Nel suo blog “AdoleScienza”, qualche anno fa, Maura Manca, Psicologo Clinico e Psicoterapeuta, Psicodiagnosta forense e clinico, ha descritto come sia cambiato il ruolo dei genitori: “Stiamo assistendo ad un fallimento del ruolo genitoriale di massa che indirettamente grava sulla salute mentale dei figli. Se mancano i punti di riferimento i figli cresceranno senza una direzione e ci sarà chi compenserà e chi devierà. I bambini hanno bisogno di chi non fa da paracadute solo per un egoismo personale, perché si fa prima, perché è meno faticoso, perché non si ha voglia di discutere con il figlio senza capire che se lo si cresce con la consapevolezza che avrà sempre e comunque un paracadute non spiegherà mai le sue ali. Deve crescere con la consapevolezza di un legame stabile, di essere riconosciuto e accettato, di avere un porto sicuro che gli permetterà di partire, di osare, di sperimentarsi perché sa che avrà dei pilastri su cui contare”.
Oggi, purtroppo questo non avviene e per trovare un compromesso con un bambino è molto più semplice accontentarlo in tutto dandogli, magari, un cellulare o un tablet in mano per farlo stare fermo.
In diverse occasioni ho analizzato la definizione più attuale, quella di genitori “elicottero”, che non è incoraggiante. Sempre pronti al decollo sono i papà e le mamme pronti ad accorrere in soccorso ai figli, a sorvolare sopra le loro teste per controllare qualsiasi cosa facciano, e infine ad atterrare e prestare aiuto per ogni minimo problema. I genitori elicottero sono intorno a noi, e forse lo siamo un pochino anche noi, nel nostro piccolo.
Un po’ come i genitori “spazzaneve”, che liberano la strada da ogni tipo di ostacolo, o i genitori curling che strofinano il fondo davanti ai piedi dei figli affinché scivolino senza alcuno sforzo lungo il cammino della vita.
In questo vortice di iperprotezione recenti dati di ricerche confermano, però, che i genitori sono poco consapevoli dei pericoli e dell’uso che i loro figli fanno delle nuove tecnologie. Quasi un controsenso che dimostra come il ruolo della famiglia sia cambiato nell’era della comunicazione digitale. Infatti, si assiste a due fenomeni importanti.
Il primo è la Democratizzazione delle relazioni all’interno della famiglia, dove: la libertà decisionale viene riconosciuta ai figli (spesso senza condizioni e in età precoce); avviene la pariteticità di diritti e doveri tra genitori e figli (ad esempio i piccoli servizi, su cui viene rivendicato il diritto alla turnazione con il risultato che lavorano sempre i genitori); si assiste alla perdita di autorità da parte dei genitori e il tentativo frequente di sostituirla con un innalzamento del tono affettivo.
Il secondo fenomeno è l’esplosione della comunicazione, nella famiglia dove emergono: la pervasività (i media mobili e connessi sono sempre con noi); la socialità mediata (prolunga oltre i limiti della presenza le relazioni e le interazioni); la naturalità (la tecnologia “scompare” sempre più dentro gli oggetti d’uso comune facilitando la nostra appropriazione di essi). Le relazioni famigliari nell’era della generazione multitasking mostrano come non si sia più tempo per guardarsi negli occhi.
Mentre i nostri figli chattano anche noi chattiamo e non perdiamo tempo per accedere su Whatsapp o sulle piattaforme social.
La comunicazione mediata pare più facile, rapida, efficace. Il risultato è un’estroflessione generalizzata di aspetti personali. Questo comporta che la comunicazione si fa sempre più rapida e superficiale.
Purtroppo, la conseguenza è che diventa sempre più alto il livello di incomunicabilità tra figli e genitori. Tantissimi i racconti di genitorialità fragile senza supporti che tentano la comunicazione con i figli divisi tra soggiorno e camera da letto collegati attraverso le chat dei social network. L’isolamento di genitori che non riescono a dialogare e che poco conoscono dei propri figli. Ma i genitori non sono i soli, l’indebolimento è generale.
Ecco, perché serve una responsabilità educativa. Non è più sufficiente affermare che i ragazzi sono vittime dei media. Lasciarli da soli ci pone di fronte ad alcune fondamentali criticità. Noi adulti dobbiamo abbandonare la dimensione dell’inconsapevolezza e diventare attori coscienti e consapevoli della società e dobbiamo farlo per i nostri giovani.
La pandemia ha accentuato diverse problematiche e secondo una ricerca realizzata per “Generazioni Connesse” tra studenti e studentesse italiani da Skuola.net, le Università di Firenze e La Sapienza di Roma, sei adolescenti su 10 dichiarano di passare più di cinque ore al giorno connessi. Sempre connessi col mondo, ma sempre più isolati e chiusi in sé stessi. Bauman, infatti, ha scritto: “Oggi non siamo felici ma siamo più alienati, isolati, spesso vessati, prosciugati da vite frenetiche e vuote, costretti a prendere parte a una competizione grottesca per la visibilità e lo status”. Un dato che io stesso ho riscontrato nella mia ultima ricerca contenuta nel volume “Figli delle App”.
Noi adulti abbiamo il dovere di presidiare e soprattutto di educare i nostri figli ad un uso consapevole del web. Non vietare, ma guidare ad un corretto uso delle tecnologie. Ho analizzato diversi casi che riguardano le cosiddette “Mamme sentinelle” ed in particolare mi ha colpito il caso di una madre che dopo aver scoperto che il figlio su Whatsapp era iscritto a due gruppi con nomi in codice “Tana della Luna” e “Scooby Dank”, dove si condividevano immagini e video “gore”, torture e suicidi, ha avuto paura e ha consegnato lo smartphone del figlio alla Polizia Postale che non ha esitato ad aprire le indagini e scoprire un terribile mondo sommerso di perversioni e pedopornografia infantile divulgata online lungo tutto lo stivale. Molti sanno che sugli smartphone dei loro figli, come ha potuto appurare la Mamma Sentinella, girano immagini erotiche, ma non hanno il coraggio di denunciare. Invece, non bisogna aver paura e denunciare senza esitazione. Ma per farlo dobbiamo conoscere i social network, le piattaforme di messaggistica istantanea, capire quali sono i nuovi codici e i nuovi meccanismi di comunicazione.
Ha ragione Maura Manca quando scrive: “Non gridiamo allo scandalo, non arriviamo sempre dopo per chiederci il perché, la famiglia deve essere una risorsa fondamentale nella crescita di un figlio da cui non si può prescindere ed è lì che dobbiamo investire se vogliano evitare di continuare a parlare di patologia, disagi e devianza e smetterla di essere il Paese del dopo, della pietà e dello scandalo, ma iniziare ad essere il Paese del prima”.
Purtroppo, i primi a sbagliare siamo noi adulti e dovremmo essere i primi a impegnarci per scoprire quali sono le necessità dei giovani. Riuscire a guidare e a rieducare i genitori potrebbe essere la soluzione a tanti problemi, riconducibili alle fragilità e alle insicurezze di tanti preadolescenti e adolescenti.