È difficile delimitare entro precisi confini l’avanguardia futurista, poiché non fu un semplice movimento artistico.
Esso nacque da uomini con ideologie tra loro antitetiche, spinti dalla comune volontà di rompere con i valori ottocenteschi, non solo da un punto di vista estetico ma anche ideologico. Infatti nel movimento confluirono anarchici, comunisti e nazionalisti. Il manifesto stesso del Futurismo è intriso sia di ideologia socialista (“noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa”) che influenzato dal positivismo (“… le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi”, Primo Manifesto Futurista, 1909).
Il Futurismo si poneva dunque come un’articolata corrente culturale che aveva l’obiettivo di proiettare l’uomo verso il futuro, mettendo in discussione non solo la tradizione letteraria ed artistica: “noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e ogni viltà opportunistica o utilitaria” (Primo Manifesto Futurista, 1909).
Questa tendenza provocatoria si concretizzò in manifestazioni inusuali come quella del 15 febbraio 1910, organizzata al Teatro Lirico di Milano. Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del movimento, lanciò invettive contro la chiesa, scontrandosi così duramente con il pubblico presente in sala tanto che fu necessario un intervento delle forze dell’ordine.
A tal riguardo è doveroso ricordare che il movimento era contraddistinto da un forte spirito anticlericale proveniente dall’esperienza risorgimentale.
In particolare il programma politico futurista prevedeva di “sostituire all’attuale anticlericalismo retorico e quietista un anticlericalismo d’azione, violento e reciso, per sgombrare l’Italia e Roma dal suo medioevo teocratico” (Manifesto del Partito Politico Futurista Italiano, 1918).
Essendo stata la prima delle avanguardie non subì alcuna influenza di altre correnti culturali, semmai queste ultime presentarono analogie più o meno marcate con il Futurismo. Ad esempio il Dadaismo, rifiutando tutte le forme costruite che stanno alla base della società, come la cultura dominante, propose manifestazioni scandalistiche e inusuali.
L’Espressionismo, invece, in analogia con il Futurismo, diede importanza all’urlo nella pittura.
A tal riguardo, infatti, Boccioni sosteneva che “le nostre sensazioni pittoriche non possono essere mormorate. Noi le facciamo cantare e urlare nelle nostre tele che squillano fanfare assordanti e trionfali”.
L’aspirazione futurista di superare i limitati orizzonti culturali ottocenteschi venne favorevolmente accolta dal poeta russo Vladimir Majakovskij. Egli fu il maggior esponente del Futurismo russo che, nonostante l’omonimia, presenta notevoli divergenze. Infatti, mentre Marinetti voleva “glorificare la guerra, sola igiene del mondo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari” (Primo Manifesto del Futurismo, 1909), Majakovskij esprimeva tutto il suo dissenso per “il conflitto che rivela subito l’orrore. La guerra è disgustosa” (Biografia di Majakovskij, 1922). Il leader del Futurismo russo arriva dunque a sostenere che “idealmente non abbiamo niente da spartire col Futurismo italiano” anche se casualmente riconosce che “tra il futurismo italiano e il futurismo russo esistono elementi comuni” (Il Futurismo Oggi, Majakovskij, 1923).
Sicuramente nei primi anni ci fu un intenso legame tra i due movimenti. Dal 1910 comparvero sulle riviste russe articoli sul Futurismo italiano. Inoltre, Giacomo Balla in quel periodo espose le sue opere in Russia mentre alcuni artisti futuristi russi come Kamenskij si recarono in Italia per approfondire la conoscenza dell’analogo movimento.
Dopo aver constatato che il Futurismo italiano non influenzò direttamente altre avanguardie, a più di un secolo di distanza, è ancora attuale il messaggio futurista?
I futuristi hanno aperto la strada alla modernità e buona parte dell’attuale tecnologia è stata da loro profetizzata.