Intervista al Sociologo Francesco Pira sulla figura del Santo
La sera del 3 ottobre 1226 dopo aver aggiunto gli ultimi versi al suo Cantico di Frate Sole (Canticum Fratis Solis) o Cantico delle creature (Laudes creaturarum), Francesco d’Assisi, deposto nudo sulla nuda terra, muore.
Il Poverello d’Assisi è – come ricordano i grandi ed emeriti medievisti Franco Cardini (Francesco d’Assisi, Mondadori), Chiara Frugoni (Vita di un uomo: Francesco d’Assisi, Einaudi), Jacques Le Goff (San Francesco d’Assisi, Laterza) – la «più grande figura religiosa e spirituale della storia italiana […]. La sua vita ci permette di comprendere meglio gli uomini e le donne del Medioevo». E non solo.
Francesco è figlio di Pietro Bernardone, un ricco mercante di stoffe, che lo chiama così per gratitudine alla terra di Francia che lo aveva arricchito. Dalla bella e poetica Provenza, Pietro Bernardone, prende la stessa moglie, Madonna Pica (o Giovanna? anche il nome della mamma – docet la Frugoni – è tutt’altro che sicuro) e madre di Francesco. Lo stesso nome, Francesco, è un «omaggio» alla Francia. Un nome – osserva ancora, con acume, la professoressa Frugoni – «a quei tempi molto raro (“singolare e inconsueto, nota Tommaso da Celano)».
Francesco è dapprima un cavaliere. Da piccolo, con il latte materno, apprende le canzoni dei trovatori, le novelle di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda. Racconti dove si «esaltano il valore dei combattenti, l’amore disinteressato per la bella dama, la lealtà, la generosità, la cortesia valori che esercitano sul giovane Francesco un’impressione profonda e assai presto gli fanno sentire soffocante il fondaco traboccante di stoffe, miseri i discorsi del padre e del fratello Angelo chiusi nella fissa attenzione di conti e guadagni» (Frugoni). Ma è anche un poeta: per consolidata tradizione il Cantico di frate sole è il primo testo veramente canonico della letteratura italiana; è uno dei testi capitali della spiritualità cristiana. Francesco è un riformatore, un santo. Di più. Francesco «da Cristo prese l’ultimo sigillo» (Paradiso XI, v. 107).
La figura del Poverello – ricorda il professore Mario Cimini – «vive poeticamente lo spazio dell’XI Canto». Il racconto dantesco della vita di Francesco è volutamente tessuto simmetricamente con la vita di Cristo. Una simmetria che conduce all’identificazione Francesco/Cristo sulla base del comune denominatore della povertà: «Questa, privata del primo marito, / millecent’ anni e più dispetta e scura / fino a costui si stette sanza invito …» (Paradiso XI, vv. 64-66).
Il canto XI del Paradiso si apre con la famosa terzina («O insensata cura de’ mortali, / quanto son difettivi silogismi /quei che ti fanno in basso batter l’ali!») in cui il sommo poeta sottolinea il contrasto tra i vari affanni degli uomini, causati dalla cupidigia dei beni terreni, e la condizione felice di chi ha ormai superato le miserie del mondo per opera della Grazia. Un preludio funzionale al tema centrale del canto: la vita di Francesco modellata sulla Povertà, madonna Povertà (Francesco e Povertà per questi amanti, Pd, XI, 74).
Centrale nella mistica, letteratura e filosofia francescana è l’idea che collega la povertà alla kenosis («svuotamento» si cfr la Lettera ai Filippesi, 2,7). La dinamica kenotica – osserva con acume Massimo Cacciari in Doppio ritratto. San Francesco in Dante e in Giotto – è «accoglienza dell’altro […] Farsi poveri significa liberarsi per poter perfettamente amare. Esistere solo nella relazione all’altro, nell’esodo all’altro […] Povertà diviene, allora, ricchezza di esperienza […] la condizione indispensabile per poter accogliere noi ogni volto, ogni incontro». In questo senso la mistica francescana è amore ri-creante e la povertà è energia che arde e che prende nome e impronta dell’Altissimo. Dell’universalità del pensiero di San Francesco, della sua attualità e della grande forza di rappresentare ancora oggi un pensiero alto sull’evoluzione del nostro mondo ne abbiamo voluto parlare con il saggista Francesco Pira, professore associato di sociologia all’Università degli Studi di Messina, dove è Delegato del Rettore alla Comunicazione e Direttore del Master in Esperto in Comunicazione Digitale. Autore di oltre 70 pubblicazioni scientifiche in italiano, inglese e spagnolo, ha svolto seminari sulla comunicazione della Chiesa. L’idea di rispondere a domande su San Francesco gli ha provocato una fortissima emozione. “Porto il nome del Santo di Assisi e ho avuto il privilegio di incontrare il Papa che porta il suo nome. Sono stato molte volte nella Basilica di San Francesco e tutte le volte è una grandissima emozione. E’ un po’ rivivere la sua vita e la sua storia. Una volte, più di tutte, ho provato veramente un senso di elevazione. Negli anni 90 sono stato Capo Ufficio Stampa di Videomusic, la tv nazionale dedicata ai giovani, e fu prodotta in diretta la Messa del Maestro Franco Battiato. Un’emozione grande e irripetibile. Ma tutta la mia vita è stata guidata dal pensiero di San Francesco. Di recente in Sicilia sono stato relatore di un convegno a Favara organizzato dalla Comunità Francescana e sempre a Favara ho partecipato alla Conferenza Mediterranea Francescana. Ho parlato di valori e nuovi tecnologie. Questo per dire che San Francesco è stato sempre ben presente nella mia vita”.
