamo anche in Tessari e Corbucci, giudicati come gli allievi più interessanti del maestro.
“Il western italiano non è interessato al tema del viaggio e alle motivazioni ideali, spesso l’eroe uccide senza giustificazione ed è privo di scrupoli. La tensione narrativa è forte, le carneficine spettacolari, le emozioni continue. Il western all’italiana si distende solo nelle cavalcate, il duello apre e chiude il racconto, le armi assumono un valore totemico. Lo stile, il ritmo narrativo sono opposti al modo di girare nordamericano: si alternano visioni di grandi totali a una serie frantumata di primissimi piani e dettagli, i tempi sono dilatati e i dialoghi subordinati al linguaggio del contesto. La morte non è mai rappresentata in maniera tragica ma spettacolare, riducendo il suo valore di momento estremo”.
Brunetta esprime alcune considerazioni condivisibili sul ruolo del western nella società dei consumi: “Se il film mitologico è il corrispettivo mitico di una società agricola a struttura patriarcale, il western si presenta come un genere perfettamente omologo a una società in cui l’aumento dei consumi, la maggiore circolazione del denaro, la progressiva industrializzazione dissolvono, in un attimo, miti e valori finora rimasti immutati”. Non solo: “Il western diventa un mezzo privilegiato che respira il clima politico studentesco e si presenta come un manuale di guerriglia per il consumo di massa. Tra i primi film di Leone e Tessari e quelli di Sollima e Damiani esiste una fase di apertura in tutte le direzioni: il genere diventa una legione straniera che accoglie i reduci e i fuggiaschi da qualsiasi territorio vicino e lontano, i diseredati del neorealismo, i mercenari e i registi di ventura…”. Brunetta afferma che il western di Leone Tessari è sempre temprato dall’ironia, mai eccessivamente violento e sadico, componenti che si accentueranno con Questi, Bava e Freda. In compenso, lo spaghetti – western di Tessari anticipa in qualche modo, con le sue componenti comiche, l’arrivo di Enzo Barboni (E.B. Cloucher) con il suo Lo chiamavano Trinità (1970) che porta nel western chiare componenti eroicomiche.
Gianni Canova e Duccio Tessari
Gianni Canova ne l’Enciclopedia del Cinema Garzanti scrive: “Duccio Tessari nella sua lunga carriera scrive e realizza film di genere diverso. Dopo aver lavorato solo come sceneggiatore, esordisce nel 1961 con un kolossal mitologico scritto insieme a Ennio De Concini, Arrivano i Titani, gustosa rivisitazione del peplum. La sua passione per il cinema di genere lo porta a misurarsi con il western, la commedia, il poliziesco, il melodramma, il thriller, il gangster, il musical, il film d’avventura e di guerra. Si muove a proprio agio quando racconta, non senza ironia, scazzottature e duelli del pistolero Ringo (Una pistola per Ringo e Il ritorno di Ringo, 1965) o descrive le indagini di Duca Lamberti nella detective story La morte risale a ieri sera,1970), dal romanzo di Giorgio Scerbanenco, ambientata in una Milano malinconica e brumosa. Il suo film più riuscito e intrigante è certo il noir Tony Arzenta (1973), in cui una sapiente narrazione, sostenuta da una regia intelligente e creativa, accompagna il protagonista Alain Delon in una disperata ricerca di vendetta”.
Roberto Poppi e Duccio Tessari
Abbiamo avvicinato Roberto Poppi che ci ha fornito un importante contributo, utile a definire un regista dalle mille sfaccettature come Duccio Tessari.
