E’ morto Gigi Proietti

Articolo di Gordiano Lupi

Scompare Luigi Proietti, detto Gigi, nato il 2 novembre 1940, morto il 2 novembre 2020, il giorno del suo compleanno, proprio come Shakespeare, una data di nascita sulla quale in vita tanto aveva scherzato. Tutti hanno già scritto l’impossibile su vita e carriera di un grande uomo di teatro, cinema e televisione, emulo di Petrolini, mimo straordinario, interprete comico e drammatico senza rivali. Io lo voglio ricordare con il primo incontro, al Teatro Sistina di Roma, un capodanno dei primi anni Sessanta, forse il 1966. Proietti sul palco, io ad attendere Modugno, ché Alleluia brava gente doveva essere interpretata dal grande cantante insieme a Rascel. Fu il suo debutto, invece, straordinario, nessuno rimpianse Modugno, anzi il pubblico restò estasiato dalla sua interpretazione.  Dopo quel giorno non abbiamo più fatto a meno del suo talento indiscutibile, tra programmi di varietà e pellicole, persino fiction televisive come il maresciallo Rocca. Impossibile rammentare tutto. Per ricordare Proietti vi invito a rivedere due film fondamentali dove il suo carattere istrionico viene alla ribalta. Ma Proietti e il cinema sono molte pellicole indimenticabili, tra tutte cito Le farò da padre di Lattuada e Casotto di Citti, persino Bordella di Pupi Avati e Conviene far bene l’amore di Festa Campanile. E poi tanto cinema di steno, Monicelli, dei Vanzina, quella commedia all’italiana che sembrava fatta apposta per esaltare le sue doti comiche … Finisce la carriera con Pinocchio di Garrone, con un Mangiafuoco, il nostro ultimo ricordo su celluloide. Inutile dire che ci mancherà.

Febbre da cavallo (1976) è grande commedia all’italiana recentemente omaggiata dai figli d’arte Enrico e Carlo Vanzina con Febbre da cavallo – La mandrakata (2002). Il film di Steno è interpretato da Luigi Proietti, Enrico Montesano, Catherine Spaak, Mario Carotenuto, Gigi Ballista, Adolfo Celi, Francesco De Rosa, Maria Teresa Albani, Nerina Montagnani, Ennio Antonelli, Renzo Ozzano, Marina Confalone e Alberto Giubilo. La colonna sonora è di Bixio, Frizzi e Tempera. Il tema della pellicola sono le scommesse sulle corse dei cavalli e tutto il film ruota attorno alle vicende di due scommettitori incalliti: Bruno Fioretti detto Madrake (Proietti) e Armandino Felici detto Er Pomata (Montesano). Mandrake ed Er Pomata sono pieni di debiti, vogliono fregare il conte squattrinato De Marchis (Carotenuto) e il suo cavallo brocco Soldatino, per questo cercano di mettere in piedi una solenne fregatura basata sulla somiglianza tra Mandrake e un fantino. Il film è sceneggiato da Steno, Enrico Vanzina e Alfredo Giannetti, su un buon soggetto di Massimo Patrizi. Gli interpreti sono ottimi, le gag riuscite, i tormentoni restano nell’immaginario collettivo anche dopo oltre trent’anni e si ripetono con la solita freschezza. Un film sulla romanità cialtrona d’un tempo, ma anche sui patiti delle corse dei cavalli, sugli scommettitori che non vedono altro che il gioco, in definitiva sull’arte di arrangiarsi. Momenti erotici limitati alla presenza di un’affascinante Catherine Spaak che concede pochissimo alla macchina da presa.