D.: Professore Pira, il Cantico di Frate Sole, è tessuto e incentrato su una visione positiva della natura (nonostante l’infermità dell’autore, le contese tra Comuni e tra questi e l’Impero in pieno Medioevo, un sostantivo che ancora oggi in tanti faticano a de-negativizzare), la fratellanza dell’uomo con tutto il creato, l’umile e gioiosa accettazione della vita. La stessa infermità e morte, per Francesco, sono «ragione di lode» a Dio. Quanta della serena e gaia visione della natura questo testo piò insegnare all’Uomo di oggi?
«Il Cantico di Frate Sole potrebbe insegnare molto all’Uomo di oggi, anzi dovrebbe essere considerato un modello da cui prendere spunto e da cui ripartire. Il 5 giugno è stata celebrata la giornata dedicata all’ambiente e non sono mancati i commenti da più fronti, perché c’è ancora poco spazio e rispetto per la natura. Il conflitto russo-ucraino non sta favorendo la risoluzione dei problemi legati ai cambiamenti climatici. Gli obiettivi dell’Agenda 2030 non sono stati raggiunti e la grave crisi internazionale rende tutto più difficile e complicato. All’inizio del ventunesimo secolo De Kerkhove evidenziava la necessità di una metamorfosi profonda del modo in cui le persone percepiscono il mondo, una sensibilità per comprendere e sostenere l’altro, ma ci stiamo accorgendo che questo non avviene e gli uomini non trovano il giusto equilibrio. Oggi, non tardano a farsi sentire gli effetti della globalizzazione che si riversano anche sul nostro modo di trattare e considerare l’ambiente. Infatti, nella società digitalizzata si stanno realizzando delle interpendenze sempre più forti, interconnessioni più estese come effetto delle dinamiche indotte dai processi di globalizzazione (economica, tecnologica, politica), mentre la disintermediazione in atto stimola la crescita di spinte individualistiche sempre più marcate non canalizzate dalle politiche di governo, spesso inadeguate rispetto alle sfide che la globalizzazione genera. Ecco, perché ci troviamo ad affrontare una vera e propria sfida per raggiungere la piena consapevolezza civica. Magari fosse possibile raggiungere la stessa visione della natura di San Francesco e di Papa Francesco che, attraverso l’enciclica “Laudato Si”, ci ha invitati ad avere cura dell’ambiente e degli altri».
D.: Il Cantico delle Creature rivela la celebrazione della dignità di ogni creatura, l’atteggiamento di estrema umiltà rispetto a tutto il creato, il senso di fratellanza e tolleranza (…per quelli ke perdonano per lo tuo amore, v. 23). Il 10 dicembre 1948 gli autori del «Preambolo» della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani («[…] il riconoscimento della dignità intrinseca e dei diritti uguali e inalienabili di tutti i membri della famiglia umana è il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo») forse avranno avuto sotto gli occhi questo testo ma essa, la «dignità», rimane a volte e per tanti sono un ideale disincarnato? Quanto nella sua vita di uomo, di docente, di sociologo della comunicazione e studioso delle società il Cantico le ha offerto e ispirato e quanto invece tarda a rimanere semplicemente lettera morta?
«Il Cantico è un testo meraviglioso che ho letto tante volte e quando ho avuto modo di rileggerlo ho sempre scoperto qualcosa di nuovo e di particolare. Un testo che dona pace e serenità a quanti decidono di analizzarlo e di esplorarlo in tutte le sue parti. Abbiamo vissuto il dramma della pandemia ed è iniziata una guerra alle porte dell’Europa. Ho sempre pensato che ci siano due figure che danno speranza alla nostra vita: San Francesco e Papa Francesco. Esiste una “connessione”, chiamiamola così, tra San Francesco e Papa Francesco, confermata dall’enciclica “Fratelli tutti”. San Francesco e Papa Francesco rappresentano il Vangelo, la parola di Dio senza nessun espediente particolare e senza nessun pregiudizio. Abbiamo perso ogni nostra sicurezza, ma la testimonianza di San Francesco, attraverso i suoi scritti, e di Papa Francesco hanno donato tanta forza alle persone.