“Amedeo Tessari, per tutti Duccio, nasce con un dono prezioso: ha nel dna l’ironia, privilegio di pochi eletti. Se ha in mano un giocattolo lo smonta e poi lo rimonta a sua immagine e somiglianza. Non ci mette molto a tirar fuori da anima e corpo ciò che gli sta stretto e che deve esplodere. Il tempo di imparare il mestiere calpestando set con maestri lontani anni luce dalla sua poetica, da Gallone a Cottafavi, Bonnard e Malasomma. Quando gli dicono: ecco questo film è tutto tuo, lui che conosce il peplum più delle sue tasche, si diverte come un bambino a girare Arrivano i titani, una baracconata goliardica e geniale che irride con appassionata dolcezza e malcelato amore tutte le fatiche di cento Ercole e Maciste passate e future. Nel 1964 avventurieri senza nome sbucano dal nulla cavalcando ronzini e mettendo zizzania fra i Baxter e i Rojo e il Nostro ci va a nozze. Fra i cento che millantano una collaborazione a Per un pugno di dollari c’è anche lui (che non millanta) e possiamo scommettere un anno di vita che quanto c’è d’ironico e grottesco nel film di Leone è farina del suo sacco. Col western decide di giocarci con leggerezza, non cerca leonate o corbucciate, né tanto meno le implicazioni politiche che verranno. Con i suoi Ringo scomoda anche Omero, ma dandogli un’amichevole pacca sulla spalla. Come per dirgli: si fa per ridere, non te la prendere. Qualche anno dopo scrittura un pugile (Nino Benvenuti) e gli fa fare il protagonista, sempre di un western: se volete capire capitelo, sembra dire. E strizza l’occhio al pubblico. Tessari vive in un periodo in cui nel nostro cinema proliferano i generi, dallo 007 al fantasy al poliziesco. Spocchiosi colleghi che nulla sanno fare se non copiare e produrre sbadigli sono messi all’angolo dal nostro Regista. Il cinema deve essere divertimento, io mi diverto e faccio divertire voi. Il più bell’esempio di sfottò è Kiss kiss.. Bang bang. Nel 1967, sempre per la serie so io come farvi sorridere, s’inventa con Per amore… per magia la più strampalata versione della “Lampada di Aladino” esistente, un simil musical che coinvolge personaggi come Franco Cristaldi, Alberto Cavallone (sì, proprio lui, il re “maledetto” della futura trasgressione in pellicola), Franco Migliacci, Gianni Morandi, Mischa Auer, Sandra Milo, Mina e Paolo Poli! Tessari non si ferma lì. Ha l’ardire di stravolgere un giallo di Felisatti e Pittorru (La madama) e farne una commedia goliardica, anche un po’ becera e inventarsi un Christian De Sica, simpatico cialtrone, mettendogli addosso panni di cui non si libererà più. Intendiamoci però: Tessari non era soltanto il dissacratore, il demolitore dei generi, lo smontatore di giocattoli a suo uso e consumo e quello di spettatori smaliziati. Sapeva anche stare nel giardino delle regole senza calpestare i fiori, recitando alla perfezione rosari imposti o comunque accettati. Sapeva raccontare con la maestria del nonno che vuol far contento il nipotino prima di dormire. Capace di affrontare il cinema con la professionalità di pochi, Tessari non era soltanto quello di Meglio vedova ma anche di Quella piccola differenza. Non era soltanto quello di Zorro ma anche di Una farfalla con le ali insanguinate, Non era soltanto quello di Viva la muerte… tua (titolo programmatico) ma anche di Tony Arzenta e L’uomo senza memoria. Sapeva aprire tutte le porte Duccio Tessari – perché aveva in tasca un enorme mazzo di chiavi e qualche magico passe-partout – anche quelle che fanno entrare nella storia del cinema, senza fare anticamera”.
Approfondimento – Tex e il Signore degli Abissi (1985)
Regia: Duccio Tessari. Soggetto: Gianluigi Bonelli (numeri 101 – 102 – 103 Tex). Sceneggiatura: Giorgio Bonelli, Gianfranco Clerici, Marcello Coscia, Duccio Tessari. Montaggio: Mirella Mencio, Lidia Bordi. Fotografia: Pietro Morbidelli. Musica: Gianni Ferrio. Costumi: Walter Patriarca. Scenografia: Antonello Geleng, Walter Patriarca. Effetti Speciali: Paolo Ricci. Stunt Director: Nazareno Zamperla. Operatore di Macchina: Franco Proto. Aiuto Regista. Martin Sacristan, Gabriella Carosio. Assistente alla Regia: Giorgio Bonelli. Consulenza Dialoghi: Selma Dell’Olio, Gianni Galassi. Organizzazione: Gioacchino Marano, José M. Rodriguez, Paolo Bistolfi. Produttore Esecutivo: Enzo Porcelli. Delegati di Produzione: Gabriella Carosio, Pino Ferrarini. Produzione: Rai Tv 3, Cinecittà. Distribuzione: Sacis. Durata. 104’. Genere: Western. Interpreti: Giuliano Gemma, William Berger, Carlo Mucari, Isabel Russinova, Flavio Bucci, Peter Berling, Aldo Sambrell, José Luis De Villalonga, Riccardo Petrazzi, Pietro Torrisi. Esterni: Spagna. Interni: Teatri di Posa Cinecittà.
Tex e il signore degli abissi (1985) è un film che Tessari non avrebbe dovuto fare, anche se è un prodotto meno scarso di quanto si voglia far credere. La produzione tenta di rilanciare lo spaghetti-western e al tempo stesso vuol rendere omaggio al popolare eroe dei fumetti ideato da Gianluigi Bonelli. Giuliano Gemma è il protagonista, ma il cinema western è ormai fuori tempo massimo e il pubblico non premia il coraggio del regista.