Febbre da cavallo 2 – La mandrakata (2002) è un sentito omaggio che due figli d’arte rivolgono a un grande padre, un sequel tardivo che giunge a distanza di ben ventisei anni da un capolavoro della commedia all’italiana come Febbre da Cavallo (1976), girato da Steno. La trama ricalca molte cose già viste nell’originale, sviluppa vecchie gag in un contesto moderno ed è ancora una volta un viaggio nel mondo delle scommesse sui cavalli. Bruno Fioretti (Proietti), conosciuto nell’ambiente ippico come Mandrake, si è messo insieme a un’altra barista, fa la comparsa a Cinecittà e come scelta di vita gioca ai cavalli. Il suo vecchio amico Armando Pellicci, detto Er Pomata (Montesano), è morto, ma lui non ha smesso di giocare e si è messo in affari con Micione (Laganà), disoccupato mantenuto dai genitori, e l’Ingegnere (Ascolese), studente che va avanti con i soldi di papà e conosce un programma computerizzato per vincere alle corse. I tre amici coinvolgono nei loro piani Antonio Faiella (Buccirosso), dopo avergli tirato una sola da cinquecento euro, e Aurelia Santarelli (Brilli), un’attrice teatrale che si presta a interpretare una serie di truffe ben sceneggiate. Er Pomata ricompare dal niente, confessa di aver inventato una finta morte per sfuggire ai creditori e scappare in Australia. Er Pomata studia una super-mandrakata che consiste in una serie di truffe ai danni del figlio del macellaio Manzotin, di un usuraio conosciuto come Er Cozzaro Nero e di un conte proprietario del cavallo Pokemon. La truffa spettacolare consiste nel comprare un cavallo brocco e sostituirlo a Pokemon per farlo perdere e far salire la quotazione. Alla fine va tutto a rotoli, come da ricetta della commedia all’italiana: i giocatori incalliti rimangono senza un soldo, perdono persino l’orologio di Aurelia giocando alle tre carte con alcuni truffatori napoletani.

Il film cita l’originale raccontando l’evoluzione di un personaggio come Mandrake nel corso degli anni. Gigi Proietti è scatenato, un vero mattatore che diverte il pubblico con una recitazione sopra le righe che tratteggia a dovere un imbroglione simpatico come Bruno Fioretti. 

Riporto per esteso una dichiarazione rilasciata da Gigi Proietti al Messaggero, in occasione dell’uscita del film: “Chiamiamola come si vuole: mandrakata, drittata, capolavoro. La sostanza resta quella, vale a dire un sistema ingegnoso (o almeno pretende di esserlo), per vincere ai cavalli. Il rientro nei panni di Mandrake è stato bellissimo. Come bellissima è stata ed è l’avventura di Febbre da cavallo che arriva ad avere un seguito (La Mandrakata, appunto) a furor di popolo. L’ho raccontato tante volte: alla sua prima uscita, il film non sbancò i botteghini. Piacque, ma senza strepito. Poi, a mano a mano che passava il tempo, il linguaggio di Mandrake, di Pomata, del Pelliccia, del Ventresca, le loro uscite comiche, i loro adagio, i loro giri di frase, capaci di creare un linguaggio autonomo al di là dell’ambiente delle corse e dei suoi riti, sono diventati pane per la comunicazione metropolitana. I ragazzini si scambiano messaggi al telefono utilizzando le battute di questi personaggi; le radio usano pezzetti di dialogo per i loro stacchetti rilassanti; nei ristoranti e nei bar, quando meno te l’aspetti, vien fuori un discorso nel segno della Febbre… Davvero, a ben guardare, è tutto un mondo a venir fuori dal film e dal suo seguito. Le figure hanno una loro credibilità fisica e metaforica, le situazioni sono giuste sullo schermo ma anche nella vita. Per non parlare delle fantasie, dei progetti, di una certa vena folle, maniacale e inarrestabile, che i cavallari degni di tal nome hanno sviluppato e ornato fino al sublime. Io, sul set, mi sono molto divertito. La prima e la seconda volta. Complice chi Roma ce l’ha dentro e non se ne stanca mai”.

Il film riscuote successo al botteghino, uno dei primi venti incassi del cinema italiano nel 2002, nonostante un periodo di programmazione non certo felice. Ad aprile 2003 è uscito anche il DVD contenente cinque scene inedite, di cui tre interpretate da Proietti, che si merita un Nastro D’Argento come miglior attore protagonista, ex aequo con Neri Marcorè (Il cuore altrove di Pupi Avati).

