La trama di Fresa y chocolate è basata sul racconto El Lobo, el bosque y el hombre nuevo, opera dello scrittore cubano Senel Paz, che ha partecipato alla sceneggiatura insieme al regista.
La pellicola racconta la vita di David, irreprensibile studente universitario di scienze politiche con ambizioni letterarie, comunista senza dubbi ideologici, ma pieno di pregiudizi nei confronti dei gay. David entra in crisi quando la fidanzata Viviana lo lascia per sposare un funzionario di partito che le può garantire una vita migliore. Il ragazzo incontra Diego, un omosessuale colto e raffinato che prima cerca di adescarlo e in un secondo tempo diventa suo amico. Tra i due uomini si sviluppa una relazione che supera le primitive incomprensioni e diventa un sincero rapporto tra persone che si rispettano. Nella storia si inserisce l’ex prostituta Nancy, la prima donna con cui David riesce ad avere un rapporto completo, che diventa la sua nuova compagna. Diego è costretto a lasciare il paese per motivi politici, ma prima affida a David l’amica Nancy, che definisce sensibile e delicata come un uccellino, bisognosa di protezione e di affetto.
Fresa y chocolate è la pellicola più premiata del cinema cubano, è un lavoro che fa conoscere al mondo una cinematografia vitale e intrisa di contenuti. Tomás Gutiérrez Alea comincia il film insieme allo sceneggiatore Senel Paz, ma per portarlo a termine si fa aiutare dal geniale Juan Carlos Tabío. Possiamo dire che con questo film e con il successivo Guantanamera (1995) si realizza un ipotetico passaggio di consegne tra il popolare Titón e il suo allievo più promettente. Il merito di questo capolavoro del cinema cubano va equamente ripartito tra i due autori, senza dimenticare Senel Paz, che fornisce il materiale per la storia.
Fresa y chocolate è un film importante perché affronta un tema delicato come il problema omosessuale in una Cuba comunista e omofobica, piena di pregiudizi nei confronti dei gay. Non è ancora arrivata Mariela Castro a fare la paladina dei diritti degli omosessuali e Fidel non si sogna neppure di recitare il mea culpa. Nel 1993 non è facile affrontare un simile argomento senza rischiare noie con la solerte censura. Gutiérrez Alea e Tabío ci riescono, così come sono capaci di inserire un personaggio come Diego che critica la Rivoluzione, ma in fondo si sente rivoluzionario e ama la sua terra. Il contrasto tra Diego e David non è soltanto quello tra omosessuale ed eterosessuale, ma anche tra chi vorrebbe esprimere un’opinione diversa e chi accetta ogni cosa senza discutere. Alla fine entrambi escono arricchiti dal confronto e David comprende che è lecito parlare, avere dei dubbi, esporre critiche. Il ragazzo capisce che si può essere buoni patrioti criticando il sistema quando commette errori, perché serve a migliorare il proprio paese.
