E’ accaduto poche ore fa nel Nord Est a Treviso. Come scrive il quotidiano locale La Tribuna: “Un bambino gettato a terra con violenza dagli altri scolari durante la ricreazione, le botte, poi il gesto della pistola fatto con le dita per – ucciderlo – perché ha perso la sfida. Che è una sfida mortale”. Una emulazione, una delle tante. In queste ultime settimane sta facendo discutere la serie tv coreana Squid Game trasmessa su Netflix dal 17 settembre 2021. Squid Game è scritta e diretta dal regista, originario di Seoul, Hwang Dong-hyuk. Tanti educatori, docenti e genitori mi hanno chiesto
Il protagonista, Seong Gi-hun, è un quarantenne che non ha un lavoro e vive il dramma della dipendenza dalle scommesse. Oltretutto abita con la madre malata ed è pieno di debiti. Gli viene offerta l’opportunità di partecipare a un gioco per racimolare un bel po’ di soldi e accetta, senza sapere cosa lo aspetta. Quando si sveglia si ritrova in un posto che assomiglia tanto ad una prigione, con diversi sorveglianti mascherati che moderano tutte le attività: l’uomo si ritrova in compagnia di poveri infelici come lui che hanno deciso di partecipare ad una sfida pazzesca. Questo gruppo di persone, per la precisione 456, vive una difficile situazione economica.
Inizia questo un gioco a cui partecipano donne e uomini che non hanno nulla da perdere e mettono a rischio la propria vita per avere un ricco premio finale. Ognuno di loro prende parte ad una serie di giochi per bambini che ricordano ad esempio “un, due, tre, stella” e altri che il pubblico occidentale non conosce come “il gioco del calamaro”, noto in Corea. Chi perde la gara non viene eliminato, come si potrebbe pensare, ma ucciso brutalmente. Purtroppo questo fenomeno mediatico, nessuno si aspettava che avesse cosi tanta rilevanza e tantomeno Netflix, è arrivato nelle scuole. Il Corriere della Sera riporta che è già allarme in diversi istituti scolastici e che i giochi violenti hanno raggiunto le scuole elementari e le scuole materne. Sì, perché i bambini hanno iniziato ad emulare queste scene aggressive.
Il fenomeno si è diffuso così da rapidamente da convincere la polizia di Stato a intervenire e a dare dei suggerimenti ai genitori per riuscire ad affrontare le conseguenze di questa serie tv sui più piccoli. La polizia ha fornito un vademecum dove si chiede ai genitori di ricordare che “quanto rappresentato nelle serie è frutto di finzione e che la violenza non è mai un gioco a cui partecipare”. Inoltre, la polizia invita i genitori a rivolgersi alle forze dell’ordine. “Se avete contezza che stanno circolando tra i bambini/ragazzi giochi violenti che imitano quelle ritratte nella serie, non esitate a segnalare la cosa”. Diverse le associazioni che stanno chiedendo la censura della serie tv per tutelare i bambini.
Un articolo pubblicato dal portale Today.it, scritto da Annalisa Felisi, affronta proprio l’annosa discussione delle petizioni per bloccare Squid Game. Bisogna chiedersi perché i bambini riescono a vedere una serie vietata ai minori di 14 anni e perché hanno accesso ad internet in maniera incontrollata. La Fondazione Carolina, che ha sede centrale a Milano, ha lanciato un appello per chiedere che la serie Squid Game non venga più trasmessa. Dopo l’appello la Fondazione ha specificato che la “responsabilità” è riconducibile ai genitori. Ivano Zoppi, ha evidenziato che “quello di Fondazione Carolina non è un atto censorio, ma risponde alla necessità di far fronte alla sconfitta dei parental control e alla crisi della genitorialità”. E continua “A questo punto, l’unica soluzione possibile – dice Zoppi – sembra la censura vecchio stampo”.