La pellicola dimostra la bravura di Enrico Montesano, forse sottoutilizzato nel ruolo di un Pomata redivivo, ma anche del giovane Rodolfo Laganà, che ha lavorato molte volte a fianco di Proietti, anche perché è uno degli allievi del primo corso del Laboratorio di Esercitazioni Sceniche. Laganà si ricorda per la caratterizzazione del verso da cavallo come intercalare durante le battute. Nancy Brilli è affascinante e credibile nella parte di Aurelia, attrice che interpreta vari personaggi nel corso di truffe ben congegnate. Bravissimo Carlo Buccirosso con la maschera tragicomica da napoletano iellato, vittima delle circostanze, di una moglie arrogante e della sua stessa ingenuità. Buccirosso si ricorda per una battuta mitica sul finire del film. Siamo in treno e il gruppo degli scommettitori non ha pagato il biglietto. Arriva il controllore, tutti scappano per scendere alla prima stazione e risalire dall’ultima carrozza. Si tratta di una citazione esplicita del primo Febbre da cavallo. Faiella si è addormentato. Il controllore lo sveglia. “Favorisca il biglietto, per favore”, intima. Buccirosso porge un foglietto spiegazzato: “Ecco”. Controllore: “Ma questo è un biglietto di scommesse sui cavalli!”. Buccirosso: “Ah… e ho vinto?”. Meno convincente Andrea Ascolese, troppo perfetto e ingessato per un ruolo comico al punto di risultare antipatico. Interessanti le comparsate di Pietro Fornaciari, padrone livornese del cavallo brocco, e Natale Tulli, nei panni del reclutatore di comparse detto Frank Sinatra perché operato alle corde vocali. Rispetto al primo Febbre da cavallo mancano attori come Catherine Spaak, Mario Carotenuto, Ennio Antonelli, Nerina Montagnani, Gigi Ballista, Adolfo Celi, Francesco De Rosa e Renzo Ozzano, che contribuivano ad aumentare la qualità della pellicola. Ennio Antonelli poteva essere utilizzato come macellaio vittima delle truffe, perché vivo, ma si è preferito un volto giovane per tenere Manzotin in foto, come padre defunto e vecchio padrone del locale.

La critica è abbastanza unanime nel giudicare positivamente La mandrakata. Paolo d’Agostini su La Repubblica scrive: “Febbre da Cavallo – La mandrakata è un film comico divertente e brillante, non ha l’aria triste e patetica dei tentativi di risvegliare le glorie passate ed è assolutamente all’altezza dell’originale di papà Steno”. Gian Luigi Rondi su Il Tempo conferma la buona impressione: “I caratteri, sia quelli dei personaggi già noti sia dei nuovi, sono disegnati e poi rappresentati con la malizia necessaria, il gioco degli stratagemmi e degli inganni si dipana con gli stessi sapori pepati che costituivano lo smalto della commedia all’italiana fra i Sessanta e i Settanta, non ci sono volgarità e i dialoghi, evitando le scurrilità e i doppi sensi, infiorettano l’azione di battute sapide, in equilibrio astuto tra il brio e la beffa. Con il sostegno valido di quello stuolo di interpreti che sembrano tutti voler rinnovare i fasti e i frizzi della lieta comicità di una volta. A cominciare da Luigi Proietti che, specialmente quando, per i suoi bidoni, deve assumere personalità varie, si diverte (e ci diverte) con l’imitazione ghiotta dei più disparati accenti dialettali, arrivando quasi a un festival di se stesso”.

Fabio Ferzetti su Il Messaggero aggiunge: “Eccoli qua. Sono tornati. Sono sempre loro… Ma Mandrake e Er Pomata non sono cambiati di una virgola. Sempre pronti a giocarsi tutto all’ippodromo, tanto sono nati per sognare e perdere, lo sanno bene (anzi, questa consapevolezza è una delle poche vere novità rispetto all’originale). Sempre capaci delle più incredibili sòle per racimolare qualcosa da puntare ai cavalli. Dieci chili di bistecche o la mazzetta di un funzionario, tutto fa brodo purché ci sia qualcosa da giocarsi. Perché senza brivido che vita è? Piccola epopea romanesca e plebea, variazione comica e affollata di figure irresistibili su un tema illustre come il demone del gioco, Febbre da cavallo di Steno suonava amabilmente datato nei modi e nelle tipologie umane già nel 1976, figuriamoci il suo seguito girato oggi. Eppure, anzi forse proprio per questo, La Mandrakata è uno dei migliori film dei Vanzina, uno dei più fedeli a un’idea di cinema forse tramontata ma senz’altro gloriosa… è anche una grande occasione per attori a cui il cinema, specie ultimamente, ha dato poco. In testa Luigi Proietti, Nancy Brilli ed Enrico Montesano, mai così sfrenati, mai così affiatati. Il resto lo fanno il fregolismo di Proietti… il divertimento gaglioffo, quasi infantile, che trasuda dal continuo gioco dei travestimenti, accentuato dalla crudeltà ostentata e tutta romana delle battute (vittima designata il napoletano Carlo Buccirosso, erede di Peppino). La mandrakata è e vuol essere un film che si vede con la pancia”.

