Mille Luci, Canzonissima, Fantastico, Pronto Raffaella, Domenica In, Sanremo, Carràmba, Il Gioco dei Fagioli e il Tuca Tuca. L’ombelico esibito in prima serata, in faccia all’Italietta tremebonda e puritana. Trasgressione assoluta quando trasgredire significava dare una scossa al senso del pudore, così ipocrita e bigotto, di un paese piccolo borghese e moralista come quello rappresentato, a quei tempi, dal partito democristiano. E poi Pedro Pedro, Fiesta, Rumore, fare l’amore da Trieste in giù; aver creduto per una vita che fosse stata lei a cantare Maracaibo.
Canzoni memorabili, una storia di successi popolari, uno dietro l’altro, attraversando la storia del Belpaese e determinandone il costume, con stile, classe e provocazione. Dissacrante, senza mai scadere nella volgarità. Insomma, non ne rinasceranno più come la grande e magnifica Raffaella Carrà.
In un momento storico come quello che stiamo vivendo, non è affatto semplice giudicare la gestione del lutto e la comprensione del dolore in quattro parole, in relazione a quelli che condividono sui social network (altrimenti dove?) il loro ricordo e la loro tristezza per una perdita che avvertono come tale.
È umano dispiacersi per una brava artista ed una donna libera che oggi non c’è più. Per molti, Raffaella Carrà sarà per sempre legata alla memoria di quella giovinezza e quella spensieratezza che non torneranno mai più, e al fatto che, prima o poi, invecchieremo e moriremo tutti. D’altronde, i personaggi pubblici, specie se significativi e influenti nella cultura di massa, testimoniano un tempo condiviso e, di conseguenza, per molte persone equivale alla morte di un segmento della loro esistenza.
Chi ha perso dei familiari o, più in generale, chi è reduce da una grave perdita collega la scomparsa di una celebrità come Raffaella Carrà a un lutto privato, perché connessa ai primi ricordi di infanzia e pre adolescenza, quando le famiglie medie, dopo cena, si spostavano nel salotto, dove era piazzata la TV, per guardare, ad esempio, Mille Luci.
Raffaella è stata Madonna quindici anni prima di Madonna, è stata Maria De Filippi e Simona Ventura trent’anni prima dei disastri televisivi di Maria De Filippi e Simona Ventura, è stata Lady Gaga quarant’anni prima di Lady Gaga. È stata un’icona di emancipazione senza mai mettere direttamente a tema l’una o l’altro. Una combattente che si vestiva o svestiva come voleva, ma al contempo sembrava la vicina di casa. È stata eletta icona gay e non ha mai nascosto il suo essere schierata dalla parte del pieno riconoscimento dei diritti, pur senza mai salire su un palco vestendo i panni della paladina. Raffaella Carrà non parlava del cambiamento, semplicemente lo realizzava e ha combattuto il suo male senza mai renderlo pubblico.
La morte è sempre uno scontro violento, che sia quella di un personaggio famoso o di un qualunque sconosciuto. Ovviamente, il personaggio famoso occupa nell’immaginario collettivo un ruolo che al povero sconosciuto non è assolutamente permesso. Al di là di questo, la morte di un personaggio famoso segna, quasi sempre, la fine di un periodo, di un’epoca, di un modo di vivere, di pensare, e forse di sognare. E questo affligge, in quanto fa sbattere violentemente contro la realtà. Quella realtà che tutti viviamo e che, al tempo stesso, cerchiamo (fingiamo) di ingannare e di dimenticare. A volte, anche con pensieri intrisi di uno sterile cinismo.
Con lo stesso cinismo, purtroppo, troppo spesso, dopo aver scatenato catene bulimiche di condoglianze alla famiglia pubblicate sui social network (probabilmente, qualcuno è convinto che i familiari di un personaggio nazionalpopolare vadano a leggere le condoglianze sui social), quel profondo dispiacere e quell’empatia del momento finiscono nel dimenticatoio già dal giorno successivo. Perché la morte è (dovrebbe essere) una cosa seria e non un evento social di massa. Vi risulta che qualcuno abbia più scritto una parola su Battiato? Eppure, sembravano tutti ascoltatori accaniti, citando versi delle sue canzoni ovunque.