Sappiamo bene che anche sul social network del momento, Tik Tok, i bambini riescono ad avere il loro profilo e a creare i loro video. Eppure c’è un divieto… Credo che la censura “vecchio stampo” non sia la soluzione più giusta e più adatta, perché senza controllo dei genitori bloccare i contenuti non avrebbe alcun valore. Io sto portando avanti una campagna di informazione che coinvolga tutti gli attori della società e da mesi continuo a ripetere che serve agire subito. Oggi è necessario puntare sulla formazione a scuola sia per i ragazzi che per i docenti. Ormai è essenziale spendere ogni energia sull’educazione ai sentimenti e sull’educazione al rispetto di sé stessi e degli altri. La diversità ci arricchisce e non ci toglie assolutamente niente, ma non siamo ancora coscienti della ricchezza che possiamo ottenere dal confronto costruttivo con il prossimo.
In tutti gli incontri, e nei tanti webinar a cui ho partecipato, ho proposto l’avvio di una scuola per genitori e molte scuole stanno iniziando ad attivarsi in questa direzione. Le nuove tecnologie vanno conosciute e spiegate. I figli vanno accompagnati alla scoperta delle diverse piattaforme social e delle app di messaggistica istantanea e non possono essere lasciati da soli, mentre viaggiano verso un universo sconosciuto. I vecchi modelli educativi sono ormai inapplicabili e la Generazione Z va guidata e supportata in maniera diversa. La vera sfida non è quella di Squid Game, ma la nostra in quanto adulti che ci ostiniamo a vestire i panni degli “adultescenti”. Ci vuole un nuovo processo culturale che coinvolga: la politica, l’informazione, l’istruzione, la conoscenza e le competenze. La formazione costante non può essere tralasciata e le figure che devono accompagnare i ragazzi, nella realtà contemporanea, devono ritrovare la propria autorevolezza e il proprio ruolo nella società.
Mi è capitato di parlare, in questi ultimi mesi, con tanti genitori e sono poco consapevoli dei rischi e dell’uso che i loro figli fanno delle nuove tecnologie. Eppure, le nostre vite sono regolate da un costante status “online” e non sappiamo quasi nulla di questo mondo virtuale. I nostri figli in questo ultimo anno, complice anche la pandemia, hanno trascorso tantissimo tempo sui loro social preferiti e noi non sappiamo cosa hanno visto o condiviso. Noi adulti abbiamo il dovere, il compito, di vigilare e di trasmettere l’importanza di un uso consapevole del web. Non vietare, ma seguire ed educare i preadolescenti e gli adolescenti. Non serve vietare, perché se i nostri figli vogliono vedere i contenuti a loro proibiti possono chiedere ad amici o conoscenti di scaricarli o di vederli insieme. Un modo per aggirare il divieto lo trovano sempre.
Un’attenzione particolare la meritano anche gli smartphone su cui è possibile individuare foto erotiche o messaggi pieni di odio. Quando ci accorgiamo di qualcosa di grave dobbiamo denunciare senza aver paura. La pornografia online e il cyber bullismo sono reati che vengono perseguiti legalmente e noi dobbiamo conoscere le leggi, dobbiamo documentarci, dobbiamo sapere cosa si è fatto e cosa si sta facendo per fermare questi fenomeni. Per agire e denunciare dobbiamo essere preparati sui social, comprendere i nuovi codici, i nuovi linguaggi e i nuovi sistemi di comunicazione. Impegniamoci a creare tante scuole per genitori e combattiamo le emergenze educative. Non è accettabile che le famiglie non conoscano nemmeno il parental control, per vedere a quali siti accedono e quanto tempo navigano i loro figli.
La mia battaglia continuerà incessantemente, affinché tutti i genitori siano informati dei pericoli presenti in rete e sappiano sfruttarne i vantaggi. Abbiamo assistito a tanti casi di cronaca ed è giunto il momento di arginare questa deriva sociale.