Le prime sequenze del film mostrano la crisi del rapporto tra David e Vivian in uno squallido motel dove i ragazzi non riescono a far l’amore, seguono il matrimonio della donna con un nuovo compagno e lo scoramento di David davanti a un bicchiere di rum mentre scorrono le note d’un vecchio bolero. Diego abborda David al Coppelia – la gelateria più famosa dell’Avana – dove lui consuma gelato di fragola (gusto femminile) e il ragazzo di cioccolato (tipico del macho). “È l’unica cosa buona che abbiamo in questo paese”, dice Diego, dando il via alla critica del sistema. L’omosessuale invita il ragazzo a casa sua, dove gli mostra libri proibiti e introvabili (Vargas Llosa, John Donne, Kostantinos Kavafis, Lezama Lima…), prova a fargli gustare tè indiano e tenta di circuirlo con la scusa della maglietta sporca di caffè. David è uomo, ci tiene a sottolinearlo, le attenzioni del gay lo disturbano e la sua eccessiva affettazione lo infastidisce. In un primo tempo frequenta la sua casa perché Miguel – un amico del partito – lo incarica di tenerlo d’occhio, crede che sia un pericoloso sovversivo. A poco a poco, invece, la relazione tra David e Diego diventa una profonda amicizia e nel rapporto si inserisce l’ex prostituta Nancy, salvata da un tentativo di suicidio con una trasfusione del sangue di David. Il gay è uomo di cultura, vuole organizzare una mostra di scultura alternativa ma non ci riesce, fa circolare tra i giovani letteratura pericolosa, ascolta Maria Callas, la musica di Lecuona, apprezza Paradiso di Lima e tutto ciò che è vera letteratura. David scrive racconti, Diego cerca di affinare un talento grezzo con preziosi consigli e favorendo la conoscenza di autori importanti per la sua formazione. David molla definitivamente Vivian che va in Italia con il marito, non accetta il ruolo dell’amante e decide di non vederla più. I registi decidono di immortalare la scena madre girando un rapido addio al tramonto durante il quale non servono parole. I pregiudizi sui gay sono il leitmotiv del film: “Ci si può fidare di uno che non è fedele neppure al suo sesso?”, “La Rivoluzione non passa per il buco del culo!”, sono frasi di Miguel, comunista ottuso, burocrate infarcito di ideologia. David frequenta il gay, beve la bevanda del nemico (whiskey), comincia ad apprezzare il tè. “Non hai paura che influenzi la tua ideologia?”, domanda Diego. “No, quando si hanno dei sani principi…”, risponde il ragazzo. Diego è omosessuale ma crede in Dio, come Nancy che offre candele a Santa Barbara, ma va dal santero per conoscere il futuro dalle conchiglie. David è materialista dialettico, ma è un comunista tollerante, anche se per strada non ci tiene a far vedere che conosce un omosessuale. Tutti i pregiudizi sui gay sono presenti nella figura di David, che indaga sui motivi, pensa a una malattia, crede che da piccolo l’amico sia stato maltrattato o non sia stato curato abbastanza. Diego, invece, è il personaggio che i registi usano per criticare la Rivoluzione: “Nel socialismo non c’è libertà. I burocrati decidono tutto. L’arte è fatta per sentire, per pensare, non per trasmettere. Che trasmetta la Radio Nazionale! Proibiscono tutto, persino le canzoni per bambini. Ma che importa, tanto educazione e salute sono gratis!”. Molto bella la sequenza durante la quale i due amici ascoltano Addio a Cuba di Ignacio Cervantes, triste motivo al pianoforte scritto dal compositore quando gli spagnoli lo cacciarono dall’Avana. Le illusioni perdute è il pezzo successivo, entrambi significativi di uno stato d’animo diffuso, oltre ad anticipare ciò che accadrà. Diego è gay ma difende la sua normalità, vuole essere giudicato come un essere pensate. “Sono rivoluzionario. Ho avuto anch’io le mie illusioni. Difendo il mio paese e la sua indipendenza, ma voglio poter parlare. Non devo essere costretto a dire sempre di sì, voglio difendere la rivoluzione ma anche la libertà di criticare. Non voglio andarmene da Cuba”. Molto controcorrente l’interpretazione di un’opera d’arte, non in linea con l’idea comunista: “Una cosa è l’arte, altra la propaganda. Hanno già tante cose per la propaganda: la radio, la televisione…”. Diego è la chiave di volta per criticare le cose che a Cuba non funzionano: “Viviamo in una delle città più belle del mondo e siamo ancora in tempo per contemplare le sue bellezze, prima che sprofondino nella merda”.
La pellicola imposta una critica radicale al sistema, riabilita l’universo gay – due cose un tempo inconcepibili – e segna un nuovo corso del cinema cubano. La confezione scenografica è perfetta, dal suono in presa diretta che cattura i rumori della città, a una fotografia accurata, per finire con una suggestiva colonna sonora. Le passeggiate di David per le strade dell’Avana sono un modo per mostrare bellezza e desolazione, case diroccati e stupendi panorami marini sul lungomare cittadino.
