Saggista, traduttrice e poetessa, amante delle fiabe e delle favole, Elsa Morante non avrebbe mai voluto leggere una sua biografia: “La vita privata di uno scrittore è pettegolezzo; e i pettegolezzi, chiunque riguardino, mi offendono”, soleva dire. Tuttavia la biografia di Elsa Morante scritta dal francese René de Ceccatty è un testo di straordinaria bellezza: “Elsa Morante. Una vita per la letteratura” pubblicato nel 2020. Molto coraggiosa, gelosa, orgogliosa, anarchica e a tratti iraconda, seduttrice, amica degli omosessuali, collerica, possessiva, ma anche tenerissima, amava essere in compagnia di poeti gay, di studenti, di gente di teatro e poi adorava profondamente i gatti, il mito, le leggende. La Morante nacque proprio il 18 agosto del 1912 nel quartiere di Testaccio a Roma. Sua madre era una maestra ebrea e suo padre, che si suicidò, era un impiegato siciliano, ma il cognome le venne dato dal marito della madre, Augusto Morante. Sin da bambina scriveva brevi racconti e storielle per i più piccoli. Sposò Alberto Moravia (figlio di padre ebreo), nel 1941, con rito cattolico; entrambi ebbero legami di amicizia con molti intellettuali dell’epoca: Pasolini – con il quale la Morante ebbe rapporti sempre difficili – Saba, Penna e altri. Mentre correvano i terribili anni della deportazione, Elsa si rifugiò a Fondi, in Ciociaria, con il marito, dal quale si separerà nel 1961, mentre la scrittrice intratteneva una relazione con il pittore americano Bill Morrow. Qualche anno prima, invece, alla fine degni anni ‘50, Elsa intrattenne una relazione con Luchino Visconti. È stata la prima donna italiana ad essere insignita del Premio Strega per “L’isola di Arturo” (1957), un meraviglioso romanzo ambientato nella bellissima Procida, isola della Baia di Napoli: “Ho voluto, con questo libro, scrivere una storia che somigli un po’… a Robinson Crusoe, cioè la storia di un ragazzo che scopre per la prima volta tutte le cose più grandi, più belle e anche quelle brutte della vita. Per lui tutto è avventura, è stupore, è bellezza… e siccome vive in una delle isole più belle che io abbia mai conosciuto, che è l’isola di Procida, tutto quello che gli cade sotto agli occhi è di una particolare bellezza” (Intervista a Elsa Morante, 1957 – RAI Teche).
La trama racconta, difatti, la storia di un guaglione di 14 anni di nome Arturo che vive a Procida. Egli è orfano di madre ed è molto legato a Immacolatella, una cagnolina bianca. Vive con il padre, un italo-tedesco che si chiama Wilhelm. Il ragazzino non conosce il mondo, ma progetta viaggi studiando un atlante. Studia, inoltre, le vite dei grandi condottieri della storia. Un bel giorno il padre si sposa con una ragazza napoletana, la sedicenne Nunziata, la quale deve faticare per abbattere il muro che Arturo, geloso del fatto che Nunziata abbia preso il posto della madre, ha alzato tra loro. Ad un certo punto la famiglia aumenta di numero con la nascita di Carmine. Questa nascita renderà Arturo ancora più geloso a causa delle attenzioni che vengono date al neonato e per il fatto che lui non ha mai avuto una mamma affettuosa che lo avesse coccolato. Arturo decide di tentare fintamente il suicidio, ma le pillole che ingerisce lo terranno a letto per molto tempo, mentre Nunziata lo riempie di attenzioni proprio come fosse suo figlio naturale. Quando Arturo guarisce del tutto, le corre incontro e la bacia sulla bocca, scoprendo di essersi innamorato di lei, per questo Nunziata inizia a evitarlo. Arturo, dal canto suo, conosce un’amica della matrigna, la vedova ventunenne Assunta, con la quale ha il suo primo approccio sessuale, ma il suo pensiero fisso era sempre Nunziata. Per una serie di peripezie viene a conoscenza dell’omosessualità del padre, il quale è innamorato di un carcerato di nome Tonino, questa unione omosessuale sarà la causa di un violento litigio tra i due. Arturo, quindi, confessa tutto alla matrigna e le confessa finalmente anche il suo amore. Rifiutato da Nunziata, l’ormai sedicenne Arturo decide di scappare dall’isola e di arruolarsi come soldato volontario nella Seconda guerra mondiale. Arturo, dal traghetto, non riuscirà a guardare Procida scomparire all’orizzonte, aprendo gli occhi solo dopo molto tempo.
Grandissima scrittrice del Novecento, Elsa Morante amava definirsi scrittore o quanto meno “una poeta”, ma dentro le sue opere letterarie si percepisce sempre la sua prorompente personalità femminile sperimentata anche nella vita priva da chi la conosceva bene e la frequentava: una donna dal carattere talmente forte che sembrava una guerriera, che accettava di buon grado la guerriglia, impegnandosi con dignità, al fine di dividere il mondo in buoni e cattivi.
Chiaramente contro ogni forma di potere e soprusi, con “La Storia” (1974) – romanzo storico che racconta la vita dei diseredati, dei sofferenti, dei perdenti, dei perseguitati, dei violentati, degli infelici, dei deboli, dei sopraffatti – la Morante si guadagnò tantissime critiche: romanzo scritto in una lingua molto semplice; un testo che non alleggerisce la vita del lettore, ma che lo fa piangere perché dentro c’è troppa disperazione, c’è il dolore intrinseco dell’essere umano che tocca la coscienza dell’uomo e lo mette davanti al fatto compiuto, davanti alle proprie responsabilità, alle ombre del passato che accompagneranno sempre questa umanità. Un’opera infelice scritta da una donna che si era occupata di favole e poetica e che ora – nel bel mezzo degli anni di piombo – si azzardava a interrogare la storia su quello che era successo durante la Seconda guerra mondiale. D’altra parte una critica assai amara arrivò persino da Pasolini: “Se resuscitasse, non gli rivolgerei la parola!”, avrebbe detto la Morante al funerale dell’ex amico nel 1975. Questo romanzo popolare pieno di realismo che reca nelle prime pagine la dedica “All’analfabeta per cui scrivo” andrebbe riletto almeno una volta ogni anno.
Elsa Morante, con la sua penna, ci ha insegnato a non aver paura dell’ignoto, delle ombre; ci ha insegnato a resistere e a combattere l’oppressore. Tuttavia pare che questa guerriera una paura ce l’avesse: quella di invecchiare. Nei primi anni ’80 la Morante tentò il suicidio dopo aver scoperto di essere gravemente malata e durante questi travagliati ultimi anni della sua vita cercò di non guardarsi allo specchio per paura di non riconoscersi. Morì nel 1985 per un infarto all’età di 73 anni e, prima di essere cremata, venne vestita con una camicia da notte che lei stessa comprò nello Yucatan. Una camicia amena, tutta variopinta con tinte vivaci, una camicia da effetto gaio. Si racconta che le sue ceneri furono trafugate dal suo amico Carlo Cecchi perché fossero sparse nel mare azzurro dell’isola di Procida da lei tanto amata. Nel libro Aracoeli (1982) il protagonista, continuamente alla ricerca dei luoghi materni e dell’adorata madre, si ritroverà a meditare sulla tomba della genitrice. Fu l’ultimo romanzo di Elsa Morante.