Il conformismo di sinistra, di cui è eccelsa campionessa Michela Murgia, è una brutta bestia: per noi radical chic è la morte del pensiero, ci dice sempre cose che sappiamo già e ci annoia quindi da morire. Per chi non è di sinistra sembra arabo: non lo capiscono, non c’è verso. Nemmeno i concetti più lapalissiani, niente, le prediche di sinistra entrano in un orecchio di quelli di destra e escono dall’altro, senza lasciare traccia.Ci si domanda perciò come mai la Murgia (e non “le Murge”: Michela sostiene che quando qualcuno la chiama con l’articolo davanti al cognome lei risponde sempre che non è un altopiano ma, per essere precisi, dovrebbe chiamarsi al plurale, e la sua rimostranza non avrebbe senso nemmeno in quel caso perché si direbbe comunque “come dice la Murge”, che la distinguerebbe, con il singolare indicativo, dalla subregione pugliese-lucana che esige il plurale per essere identificata, tanto per chiuderla qui con una polemica vuota cui lei tenta invano di dare pregnanza); ci si chiede perciò, dicevo, come mai ce la ritroviamo dovunque, in tv, sui giornali e in libreria a dispensare le sue ricette di sinistra, soporifere per ambedue gli opposti schieramenti. Noi di sinistra (o ex di sinistra, chi lo sa…se la sinistra ora è quella della Murgia) ci addormentiamo proprio: alla quinta riga di un suo articolo, alla seconda pagina del suo ultimo libro, per non dire quando compare nel salotto della dottoressa Gruber.
Niente di quello che dice ci pare interessante, tutto ci sembra di averlo già sentito, mai che una volta provi a svegliarci con qualcosa che non sia una frase fatta (l’altra sera dalla Gruber ha detto, senza fare una piega: “Non basta intestarsi la carrozza al Salvini per diventare cocchiere e smettere di essere mosca”: qui devo dire che ho avuto un soprassalto, ma è stato un attimo). Tra tutti i pulpiti che le danno la parola, c’è anche la storica rubrica dell’Espresso che fu di Giorgio Bocca “L’antitaliano”. Bocca era talmente lontano dal conformismo di sinistra da farcelo sembrare, a noi che allora eravamo ragazzi radicalizzati, quasi di destra. Ma certo su quegli articoli discutevamo, come sul Togliatti demistificato in un suo celebre libro: Bocca, come Pasolini (pur nella distanza che li separava), usava quella rubrica per rivelare alla sinistra quello che spesso preferiva non vedere. Per non parlare di Pasolini: i suoi “fondi” sul borghese Corriere della Sera erano sempre choc salutari per noi compagni.
Ma voglio citare altri nomi, tra quelli che ci tenevano svegli: le cattoliche Adriana Zarri e Lidia Menapace, per esempio, che non avevano bisogno di smettere di credere in Dio per votare comunista, Dario Fo e Franca Rame, che, al contrario, ci facevano vedere come anche un ateo potesse cogliere la profonda spiritualità della lotta di classe quando cerca la giustizia tra gli uomini, e ce ne sarebbero altri, Ermanno Olmi, Goffredo Fofi e Grazia Cherchi… Come tutti quei maestri, insomma, che non hanno paura di scoprirsi scomodi nei loro stessi abiti e che finiscono per mostrare, a chi ha la pazienza di ascoltarli, aspetti rivelatori della vita evitando il risaputo, l’ovvio, oggi si direbbe “il politicamente corretto”. Don Lorenzo Milani era un altro: sono quasi sicuro che direbbe alla Murgia (se, essendo vivo, avesse mai del tempo da dedicarle, cosa che escluderei): “Se lei si arroga il diritto di dividere il mondo in maschi e femmine, allora io rivendico quello di dividerlo in diseredati e oppressi da una parte e ricchi e oppressori dall’altra”. Sono infatti molte più di dieci le frasi che non vorremmo più sentire dalla Murgia, comprese quelle che lei ha infilato nel suo libro Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo più sentire , pubblicato daEinaudi, in una edizione con dei disegnini, come se fosse il galateo di una signora-bene qualsiasi : vorremmo per esempio che si smettesse di “settorializzare” il riscatto dalle ingiustizie, riducendolo a una questione di sesso.
Anche perché, invece di aiutare l’emancipazione femminile, si finisce per ridicolizzarla, combattendo battaglie che vorrebbero forse obiettivi più seri di quelli enunciati nei capitoli del libro della Murgia: “Come hai detto che ti chiami?”, “Brava e pure mamma!”, “Spaventi gli uomini”, “Le donne sono le peggiori nemiche delle altre donne”, “Io non sono maschilista”, “Sei una donna con le palle”, “Adesso ti spiego”, “Era solo un complimento”, “Sono solo parole”. Nel migliore dei mondi possibili, basterebbe a Michela Murgia di non sentire più queste frasi? Vorrebbe dire che il genere umano, se non le dicesse più, avrebbe compiuto finalmente la svolta e la parità di genere sarebbe stata raggiunta? Si sentirebbe finalmente appagata se, come dice lei, “tra dieci anni una ragazza o un ragazzo, trovandolo (questo suo libro, n.d.r.) su una bancarella, possa pensare sorridendo che per fortuna queste frasi non le dice più nessuno”? Ci sono temi di una vastità tale che ridurli a queste quisquilie fa un torto all’intelligenza: lo so che questa è un’altra di quelle frasi che la Murgia non vorrebbe più sentire ma anche io non vorrei sentire più lei che mi dice che non la vuole più sentire, quindi siamo pari – parità di genere raggiunta – e vado avanti.
L’emigrazione, per esempio: per due anni interi Salvini ci ha detto che chiudendo i porti si sarebbe risolto il problema. Ecco, è la stessa cosa della Murgia che non vuole più che un uomo le dica “adesso ti spiego”. Un fenomeno biblico come l’emigrazione, la sua tragicità, la sua persistenza nella storia dei secoli, diciamo pure la sua grandiosità, ridotte alla formulina dello stop a una nave, o di un porto chiuso, escogitata da un politico per tenere calmi i suoi elettori razzisti che lui stesso ha contribuito a eccitare. Una presa per il culo dell’intelligenza umana di proporzioni gigantesche. Idem per l’uguaglianza tra i sessi: più che chiedersi se ne verremo mai a capo, e certamente non saranno le dieci frasi della Murgia a farci fare passi avanti, servirebbe interrogarsi sul rispetto che uomini e donne devono prima di tutto a se stessi, senza stare a guardare né il sesso né le preferenze sessuali, né l’etnia né la religione, né l’età né la classe sociale, rivendicando una consapevolezza morale che sembra parecchio passata di moda nell’Occidente capitalistico che, non a caso, preferisce il corporativismo del #metoo al risorgere di una – davvero pericolosa per l’establishment – coscienza di classe: uomini e donne uniti contro l’ingiustizia di un mondo disuguale in modo insopportabile. La frase “da qualche parte si dovrà pur cominciare” è proprio una di quelle che davvero non vorremmo più sentire, perché non sarà lo stop di Salvini alla nave di una Ong né lo sputo in faccia della Murgia al Sallusti che risolveranno mai l’eterno exodus biblico né l’uguaglianza tra gli uomini e le donne. Viene da chiedersi, infatti, se non sia giusto che proprio questi due fenomeni che abbiamo preso come esempi, contemplati nelle bibbie, nei corani, nei vangeli e in tutti i libri delle storie dei popoli, nei secoli, continuino a persistere, portando il meraviglioso germe della diversità, con la sua ricchezza, dove la piccineria vorrebbe soffocarlo.