Oltretutto, la nostra società si presenta come liquido-moderna, come ha sempre sostenuto il grande sociologo Bauman, dove l’industria dello sgombero/sostituzione/smaltimento/evacuazione è una delle poche attività commerciali a cui è garantita una crescita continua e che è immune dalle stranezze dei mercati di consumo (…) l’eccesso e lo spreco sono i più fedeli, anzi, gli inseparabili compagni di viaggio dell’economia consumistica, destinati a restare uniti finché la morte (di entrambi) non li separi. Ma non solo. Viviamo in un’era assolutamente iper individualista e siamo diventati iper consumatori con grandi aspettative di qualità della vita avviluppati nella compulsione all’uso continuo e cecità nel non vedere come gli scarti generati dalla società dei consumi abbassino la qualità della vita di tutti e questo ancora non lo comprendiamo abbastanza».
D.: Nella storia dell’umanità Francesco d’Assisi è uno degli uomini, assieme a Socrate, Gesù, Buddha, tra i più credibili e ammirati anche dalle altre religioni e culture. Oggi il nostro Paese ma anche l’Unione Europea, e non solo, non sono e non appaiono ai più credibili. Una mancanza di credibilità che la crisi economica, la crisi del pensiero e della parola, il caos mediorientale, le tensioni della Russia alimentano sempre di più. Come analizza il fatto che si stenta sempre di più a fissare e a vivere un progetto (culturale, politico, ecc.) a lungo termine. L’età medioevale, intesa anche come una lunga e lenta trasformazione dall’Antichità alla Modernità, quanto può aiutarci nel ritrovare ideali e valori oggi a volte sfumati?
«Tante volte, sulla visione del nostro tempo e sul passaggio dall’Antichità alla Modernità, è intervenuto anche Papa Francesco e nell’udienza del 26 giugno, incontrando i membri della Caritas Italiana, in occasione del 50° anniversario di fondazione, ha ricordato l’importanza di riscoprire il senso ed il valore della carità. Il Papa ha precisato che sono tre le vie che vanno percorse: la via degli ultimi, la via del Vangelo e la via della creatività. Mi sono chiesto in quanti riflettono sull’importanza del prossimo e in quanti sono disposti a percorrere la via del Vangelo per dare vita ad un progetto che riguardi tutti e non solo una cerchia ristretta di persone.
Il Pontefice ha deciso di farsi chiamare Francesco per continuare lo stesso cammino del Santo di Assisi. Inoltre, rivolgendosi al cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo emerito di Agrigento, ha affermato: “È bello allargare i sentieri della carità, sempre tenendo fisso lo sguardo sugli ultimi di ogni tempo. È con i loro occhi che occorre guardare la realtà: la storia non si guarda dalla prospettiva dei vincenti, che la fanno apparire bella e perfetta, ma da quella dei poveri, perché è la prospettiva di Gesù”. A seguire si è soffermato su come abbracciare la via del Vangelo, che si basa essenzialmente sull’amore gratuito e sul servizio, e la via della creatività, che serve a sconfiggere il terribile virus del pessimismo, per trovare nuove soluzioni al tempo che viviamo. L’elemento centrale della visione del Papa riguarda la presa di coscienza delle enormi differenze sociali e la mancanza di sensibilità, carità e amore per il prossimo. Non si può pensare di combattere una pandemia e adesso la guerra senza un sistema che lavora attivamente insieme e senza la volontà di ogni persona a rinunciare ai propri interessi, in nome della comunità come ha fatto San Francesco. Ricordiamoci che da soli non siamo niente ».
D.: Nomen est omen. Quali dei valori (lealtà, generosità, cortesia, liberalità, ecc.) di Francesco condivide con il santo patrono d’Italia? Mi permetta di concludere quest’intervista augurandole, anche a nome de Il salto della quaglia, buon e felice onomastico!
«Dobbiamo cercare di invertire la rotta sia a livello nazionale che internazionale, affinché questa società possa trasformarsi, sconfiggendo la cattiveria e contrastando quel “egoismo indifferente” di cui ha parlato il Papa. L’Italia deve ripartire, mettendo in campo quei valori che sono andati perduti come: l’altruismo, l’amore, la carità e la generosità verso gli altri. Questi giorni che abbiamo vissuto, e stiamo vivendo, non vanno dimenticati, ma vanno custoditi come un insegnamento che duri per tutta la vita. Iniziamo a riappropriarci di quella resilienza che abbiamo, forse, perduto. Colgo anche io l’occasione per ringraziarla per le sue domande su temi a me molto cari ».