Tex e il signore degli abissi (1985) rappresenta un’occasione perduta ma forse nessuno avrebbe potuto coglierla, perché gli anni non passano invano. Torna Giuliano Gemma, icona del Tessari-movie, nei panni di Tex, coadiuvato da William Berger (Kit Carson), Carlo Mucari (Tiger Jack), Isabel Russinova (Tulac, la principessa indiana), Peter Berling, Flavio Bucci (capo indiano), Gian Luigi Bonelli (il papà del fumetto nei panni di uno stregone indiano), José Luis de Villalonga (il dottor Warton). Il film è tratto da una delle storie più belle di Tex, dal taglio fantasy avventuroso, uscita nel 1948 sui fascicoli 101, 102 e 103 del fumetto, scritta da Gianluigi Bonelli e illustrata dal grande Aurelio Galleppini. Il film è sceneggiato da Gianfranco Clerici, Marcello Coscia, Duccio Tessari e Giorgio Bonelli. Il problema sta tutto qui: un film non è un fumetto, certi dialoghi e determinate situazioni credibili in una storia disegnata non vanno bene al cinema. Invece gli sceneggiatori prendono il fumetto e lo riversano su pellicola costringendo Tessari a girare dialoghi improbabili e didascalici. Tex Willer, aiutato da Kit Carson e Tiger Jack, indaga su un traffico d’armi al confine tra Stati Uniti e Messico.
Il ranger mezzosangue, chiamato dagli indiani Aquila Nera, sgomina una banda di rapinatori e trafficanti, che assale i trasporti d’armi dell’esercito per rivenderle a una bellicosa tribù indiana. Sono gli indiani Yaquis, capeggiati dal malvagio Signore degli Abissi, che progettano una rivolta contro i bianchi. Gli indiani possiedono una pietra fantastica quanto letale che mummifica istantaneamente i corpi. Tex risolve tutto, come da logica fumettistica, ma i colpi di scena non mancano.
La parte soprannaturale che spesso leggiamo nelle avventure di Tex è salva, ma non la suggestione del personaggio che nella trasposizione filmica perde parte del suo fascino. Giuliano Gemma non si cala a dovere nella parte e Tessari non è consapevole del compito storico di portare al cinema un’icona del fumetto italiano. Il film è un esperimento pilota di una serie che muore sul nascere. Nonostante tutto Tex e il Signore degli Abissi non è così brutto come lo dipinge la critica più autorevole. Dialoghi e sceneggiatura sono fumettistici, il montaggio è lento, ma la colonna sonora di Gianni Ferrio è ottima, gli effetti speciali di taglio horror sono interessanti, le scene acrobatiche ben fatte, la fotografia è perfetta. Duccio Tessari gira molto bene gli esterni in un altopiano spagnolo che si presta a ricostruire l’Ovest nordamericano e il confine con il Messico. Sono curate le citazioni e non mancano i riferimenti allo spaghetti western: polvere, vento, sporcizia, case malandate, deserto, fichi d’india compongono un’eccellente apparato scenografico. Particolari gore non stonano nel contesto, la ricostruzione dei villaggi western e indiani è ottima, gli inseguimenti sono ben realizzati. La parte in cui entra in scena il Signore degli Abissi sembra isopirata alle scenografie di Bava e Ferroni, ricostruite in studio con un intenso colore rosso fuoco che fa da sfondo. Gli attori sono bravi. Giuliano Gemma è un po’ troppo impostato come Tex Willer, soprattutto quando prende a cazzotti gli avversari. William Berger è un convincente Kit Carson, Carlo Mucari è un discreto Tiger Jack, Aldo Sambrell è nato come cattivo da western, Flavio Bucci è insolito nei panni di un indiano, mentre Isabel Russinova è bellissima come principessa.
Rassegna critica. Paolo Mereghetti (una stella): “Catastrofica versione cinematografica di una delle più belle avventure di Gian Luigi Bonelli. Giuliano Gemma nei panni di Tex è poco convincente e Tessari inadeguato a rendere lo spirito più genuino del fumetto. Il più famoso e amato eroe italiano del West meritava qualcosa di meglio”. Morando Morandini (una stella e mezzo per la critica, due stelle per il pubblico): “Un fantasy avventuroso migliore nella prima parte, grazie anche alla divertente e pittoresca fraseologia bonelliana. Gli effetti speciali della seconda parte non reggono il confronto con gli americani. Ottimo il Carson di Berger, discreto il Tiger Jack di Mucari, poco convincente il Tex di Gemma”. Pino Farinotti (due stelle). “La realizzazione è modesta sotto ogni aspetto e Giuliano Gemma si rivela del tutto inadeguato”. Marco Giusti su Stracult rivaluta il film dopo una visione televisiva: “Rivisto oggi è divertente. Funziona anche bene come audience in tv”. Galleppini si rifiutò di disegnarne il manifesto. Il film viene presentato a Venezia come la risposta italiana a Indiana Jones. Stroncato da tutti come un fumetto noioso, povero e pedante, rivisto oggi vale i soldi del dvd e il tempo della visione.