Le discussioni sulla Rivoluzione sono la parte politica del film, il contrasto tra il gay critico e l’etero allineato porta a dire che gli errori non sono la Rivoluzione, che le cose cambieranno, che prima o poi la situazione migliorerà. Persino un omosessuale può essere un buon rivoluzionario, non devono esistere pregiudizi.
Il finale è agrodolce. Diego spinge David tra le braccia di Nancy dopo un pranzo lezamiano, servito secondo il menù descritto da Lima in Paradiso. La donna fa provare al ragazzo per la prima volta cosa vuol dire fare l’amore, dopo aver ballato un languido bolero cantato da Benny Moré (Soy feliz). Diego è costretto ad abbandonare il paese perché perseguitato come sovversivo, Nancy è in crisi perché David è più giovane di lei e potrebbe lasciarla. Diego e David parlano per l’ultima volta, lui raccomanda di essere buono con Nancy, di pensare a lei perché è una donna fragile e bisognosa di affetto. “Pensavo di poter dire qualcosa e invece no. Non posso fare altro. Devo andare via perché voglio vivere la mia vita, voglio essere come sono. Perché non devo avere il dovuto?”. Diego osserva la Baia dell’Avana in compagnia dell’amico: “Non è meraviglioso? Fammela guardare bene. Per me è l’ultima volta”. Da Coppelia si ripete la scena del primo incontro, ma questa volta David mangia gelato di fragola e imita l’amico nelle movenze effeminate. Sono finiti i pregiudizi. Diego e David si abbracciano in una stupenda scena conclusiva che prelude al triste addio. “Ti voglio molto bene, David. Non posso farci niente”.
La pellicola è una continua citazione di opere del passato, invita ad approfondire la cultura cubana, musicale e letteraria. Il film è molto almodovariano, sia nelle situazioni che nella caratterizzazione dei personaggi. Nancy, la prostituta che tenta sempre il suicidio e alla fine si innamora di David sembra uscita da una pellicola del grande regista spagnolo. Gli interpreti sono ben calati nelle interpretazioni. Jorge Perugorría è un gay credibile e ben definito, anche se a tratti eccessivamente affettato nei modi; Vladimir Cruz è molto bravo nei panni di David, comunista che apre gli occhi verso la realtà e fa ben sperare per il futuro; Mirta Ibarra dà vita a un personaggio femminile molto sopra le righe.
Il film gode di un’ottima edizione italiana, ben doppiata, anche se si perdono le sfumature del dialetto avanero, che va sotto il titolo – identico all’originale – di Fragola e cioccolato.
Senel Paz è l’autore del racconto El lobo, el bosque y el hombre nuevo (1991), premiato al Concorso Internazionale Juan Rulfo (1990), che rappresenta il nucleo centrale della pellicola.
