Il viaggio ha rappresentato un topos letterario ricorrente sin dagli albori della letteratura. Protagonisti sono gli uomini-eroi impegnati ad affrontare le vicessitudini che le peregrinazioni comportano. La cultura classica occidentale si focalizza su figure maschili, almeno fino al Medioevo, periodo in cui si sviluppa l’epica cavalleresca. Significativo è il valore simbolico che il νόστος (viaggio) assume in diverse opere. Altrettanto rilevante è la reazione dei protagonisti, costretti a mettersi in gioco dinnanzi alle vicessitudini in cui si imbattono. In tali situazioni emergono prepotentemente le loro abilità e caratteristiche distintive.
In primis, l’ἀρετή (il valore bellico dell’eroe) e, in secundis, la pietas latina che spinge l’eroe a compiere azioni per volere divino.
La tesi sovraesposta è suffragata dalle opere: Odissea, Argonautiche ed Eneide. Infatti, in ciascuno dei tre poemi epici, sia il viaggio che il comportamento umano rappresentano una metafora dell’esistenza che acquisisce un valore universale per gli uomini di ogni epoca. È proprio da questa tematica che prenderanno il via le chansons des gestes in epoca medievale, da cui avranno inizio, in seguito, le varie letterature nazionali europee. Inoltre, l’esperienza individuale dell’eroe diventa scrigno di precetti per l’umanità. Nonostante sia riscontrabile un humus che accomuna i protagonisti delle tre opere, tuttavia vi sono delle divergenze che incorrono tra i tre personaggi. Effettivamente gli eroi delle opere citate agiscono, riflettendo sui differenti contesti politici, culturali e categorie valoriali di riferimento. Sicuramente il primo ad offrirci una tematica sul νόστος è stato Omero.
Odisseo è un alter ego del mercante dell’VIII secolo a.C., il quale era tenuto a far fronte alle difficoltà della navigazione oltre che agli imprevisti connessi alla sua attività.
Pertanto, quando leggiamo nell’incipit del primo libro dell’Odissea la descrizione dell’uomo multiforme che “assai a lungo viaggiò”( πολύτροπον ὃς μάλα πολλὰ πλάγχθη…), riusciamo a scorgere un probabile riferimento al mercante della prima fase della colonizzazione greca. In questo contesto storico i calcidesi fondarono in Campania, Pitecussa, l’attuale Ischia, Nasso, Catania e Zancle.
Infatti, esattamente come l’uomo eroe, anche l’uomo mercante per affrontare le vicessitudini quotidiane, deve far ricorso alle uniche forze che Μοιρα (il fato) gli ha assegnato. Le due figure riflettono l’individualismo eroico, tipico del contesto in cui sono immerse. Nello specifico, Odisseo deve lottare duramente contro le divinità, in particolare Poseidone. Acutamente gli antichi commentatori hanno osservato che ad Ulisse era stato riservato un destino avverso che affronterà con il suo multiforme ingegno. Parimenti il mercante doveva prodigarsi per una buona navigazione, individuando la rotta meno pericolosa possibile da seguire.
Diverso è invece Giasone, l’eroe delle Argonautiche di Apollonio Rodio. Il protagonista accetta passivamente l’incarico di recuperare il vello d’oro, senza immaginare quello a cui sarebbe andato incontro.
Viste le difficoltà che dovrà affrontare, Giasone sprofonderà nella condizione psicologica dell’impotenza, maledicendo il giorno in cui aveva accettato di intraprendere la missione. Egli è, dunque, il protagonista dell’antieroe, riflesso ancora una volta di una determinata società, ovvero quella ellenistica. In effetti molti aspetti sociologici mutano con il tempo.
Mentre Omero tratteggia la civiltà della vergogna, l’uomo del terzo secolo non è più in balia della divinità. Ne consegue che, nel corso della narrazione, Giasone non emerge per le sue imprese eroiche, mentre sarà una donna, Medea, ad aiutarlo nel raggiungimento del suo obiettivo. Costei, descritta da Apollonio Rodio, attraverso una profonda introspezione psicologica, diventa l’unica protagonista, dissacrando ogni schema culturale e valoriale finora assecondato. Si assiste, dunque, al tramonto del κλέος (gloria) e non si presta attenzione al pubblico riconoscimento, tipico della civiltà precedente con cui si stabiliva il valore reale di un guerriero.
Nell’epica latina, invece, il viaggiatore per antonomasia è Enea. Quest’ultimo, come Ulisse, affronta innumerevoli sfide con uno scopo preciso: quello di fondare la stirpe romana. Egli è il protagonista dell’Eneide, il cui autore è Virgilio, che rielabora le versioni del mito greco omerico. Il personaggio principale è l’ultimo dei troiani, ma sarà il primo che realizzerà il volere divino, a cui sottostà, come la prima moglie Creusa sottolinea: “quid tantum insano iuvat indulgere dolori, o dulcis coniunx? Non haec sine numine divum eveniunt; Nec te comitem hinc portare Creusam fas aut ille sinit superi regnator”. È ovunque ravvisabile un maggior senso del dovere in Enea in quanto, a differenza di Ulisse, non indugia nella passione amorosa, abbandonando Didone. In questa scelta c’è tutta la pietas del protagonista che abbraccia la “voluntas” degli dei, conducendo fino alla fine il suo destino. D’altra parte Enea non possiede la superbia e l’ingegnosità di Odisseo. Egli rappresenta l’accettazione della propria sorte nel contrasto tra il fato e la volontà umana.
In conclusione è però doveroso sottolineare che le relazioni intertestuali tra Virgilio e Omero non si esauriscono nell’Odissea: infatti la seconda parte dell’Eneide non narra di un viaggio. Virgilio è abile nella rielaborazione della vicenda di Achille, Ettore e Patroclo in quella di Enea, Turno e Pallante. Quindi nel sommo poeta latino è ravvisabile non una revisione delle fonti omeriche bensì una nuova strategia narrativa. (Gian Biagio Conte, 1984; Le Monnier)