Scrive l’autore «Questo breve saggio nasce dal contesto tragico della guerra a Gaza e dalle polemiche infiammate che ne sono seguite». Infatti, il testo racconta i fatti accaduti a Gaza e si assume la responsabilità della loro interpretazione spiegando ciò che sta accadendo nello scontro tra «quello che comunemente si chiama il Sud globale e l’Occidente – vale a dire la grande maggioranza dei suoi governi e dei suoi media». Del resto, l’autore non ha la pretesa di esibire un “sereno distacco”, ma richiamando Sartre afferma senza infingimenti che si tratta di uno scritto “in situation”.
Ma la domanda sorge spontanea: perché nel titolo scomodare la Storia? Risposta: perché la Storia è indispensabile per scrutare il presente in modo scientifico, pur in presenza delle inevitabili e coinvolgenti emozioni, respingendo le strumentalizzazioni di cui è oggetto.
La Storia può essere definita l’occhio del presente che si volge al passato e si proietta nel futuro e affronta le questioni secondo lo schema del prima, durante, poi (diacronìa, sincronìa); i suoi momenti fondativi, un vero e proprio laboratorio, sono: eventi (la loro ricostruzione), analisi, interpretazione, giudizio. Ancora: la Storia non è il racconto di ognuno, ma scienza perché si basa sui fatti (la materia della Storia) che presuppongono la verificabilità. E tra tutte le discipline la Storia è quella che più di tutte è suscettibile di un «uso pubblico», che può anche diventare abuso.
Enzo Traverso, peraltro, vuole farci vedere che siamo davanti a un passaggio storico decisivo, quello rappresentato dalla crisi epocale dell’Occidente che non vuole aprirsi a un Mondo multipolare, – che si chiami Galassia, Sud globale, Resto del Mondo poco importa-, e in questo momento la Storia del Mondo passa da Gaza e, aggiungo io, dall’Ucraina. Anche perché proprio in virtù di questi conflitti, se dovessero precipitare in una guerra mondiale (atomica), potrebbe decidersi il destino stesso dell’intera umanità. Dunque, “Gaza davanti alla storia” vista da una voce “fuori dal coro”, dato che non coincide affatto con ciò che viene scritto e raccontato, attraverso scritti, parole e immagini (tranne rarissime eccezioni), dall’Occidente che «pretende di detenere il monopolio, oltre che del potere, della morale».
La nostra riflessione su questo saggio coincide, misteri del calendario, con il recente viaggio di Netanyahu negli USA, dove ha mostrato, ma non ce n’era certo bisogno, la sua ferocia verso il popolo palestinese «Dateci le armi che ci servono e noi finiremo il lavoro», «Nel Mondo c’è uno scontro tra civiltà e barbarie, noi siamo la civiltà» (pensate ai massacri e al genocidio in corso a Gaza e capirete l’assurdità di questa affermazione). E il regista americano Michael Moore in una lettera al “Fatto Quotidiano” dello scorso 26 luglio 2024 ha scritto tra l’altro «Carissimo Bibi, hai le mani sporche di sangue. Scrivo a te, il politico indagato per corruzione e frode e accusato di violazione della fiducia. […] con la faccia sporca di sangue […] con la pulizia etnica che oggi pratichi con tanta gioia, sguazzando nel sangue dei bambini che hai massacrato. […]»
Sin da subito nel suo denso volume lo storico Enzo Traverso fa notare che, mentre distrugge Gaza sotto una pioggia di bombe, Israele viene dipinto come la vittima del “più grande pogrom della storia dopo l’Olocausto”. E non per caso, il Nostro autore fa una comparazione (altro elemento essenziale del lavoro dello storico con la Germania subito dopo la Seconda Guerra mondiale, un Paese distrutto che aveva interiorizzato le terribili sofferenze e non osava esprimerle pubblicamente perché i tedeschi sapevano che i crimini commessi dalla Wehrmacht, dalla polizia e dalle SS erano ben più gravi di quelli che loro stessi avevano subito per il tramite dei bombardamenti anglo-americani. E così quando il filosofo Martin Heidegger “le evocò per ribaltare la situazione e presentare la Germania come vittima di persecuzioni, Herbert Marcuse decise di interrompere il loro carteggio” perché l’autore di Essere e tempo si poneva fuori dal Logos, usciva dalla dimensione nella quale è comunque possibile un dialogo tra esseri umani. Allora, se è vero che ci sono esecutori e vittime, se è vero che nei genocidi (1), per quanto complessi e diversi siano i loro contesti storici, ci sono sempre carnefici e vittime, appare evidente, afferma Traverso, «che oggi la grande maggioranza dei nostri editorialisti e commentatori (e delle nostre forze politiche, ndr) sia diventata “heideggeriana”, propensa a scambiare gli aggressori per le vittime, con la differenza che gli aggressori di oggi non sono più gli sconfitti ma i vincitori». Non è chi non vede che siamo di nuovo a Orwelli, al rovesciamento di Norimberga e di qualsivoglia dato fattuale, nonché dello slittamento semantico sempre più “aggressivo”; peraltro, è sotto gli occhi di tutti come quell’estrema destra che relativizzava i crimini nazisti è diventata l’inflessibile sostenitrice di Israele.