“Non era mia intenzione scrivere il film che volevo fare io e farlo dirigere a Titón. Il compito dello sceneggiatore è scrivere un film per un regista. Per questo mentre lavoravo alla sceneggiatura del mio racconto ho visto molti film di Titón. Volevo imparare i suoi film a memoria e cercare un punto comune che abbracciasse la sensibilità di entrambi”, dice Senel Paz. Lo sceneggiatore racconta cosa significa L’Avana per il regista: “Per Titón, L’Avana è parte della sua vita; il mio sguardo su di essa, al contrario, è sempre di scoperta, abbagliato, perché io sono arrivato all’Avana nel 1979. L’ottica di Titón, invece, è lacerata, perché per lui la sua città è quello che per me è la campagna, rappresenta la sua infanzia, la sua gioventù, i suoi amori. Per lui il degrado della città è simbolo di una distruzione molto maggiore e di una ferita più profonda di quanto non sia per me”. Senel Paz aggiunge che il film è stato scritto per Gutiérrez Alea, non per Tabío, che “si è aggiunto dopo, è arrivato all’improvviso per dirigere un film a cui non aveva pensato e molto rapidamente ha dovuto adattarsi a esso”. Il ruolo dello sceneggiatore si ferma alla scrittura del film, quindi la palla passa al regista: “Quando David passeggia per L’Avana, avrei preferito vedere ciò che vedeva David, piuttosto che vedere David guardare, ma questo è un qualcosa che non si può decidere a partire dalla sceneggiatura, è responsabilità del regista”, afferma Paz. Certe soluzioni, invece, sono state decise insieme: “Titón e io pensammo molto a come doveva essere l’edificio in cui abitava Diego. Nella sceneggiatura la casa non aveva scale, ma uno di quei deliziosi vecchi ascensori; c’era anche un piano che presentava sempre qualche problema quando ci si passava davanti; ma nel passaggio al linguaggio cinematografico risultava tutto dispersivo…”, dice lo sceneggiatore.
Senel Paz ritiene che Fresa y chocolate è “un film utile per esplorare determinate inquietudini sociali, segna un cambiamento decisivo nei rapporti tra cinema e politica, che devono vivere autonomamente e non essere al reciproco servizio”.
Tomás Gutiérrez Alea afferma in alcune interviste che lavorare insieme a Juan Carlos Tabío è “un’esperienza straordinaria e molto gratificante”. Il vecchio regista deve subire un intervento chirurgico e in quel periodo necessita di un aiuto per completare il lavoro. Il tono del film e lo stile viene deciso di comune accordo. Tabío esamina la sceneggiatura scritta da Titón insieme a Senel Paz, consapevole che non èun progetto suo, ma lo accetta senza riserve. “Trovare il giusto mezzo per l’interpretazione del gay non è stato facile. Da Coppelia vediamo Diego in fase di conquista, si presenta più estroverso, recita il suo personaggio. A casa guadagna importanza l’aspetto più normale, quello che tiene dentro. Pure l’ambientazione interna è una cosa importante che ci ha molto impegnati, creare un disordine organizzato, una collezione di libri e oggetti capaci di rivelare una personalità. Il modo di parlare dell’omosessuale è stato un altro problema risolto felicemente”, dice Titón. “L’Avana è un personaggio del film, un personaggio chiave. Diego è innamorato dell’Avana, si nota nelle scene in esterno, quando cerca di insegnare a David cos’è la cultura cubana. Una lunga scena in cui David cammina per la città è fondamentale nell’economia del film”, aggiunge Tabío.
“Il rapporto tra Diego e David cambia soltanto nel finale, perché prima il ragazzo si vergogna a farsi vedere per strada con l’omosessuale. L’inizio è un po’ lungo e rallenta il film. L’attrice che interpreta la fidanzata di David non era all’altezza degli altri, ma è di bella presenza e questo la salva”, dice Titón.
Juan Carlos Tabío afferma: “Io e Titón procediamo in modo diverso di procedere quando costruiamo un personaggio. Titón approfondisce la caratterizzazione più di quanto non faccia io. Per me l’aspetto importante in un personaggio è il suo significato e non il suo spessore psicologico come individuo”. Tomás Gutiérrez Alea aggiunge: “Mi interessa che i personaggi vivano per loro stessi, che abbiano sufficiente vitalità per poter scatenare l’azione, perché sono i personaggi il centro della storia anche se l’azione può perdersi per altre vie”. Fresa y chocolate è costruito su Diego, un personaggio in conflitto con un ambiente incapace di capire quanto di buono c’è in lui, perché lo giudica secondo parametri che non gli appartengono e che lo obbligano perfino ad abbandonare ciò che più ama: L’Avana. Nei film di Titón c’è sempre una preoccupazione per ciò che accade tra individuo e mondo circostante, come abbiamo visto inMemoriasdel subdesarrolloeinLa muerte de un burocrata. “L’obiettivo del film è rendere seducente e simpatico il personaggio dell’omosessuale attraverso David, ma per fare questo era essenziale una buona recitazione. Il film permette di capire il fenomeno dell’omosessualità, condanna i pregiudizi e cerca di impedire che i gay vengano confinati in un ghetto. Credo che il film sia molto equilibrato nel mostrare la situazione del paese. Non si tratta della provocazione di un franco tiratore, ma di una critica profonda a questioni che dovevano essere affrontate, e in questo senso insinua quanto basta perché lo spettatore completi la critica”, afferma Titón. “Se il popolo cubano fosse maschilista il film non avrebbe avuto tanto successo a Cuba. Il nostro pubblico è assetato di opere che forniscano un’immagine complessa di se stesso e del paese”, conclude Tabío.
