Si è spento a Siena, nella notte del 9 dicembre, a soli 64 anni, stroncato da una malattia incurabile, colui che per tutti gli appassionati di calcio era semplicemente “Pablito”.
Se ne va un altro pezzo della nostra giovinezza, della nostra spensierata felicità e, ovviamente, della storia del calcio. Almeno per quelli nati quantomeno all’inizio degli anni Settanta, come il sottoscritto.
Rimarrà per sempre indelebile il ricordo romantico di quel volto pulito, esultante e felice e di quelle braccia magre alzate al cielo: immagine poetica di un calcio che non c’è più e fotografia emotiva del trionfo italiano al mondiale di Spagna ’82.
Paolo Rossi, toscano di Prato, con indosso l’intenso azzurro di quella maglia numero 20, fu protagonista assoluto e capocannoniere di quella competizione, capitolo che ha rappresentato, probabilmente, il momento più alto della sua carriera: tre gol al Brasile stellare di Zico, Falcao e Socrates (prodezze che gli valsero l’appellativo di “Carrasco do Brasil”, ovvero il Boia del Brasile), due alla Polonia ed uno in finale contro la Germania Ovest.
Sei gol complessivi in quella calda estate spagnola, accompagnata da tanti indimenticabili e suggestivi ricordi; dalla pipa di Bearzot all’urlo di Tardelli, da Pertini che applaudiva in piedi sugli spalti del Bernabeu alla voce di Nando Martellini che ripeteva per ben tre volte “Campioni del Mondo”.
Fu così che Paolo Rossi divenne, per tutti, “Pablito”, entrando di diritto nel mito degli almanacchi sportivi. L’eroe del Sarrià. El Hombre del Mundial. E soprattutto uno dei pochi calciatori italiani a vincere il Pallone D’Oro.
Dopo l’ottima prestazione al mondiale argentino del ’78, l’atleta Paolo Rossi dovette affrontare un percorso molto complicato, per via della squalifica di due anni a seguito delle vicende legate al calcio scommesse. Nonostante tutto, Paolo Rossi è riuscito a lasciarsi alle spalle quella spiacevole pagina di cronaca ed il lungo periodo di inattività, mostrando contestualmente le debolezze e la forza dell’essere umano, ed il fatto tangibile che nella vita c’è sempre tempo per rimediare ai propri sbagli.
Prototipo del bomber moderno ed erede di Gigi Riva, il magrissimo ossuto Paolo Rossi ha vestito le maglie di Perugia, Como, Lanerossi Vicenza, Juventus, Milan e Verona, appendendo presto gli scarpini al chiodo, a causa di diversi infortuni, ed incarnando le caratteristiche peculiari dell’attaccante d’area di rigore, del cinismo sotto porta, creando molti proseliti dopo di lui.
Paolo Rossi è stato sempre un non personaggio, distintosi quale uomo d’altri tempi, a modo, mai sopra le righe, dal carattere gentile, educato, schivo e lontano dai riflettori; un atleta le cui gesta sono entrate a far parte della cultura popolare; infatti, viene citato da Antonello Venditti nel brano Giulio Cesare, con quel verso “Paolo Rossi era un ragazzo come noi”.
Successivamente, Venditti precisò che il Paolo Rossi della canzone era uno studente antifascista morto negli scontri tra studenti e polizia a Roma nel 1966.
Anche Stefano Rosso lo cita in una sua canzone, L’Italiano: “Ma la domenica problemi grossi, segna Giordano o segna Paolo Rossi?”.
In conclusione, non possiamo che ringraziare Pablito, per l’immensa gioia che ci hai regalato, per aver fatto sognare un’intera generazione davanti a quei primi televisori a colori, per aver unito una nazione sotto un unico sentimento, per le emozioni di quelle notti magiche e nostalgiche che sembrano appartenere ad un tempo così remoto, ma che rimarranno immortali nei nostri occhi e soprattutto avvolti nella bandiera dei nostri cuori.
Queste le parole di cordoglio espresse da Giovanni Trapattoni, allenatore di Paolo Rossi negli anni Ottanta ai tempi della Juventus, dopo aver appreso la tragica notizia: “I giocatori non dovrebbero morire prima degli allenatori”. Così come i figli non dovrebbero morire prima dei genitori”.