Un’indagine su Matteo Renzi, che tenti di inquadrarlo per trarne un’esperienza conoscitiva utile, non può non partire da alcuni luoghi comuni con cui i suoi avversari cercano di denigrarlo. Il più sciocco, quello che attira più consensi, afferma: “Renzi è interessato al potere”. Un politico che non fosse interessato a raggiungere il potere mancherebbe di una qualità fondamentale, l’autorevolezza per essere punto di riferimento di una comunità, che sempre cerca l’identificazione in un leader, non certo nel vicino della porta accanto.
Il potere, come ci ha insegnato Machiavelli, non è intrinsecamente malvagio, nemmeno quando, sosteneva lo scrittore, è stato raggiunto ricorrendo a “stratagemmi e scelleratezze”, perché può essere sempre “volto al bene”. Bisognerebbe quindi almeno aggiungere un aggettivo alla parola “potere”.
Se questo aggettivo fosse “personale” (“Renzi è interessato al potere personale”) si ritorna all’origine del discorso: dovrebbe forse Renzi essere interessato al potere di qualcun altro, invece che al suo? La superficialità di chi argomenta tirando in ballo questa frase è palese, eppure la si sente ripetere da molti, che non vedono evidentemente la ricerca del potere negli altri politici, tutti “santi” (alcuni, in effetti, sempre col rosario in mano), che se lo raggiungono, lo esercitano nell’interesse di tutti, mentre Renzi lo vuole solo per sé.
“Renzi è un politico di professione” è il secondo luogo comune, ormai parecchio indebolito dall’ esempio della “casta grillina” che, arrivata al comando dopo i master allo Stadio San Paolo di Napoli o i corsi tenuti dalle regioni su come imparare a usare il computer, ci ha definitivamente convinti che la politica, quella seria, non è cosa da comici e che il governo della settima potenza industriale non lo si affida a un manipolo di ragazzi, nemmeno se sono “meravigliosi”, come li pubblicizzava il loro capo, impressionato dalle dirette streaming come il mio bisnonno dal motore a scoppio.
Renzi, che ha, evidentemente, una passione autentica per la politica, che ha sempre praticato fin da giovanissimo, dovrebbe rappresentare una garanzia: come il gioco del calcio per Cristiano Ronaldo, una cosa ti riesce bene se davvero l’hai sempre sognata, e quando realizzi il tuo sogno vivi per quello. Non dovrebbe, al contrario, essere vista con sospetto.
Non andrei a farmi operare da un chirurgo che avesse conseguito questa specializzazione nei ritagli di tempo, perché la sua vera passione era recitare nei teatri, giusto? Dice Roland Barthes in Miti d’oggi : la passione politica “sembra ricavare la sua forza da un bel sogno interiore, come se il candidato esemplare dovesse congiungere magnificamente l’idealismo sociale all’empirismo borghese”.
La politica come professione una volta i giovani comunisti la imparavano alle Frattocchie, o alla Fgci (Federazione Giovani Comunisti Italiani) e si formavano su riviste come La città futura (1917, primo numero curato da Antonio Gramsci, poi dal 1977 al 1979), Nuova Generazione (1956), Jonas (dal 1984 al 1986) Rinascita (fondata nel 1944 e chiusa nel 1991).
I giovani democristiani imparavano a fare politica alle ACLI, alla CISL, alla FUCI (giovani cattolici universitari, oggi MSC Movimento Studenti Cattolici), su quotidiani come Il popolo e riviste come La discussione (fondata da De Gasperi nel 1952 e ancora in vita). Ne uscivano figure che oggi non abbiamo difficoltà a riconoscere come “statisti”, al di là delle ideologie.