Nonostante tutto ci sono molti problemi in sede di censura e il progetto vede la luce solo per merito dell’ICAIC che decide di proiettare Fresa y chocolate al Festival del Nuovo Cinema Latinoamericano senza preventiva autorizzazione. La reazione del pubblico e della critica è così favorevole che sarebbe controproducente bloccarne la circolazione. I premi internazionali fanno il resto, contribuendo al rilancio di un cinema cubano a base di commedie sociali che raccontano i problemi del quotidiano.
Regia: Tomás Gutiérrez Alea e Juan Carlos Tabío. Durata: 110’. Produzione: ICAIC (Cuba), IMCINE e Tabasco Films (Messico), TELEMADRID e SGAE (Spagna). Distribuzione: Distribuidora Internacional de Películas ICAIC. Produzione: Miguel Mendoza e Camilo Vives. Soggetto e Sceneggiatura: Senel Paz con la colaboración de Tomás Gutiérrez Alea. Fotografia: Mario García Joya. Montaggio: Miriam Talavera, Osvaldo Donatién. Musica: José María Vitier. Suono: Germinal Hernández. Diorezione Artistica: Fernando O´Relly. Interpreti: Jorge Perugorría, Vladimir Cruz, Mirta Ibarra, Francisco Gattorno, Joel Angelino, Marilyn Solaya. Alcuni Premi, pure se sono molti è doverosa una rapida citazione, perché si tratta della pellicola cubana più premiata della storia: Miglior Sceneggiatura Inedita, Festival Internazionale del Nuovo Cinema Latinoamericano (1992); Miglior Interpretazione Femminile, Miglior Interpretazione Maschile, Miglior Regia, Premio del Pubblico, Premi della Critica, Festival Internazionale del Nuovo Cinema Latinoamericano (1993); Selezionato dall’Associazione della Stampa Cinematografica Cubana tra le pellicole più significative dell’anno (1994); Miglior Sceneggiatura, Miglior Pellicola, Miglior Interpretazione Femminile e Miglior Interpretazione Maschile, Festival UNEAC di Cinema, Radio e Televisione (1994); Miglior Pellicola, Menzione Speciale della Giuria e Premio Speciale della Giuria, Festival del Cinema di Berlino (1994); Miglior Pellicola Latinoamericana, Miglior Attore, Miglior Attrice, Premio della Critica e del Pubblico, Festival di Gramado del Cinema Latino e Brasiliano (1994); Miglior Pellicola Latinoamericana, Miglior Sceneggiatura, Premio al lavoro degli Attori, Miglior Colonna Sonora, Premio del Pubblico, Festival Internazionale del Cinema del Cile e del Paraguay (1994); Miglior Pellicola Iberoamericana, Premio Ondas (1994); Miglior Pellicola, Miglior Regia, Miglior Attore, Associazione dei Cronisti di Spettacolo di New York (1995). Miglior Pellicola in Lingua Straniera, Premio Oscar (1995); Miglior Pellicola Straniera in Lingua Spagnola, Premio Goya (1995); Premio Speciale della Giuria, Sundance Film Festival (1995).