Marco Giusti su Stracult è ancora più entusiasta: “Non volendo cadere nella trappola dei personaggi invecchiati con gli acciacchi, i Vanzina hanno cercato di rielaborare il cinema di Steno e quello italiano degli anni Settanta, modernamente con cellulari e battute attuali, con i cavalli che non si chiamano più Soldatino ma Pokemon, ma seguendo una scrittura e una messa in scena estremamente rigorosa, dove ogni personaggio ha modo di avere una sua connotazione, un suo sviluppo, dove le battute si aprono, si chiudono, si capiscono, dove i tempi comici all’interno di ogni singola scena sono perfetti”.

Febbre da cavallo – La madrakata doveva girarlo alcuni anni fa Franco Amurri, che risulta co-autore del soggetto, ma solo con Proietti e Laganà, senza Enrico Montesano. I fratelli Vanzina sono riusciti a inserire nella storia una parte anche per Montesano, una sorta di lungo cammeo che riporta a certe atmosfere della prima pellicola.

La cosa più bella del film sono le citazioni del passato. Proietti e il suo sorriso magico, l’impotenza quando perde alle corse, un rapido accenno al whiskey maschio, la sorella dall’alito fetido che stende persino i fiori della tomba e la sequenza del finto vigile. I Vanzina citano esplicitamente alcune scene, ma la parte girata da Steno con Proietti che sbaglia a dire la battuta del whiskey non è paragonabile alla nuova figuraccia rimediata a Cinecittà in abito da frate. Alcune parti sono vero cinema nel cinema, girato tra comparse e finti registi che mettono in scena un improbabile film religioso come Il ritorno di Padre Pio. Tra l’altro in Febbre da cavallo la componente erotica era molto più maliziosa, anche perché nel ruolo di moglie di Proietti c’era un’avvenente Catherine Spaak. I Vanzina trascurano completamente ogni accenno sexy e costruiscono un film per tutti, dove l’unico vizio dei protagonisti è il demone del gioco.

I Vanzina omaggiano il padre e un cinema che non esiste più, regalandoci una serie di personaggi che sembrano usciti dalla vecchia commedia all’italiana. Proietti, Buccirosso e Brilli sono eccezionali nelle caratterizzazioni a metà strada tra il comico e il drammatico. Non si dimenticano neppure truci personaggi minori come Er Cozzaro Nero e Frank Sinatra, presi dalla realtà e solo in parte sceneggiati a uso e consumo del cinema.

Febbre da cavallo – La mandrakata è stato esaltato dalla critica italiana come miglior film dei Vanzina. Non me la sento di sottoscrivere un giudizio così benevolo, perché ho avuto l’impressione di assistere a un sequel del primo film girato con ritmi televisivi. Gigi Proietti, Nancy Brilli e Carlo Buccirosso salvano la pellicola impersonando tre maschere comiche indimenticabili, ma soggetto e sceneggiatura sono deboli e fiacchi. Il primo Febbre da cavallo era un vero esempio di commedia all’italiana dalla parte degli umili e dei perdenti, una celebrazione intensa dell’arte di arrangiarsi. Le trovate comiche e le truffe messe in scena dai protagonisti erano fresche, spontanee e originali. La mandrakata ricicla il già visto e cita a più non posso il lavoro di Steno, rendendo omaggio all’originale con una serie di identiche sequenze e di ripetute inquadrature all’ippodromo. La truffa ai danni del figlio di Manzotin ideata da Er Pomata è la stessa girata da Steno in Febbre da cavallo, ma corretta con una nuova tematica australiana. La colonna sonora è volutamente identica a quella del primo film, come emblematico omaggio alle atmosfere di una certa commedia classica. La ritmata musica anni Settanta di Bixio – Frizzi – Tempera è la cosa che più resta impressa al termine di una pellicola piacevole che non mi sento di considerare un capolavoro.

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