(1) Scrive Traverso, pp. 14-15, «Il concetto di genocidio non può essere usato con leggerezza […]. L’unica definizione normativa di cui disponiamo, quella della Convenzione delle Nazioni Unite del 1948, si adatta perfettamente alla situazione che abbiamo in questo momento. È sulla base di questa definizione che, a fine gennaio 2024, la Corte internazionale di giustizia ha lanciato l’allarme sul rischio di genocidio nella striscia di Gaza […]. Secondo l’articolo II della Convenzione, il genocidio si verifica quando vengono commessi atti “con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale”. Si tratta, prosegue il testo, di un processo articolato nelle forme seguenti:” a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica e mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo” (e ciò che accade a Gaza, purtroppo, ha una corrispondenza con la definizione riportata)».
Tra l’altro una parte della riflessione dell’autore è riferita a quanto affermavano alcuni esponenti della Scuola di Francoforte a proposito della razionalità strumentale (sarebbe difficile trovare un esempio più eloquente di Gaza per squadernare questo concetto) e cioè la ragione svincolata da ogni considerazione umana e sociale: non v’è dubbio, purtroppo, che prima Max Weber e poi Theodor W. Adorno e Marx Horkheimer “avevano colto il motore nascosto della civiltà occidentale”.
Ma dal mese di gennaio di quest’anno, da quando cioè la Corte internazionale di giustizia ha ritenuto plausibile l’accusa di genocidio formulata dal Sudafrica, la situazione si è aggravata ulteriormente e a fine marzo la stessa Corte ha emesso un’ordinanza per impedire la carestia che si è ormai “insediata” a Gaza (la carestia indotta rinvia a regime totalitario, come scrive Losurdo ne Il peccato originale del Novecento, 1998, Laterza), ma Israele ha ignorato queste ordinanze proseguendo la sua campagna omicida, né si sono mossi i suoi alleati, gli USA e la UE.
Uno dei brevi capitoli del saggio è dedicato all’Orientalismo, concettualizzato in passato dal grandissimo Edward Said, il quale ci ha spiegato che i suoi assiomi (dell’Occidente) rimangono fissati in un’immaginaria dicotomia ontologica tra civiltà e barbarie (Nethaniahu docet), progresso e arretratezza, illuminismo e oscurantismo. Scriveva Said in Orientalismo che l’Occidente è incapace di definire sé stesso se non in opposizione all’alterità radicale di un’umanità coloniale, non bianca e gerarchicamente inferiore; la differenza, aggiunge Traverso, sta nel fatto che «nel XX secolo l’Occidente pretendeva di diffondere la civiltà attraverso le sue conquiste, mentre oggi si considera una fortezza assediata». E il tropo della dicotomia tra civiltà e barbarie, secondo i portavoce di Tsahal (l’esercito israeliano) si vede nel fatto che loro incarnano il progresso tecnologico: le loro bombe non sono cieche ma scelgono gli obiettivi con l’ausilio dell’intelligenza artificiale: dunque, è tutto intenzionale (vi ricordate l’intenzionalità del genocidio!), niente è lasciato al caso perché, come ha spiegato un ufficiale di Tshahal «nessuno vuole sprecare bombe costose».