Oggi guardiamo con un senso di profonda pena i video di Salvini e della Meloni su Tik Tok, non per moralismo, li guardiamo proprio con una compassione infinita, che lascia senza parole e non vale nemmeno provare a trovarle per spiegarla. Tutto proviene dal discredito che, continuamente, i populisti gettano sulla politica, a colpi di video in cui Putin è uguale alla Merkel, Erdogan è uguale a Macron, Bolsonaro è uguale a Biden, tutti insieme a ingegnarsi su come fare a fregarci (sui vaccini, sulle mascherine, con l’euro, con i complotti).
Il terzo luogo comune, anche questo di notevole fortuna, è “Renzi è antipatico”. Ora, come si fa spiegare che le categorie della simpatia e dell’antipatia sono così soggettive da non costituire, mai, parametri per giudicare l’operato di qualcuno, chiunque esso sia? Soprattutto in politica, ma anche quando andiamo di nuovo a farci operare dal nostro chirurgo, giudicare con il metro della simpatia o dell’antipatia potrebbe far prendere abbagli clamorosi.
“Non mi rappresenta” si sente anche dire. E chi lo dice, in genere, non si sente “rappresentato da nessuno” essendo egli perfetto, con una visione cristallina del sistema politico-economico tale che nessuno dei comuni mortali che gli italiani provano a mandare in Parlamento a rappresentarli, potrà mai sperare di essere preso in considerazione da cotanta sicumera.
In attesa di trovare il politico “perfetto” come lo voglio io, a mia immagine e somiglianza, ma che piaccia anche a te e a mio cugino, sempre Roland Barthes (che ci aiuta e illumina in questa fenomenologia) direbbe a proposito di questo politico idealizzato e quindi inesistente “la luce soprannaturale che lo attira, lo solleva nelle regioni di un’alta umanità, il candidato raggiunge l’olimpo dei sentimenti elevati, in cui ogni contraddizione politica è risolta”.
Bisognerebbe imparare ad ascoltare i politici (soprattutto Renzi che, in quanto “antipatico” viene spesso silenziato), riconoscere le differenze tra loro (perché – ovviamente ma vale la pena ribadirlo – non sono “tutti uguali”) e votare quello meno cinico, quello più interessato a spiegare e a farci capire (come fa quasi sempre Renzi), quello che rifugge dagli slogan e usa i social solo per rinviare alla sua pagina facebook dove può dilungarsi e chiarirsi meglio), quello che parla con calma, senza strabuzzare gli occhi, sbavare e gesticolare con le mani, quello che non fa elenchi per mascherare la sua incapacità di argomentare mettendo in fila soggetto, complemento e almeno una consecutiva; il contrario, insomma, per farla breve dei populisti.
Anni di politica-entertainment alla Berlusconi, di “vaffanculo” alla Grillo, di mojito e porchette alla Salvini, riescono a mettere in ombra gente seria (non solo Renzi: Calenda, la Bonino, la Boldrini…su cui dovremmo aprire una fenomenologia a parte), facendo sembrare chi davvero è animato da passione politica e da una spinta verso il bene comune come un disgustoso e “antipatico” approfittatore e relegandoli in minoranze da 3%.
Prendiamo atto, senza fare ironia, che la maggioranza degli italiani crede che un fenomeno biblico come l’emigrazione, che risale alla notte dei tempi e che non si arresterà mai, possa essere fermato bloccando una nave con cento disperati sopra “perché da qualcosa si dovrà pur partire”.
Scandaloso ci sembra che alcuni politici fomentino queste credulità e queste guerre tra poveri nelle persone semplici, invece di intendere la politica nel suo più alto senso pedagogico, come occasione per l’emancipazione soprattutto dei più deboli. Infine Renzi dà fastidio perché ha una famiglia normale, sembra un cattolico vero (che va davvero a messa la domenica) ma non lancia petizioni per difendere i presepi e ha battezzato tutti e tre i suoi figli, al contrario di altri, sempre in primo piano ai “family day”. Insomma, Renzi sarebbe un politico, ancorché incompreso, quasi perfetto. Se solo non si intestardisse a parlare inglese, prima di averlo imparato per bene.