Ci risiamo. Dopo la montagna di soldi pubblici spesi per l’EXPO 2015, l’Italia ha presentato la propria candidatura per realizzare l’EXPO 2030. Nei giorni scorsi è stato consegnato il dossier di candidatura alla cerimonia svoltasi a Parigi presso il Bureau International des Expositions. Tra i presenti, il Sottosegretario agli Esteri e alla Cooperazione Internazionale Manlio Di Stefano, il Sindaco di Roma Roberto Gualtieri e il Presidente del Comitato Promotore di Roma Expo 2030, Giampiero Massolo. Il tema di Roma EXPO 2030 dovrebbe essere “Persone e territori: rigenerazione urbana, inclusione e innovazione”. Oltre all’Italia, a presentare la propria candidatura sono stati Odessa (Ucraina), Busan (Corea del Sud) e Riad (Arabia Saudita).
La candidatura di Roma per l’EXPO 2030 ha riaperto ferite mai del tutto rimarginate. A partire dal simbolo dell’EXPO 2015 (secondo alcuni sarebbe stato una copia fatta male di opere già realizzate a Singapore). E poi i costi: il bilancio finale dell’EXPO 2015, per 2,2 miliardi di Euro, venne presentato come positivo, ma ciò solo grazie ai 1,2 miliardi di Euro di aiuti versati dallo Stato italiano, ai soldi dei contribuenti (ai quali venne chiesto di pagare quasi altri trenta Euro per visitare l’esposizione: solo la vendita dei biglietti permise di incassare oltre 420 milioni di euro!).
Molte le polemiche anche sulla tempistica per la realizzazione dei lavori. E anche per la decisione, del tutto anomala, di smantellare tutto una volta terminata la manifestazione. Un scelta che cozza con quella presa da altri paesi che, invece, hanno colto l’occasione delle esposizioni mondiali realizzate sul proprio territorio per farne un simbolo e un’attrattiva. Si pensi alla Torre Eiffel realizzata in occasione dell’Esposizione Universale del 1889 a Parigi. O al Globen di Stoccolma, realizzato nel 1989 e passato alla storia come l’edificio sferico più grande del mondo. O ancora all’Atomiom, realizzato in occasione dell’EXPO del 1958 a Bruxelles. Tutte strutture diventate simboli e attrattive turistiche (cosa questa che ha permesso di ammortizzare i costi grazie al flusso ininterrotto di visitatori). La conferma di come un evento come l’EXPO può essere un fattore trainante per l’economia del territorio. Ma, al tempo stesso, ricordare un certo momento storico: l’acciaio per Parigi, l’energia atomica per Bruxelles e così via. In Italia, invece, dell’EXPO 2015 non è rimasto nulla. Gli edifici costruiti in fretta e furia sono stati smantellati a tempo record alla fine dell’esposizione per non dover pagare penali salatissime previste dal contratto d’affitto per l’area sulla quale si sono svolti i lavori. Altra anomalia che ha comportato costi ingiustificati.
Ora, come se non avesse imparato nulla nel 2015, l’Italia ci riprova. A Parigi è stata presentata la proposta per un nuovo EXPO a Roma. Il volume di ben 618 pagine contenente il progetto dettagliato è stato redatto da un team di professori e professionisti internazionali (da Ian Philion a Richard Burdett, da Carlo Ratti a Italo Rota da Michele Costabile a Christian Iaione, tra gli altri) guidati dell’architetto Matteo Gatto. Lo stesso che ha ricoperto il ruolo di Chief architect e di Direttore della Visitor experience di EXPO Milano 2015. “Abbiamo consegnato un progetto molto dettagliato che non credo possa avere rivali dal punto di vista della qualità e della visione del futuro”, ha dichiarato il Sindaco Gualtieri.
Non resta che aspettare Novembre 2023, quando si terrà la votazione finale. Intanto, è iniziata la corsa per cercare di “convincere” i valutatori che la proposta dell’Italia è la migliore (nonostante quanto avvenuto nel 2015). “Abbiamo mobilitato tutta la rete diplomatico-consolare per sostenere Comune e Comitato Promotore in una campagna complessa ed entusiasmante. Il nostro sforzo al MAECI è massimo nell’esplorare nuove partnership e valorizzare quelle tradizionali, allo scopo non solo di guadagnare il sostegno dei 170 Paesi in questa campagna così fortemente competitiva, ma anche di affermare l’italianità e le eccellenze del nostro Paese nel mondo”, ha dichiarato Gualtieri. Intanto, non pochi si sono accorti che alla fine del breve video presentazione era stato commesso un errore abbastanza pacchiano (“My names is Roma” invece di “My name is Roma”). Una svista che non è sfuggita a molti dei presenti.
C’è da sperare che i valutatori non l’abbiano notato. E che non ricordino tutti problemi per la realizzazione dell’EXPO 2015. Ma soprattutto che nessuno si faccia influenzare dalla mania di “ucrainismo” che ha pervaso ogni ambito (dal cinema allo sport fino, neanche a dirlo alla politica) e non sia tentato, senza neanche aver letto la proposta, di votare il progetto presentato dal candidato ucraino, Odessa.