Ormai è passato quasi un anno dall’inizio della guerra (nel libro, seppure brevemente, si cita il grande storico Marc Bloch e il suo interessante saggio sulla diffusione di notizie false in tempo di guerra nel quale sottolineava che le notizie false e le leggende hanno sempre riempito la vita dell’umanità) e come abbiamo visto tutto è pianificato: la distruzione di strade, edifici, scuole, ospedali, università, musei, monumenti e persino cimiteri; l’interruzione di acqua, elettricità, gas, carburante e internet; la negazione dell’accesso a cibo e medicine per gli sfollati, malattie, epidemie, carestia. E così Israele non solo fa parte a pieno titolo dell’Occidente, ma ne è addirittura diventato il simbolo: non per caso, la lotta contro l’antisemitismo (che in palese malafede viene identificato con l’antisionismo) è diventata la bandiera dietro la quale si radunano tutti i movimenti postfascisti e di estrema destra, pronti a combattere la “barbarie islamica”. Pertanto, dato che gli ebrei sono passati dalla “parte giusta”, si può ristabilire la “linea del colore” e una dimostrazione eloquente si trova nella singolare alleanza tra i suprematisti di Israele e i suprematisti bianchi degli Stati Uniti, che sono tra i più entusiasti difensori delle colonie in Cisgiordania, così come l’abbraccio tra i falchi della destra filoisraeliana e i leader del Rassemblement National di Marine Le Pen nel parlamento francese. Ed è evidente che in tutto questo un ruolo essenziale lo assume il sionismo fondato nel 1896 da Theodor Herzl (il testo di riferimento è Der Judenstaat), il quale definiva il futuro stato ebraico come <<un avamposto dell’Europa contro l’Asia, l’avanguardia della civiltà contro la barbarie>>. Ecco perché gli Stati Uniti, che potrebbero fermare immediatamente Israele, non agiscono in maniera coerente: non vogliono negare il loro sostegno a un governo corrotto di estrema destra formato da fondamentalisti, razzisti e criminali. Non possono e non vogliono farlo perché questo governo è parte integrante del loro assetto geopolitico; sanno solo raccomandare moderazione, come se con le buone maniere si potessero risolvere i problemi e fanno finta di non capire che questo “doppio standard” sta suscitando l’indignazione del mondo intero.
Prima di concludere questa riflessione, ricordo a tutte e tutti che il libro contiene tanti aspetti rilevanti che meriterebbero anch’essi di essere ripresi e approfonditi, voglio focalizzare l’attenzione sull’ultimo capitolo perché smonta l’ipotesi dei due stati dopo il fallimento degli accordi di Oslo, dopo l’annessione di Gerusalemme Est in cui si sono trasferiti almeno 200.000 coloni, dopo l’insediamento di altri 500.000 in Cisgiordania e la distruzione di Gaza. «Per di più», scrive Traverso, «il governo di Israele non vuole due stati: vuole annettere la Cisgiordania e procedere a una pulizia etnica a Gaza. Diversi membri del governo lo hanno dichiarato esplicitamente». E ancora una volta l’autore cita Said che riteneva, all’inizio di questo tormentato XXI secolo, che uno stato laico binazionale – una repubblica democratica in grado di garantire ai suoi cittadini ebrei e palestinesi la completa uguaglianza dei diritti – sarebbe l’unica strada per la pace. Non ce ne sono altre: nel mondo del Ventunesimo secolo, uno stato fondato su basi etniche e religiose esclusive è un’aberrazione, in Medio-Oriente come altrove.
Conclusione, è tempo che il movimento per la pace si mobiliti ancor di più; è tempo che gli intellettuali rompano il loro silenzio assordante, messo in mora solo da alcune voci isolate; è tempo di grandi manifestazioni che impediscano la Terza Guerra mondiale, pensiamo a ciò che da anni ripete il papa, e affermino la sopravvivenza del popolo palestinese: la causa palestinese è diventata la bandiera del Sud globale e di gran parte dell’opinione pubblica mondiale.