C’è un concetto da chiarire, prima di analizzare il fenomeno Draghi: quello di “élite”. Bisogna specificare che chi governa fa sempre parte di una élite, dell’élite al potere, appunto. Cioè: non è che Draghi faccia parte dell’élite e Conte no. Non è che se uno è intelligente e governa sia la casta e se uno è sprovveduto e governa lo stesso non lo sia. Per essere chiari fino in fondo: i grillini al potere sono élite e casta esattamente come Draghi. Solo che Draghi ha un curriculum di studi e di esperienze alle spalle, i grillini hanno il vuoto (dietro e davanti).
Si sente dire: “l’operato di Draghi e la sua intera carriera pendono dalla parte di chi ha reso il mondo ciò che è (cioè mostruosamente ingiusto e diseguale) e non dalla parte di chi ha provato a migliorarlo”. Si può sottoscrivere una tale ingenuità? No, non si può: perché bisognerebbe dimostrare – e sembra molto difficile – che un manipolo di improvvisati, manovrati da un comico non sempre lucidissimo, abbiano provato a migliorare il mondo. In effetti ce lo dicevano che avevano sconfitto la povertà, che andavano al Parlamento in autobus, che volevano parlarci di Bibbiano, che meno parlamentari uguale meno ladri e via smarronando.
Ma se c’è qualcosa che fa davvero male al cuore è l’idiozia reiterata, con l’aggravante della buona volontà. Si poteva andare avanti nell’equivoco di una casta di scappati di casa, di una élite che governava ignorando quasi tutto della macchina amministrativa solo perché ammansiva il popolo parlando alla sua pancia invece che al suo cervello? Si poteva continuare a credere che Alessandro Di Battista volesse migliorare il mondo mentre Draghi, in tutta la sua vita, non avrebbe fatto altro che peggiorarlo?
Si poteva far finta che un comico rintronato che ripete battute che non fanno più ridere nessuno, anzi, spargono un gelo macabro, fosse per un mondo più giusto, mentre l’uomo che ha salvato l’euro e i nostri mutui dagli attacchi di questa élite di sconsiderati, volesse un mondo più ingiusto? Come se, invece di renderci conto quanto il capitalismo abbia ormai vinto in tutto il mondo (perfino in Cina), si vivesse nella beata convinzione che Che Guevara stesse lì lì per liberarci? Quanti danni si fanno alle persone più fragili additando al loro ludibrio persone come Draghi, facendogli credere che è Beppe Grillo quello che risolverà i loro problemi? Quale profonda mancanza di rispetto verso i poveri, convincerli che il loro riscatto sia nelle mani degli ignoranti?
Perché continuare a disprezzare chi non arriva alla fine del mese, agitando ai suoi occhi gli spauracchi dei poteri forti e delle banche, senza avere il coraggio di dirgli che la sua povertà non sarà risolta da chi elargisce elemosine? E nemmeno da chi ferma una nave di disperati in un porto? Come si può seguitare a deridere chi ha meno strumenti per orientarsi nella politica e nell’informazione, parlandogli con slogan invece di cercare di educarlo, tornando a una politica che sia anche pedagogia per i più deboli? E quindi, forse, spingerlo magari alla rivolta, a una ritrovata coscienza di classe, invece che al “vaffanculo”?
Si potrebbe finalmente sperare che l’élite capeggiata da Draghi, formata (si presume e si spera) da persone realiste, sconfigga per sempre l’élite degli imbonitori e dei ciarlatani televisivi? Sarà vero che l’Italia avrà una classe dirigente che la governa più uguale a quella della Germania e della Francia invece che a quella della Polonia e dell’Ungheria? Potremo sperare in una destra che abbia leader più simili alla Merkel invece che a Orban? E in una sinistra che si federi finalmente in un grande partito democratico, liberandosi dai rimasugli ideologici e dalle squallide lotte interne a cui ci ha purtroppo abituati?
Soltanto alzando il livello della politica noi elettori miglioreremo, chiamati da una politica migliore a votare con la testa e non con la pancia. L’avvento di Mario Draghi alla guida dell’Italia potrebbe essere foriero di un vento nuovo che fa piazza pulita anche di tante piccolezze: i talk show colonizzati da giornalisti che ridacchiano e si danno del tu (contribuendo non solo al degrado della politica, ma anche del giornalismo); i quotidiani, con testate che si rifanno a concetti roboanti come “verità” e “libertà”, che lanciano titoli che sono un insulto all’intelligenza; i politici che quando parlano sui social e in tv aizzano le rispettive curve e che dovrebbero invece mantenere un profilo istituzionale perché, se governano o se governeranno, lo dovranno fare anche per chi non li ha votati.
Si legge ancora, negli articoli di chi è più a sinistra della sinistra: “Quanto è profonda la disillusione, anzi il disprezzo verso la democrazia parlamentare se tutti gioiscono perché le decisioni per il bene comune vengono ora prese da una persona sola?”. Ma questa persona sola, Draghi (che, attenzione, non è il dittatore dello stato libero di Bananas, è comunque a capo di un governo che rappresenta una maggioranza ampia, auspicata dal Presidente della Repubblica) si spera sia quella che riporta il rispetto verso la democrazia, le istituzioni, il parlamento, umiliati proprio da quelle élite di venditori ambulanti che li volevano “aprire come scatolette di tonno”.
Draghi non ci salverà, ma forse ci farà stare un po’ zitti, a riflettere sull’ubriacatura di qualunquismo e di approssimazione che ci ha ammorbato in questi ultimi anni. Benvenuta sia l’èlite della competenza, dello studio, dell’understatement. Bye bye all’élite dell’improvvisazione, dei proclami dai balconi, dei rosari sventolati nei comizi, dell’ignoranza. Draghi è come un piatto di riso in bianco a casa nostra, dopo settimane di sughi in trattoria.