Giordano Bruno: il 17 febbraio 1600 veniva arso vivo

Articolo di Pietro Salvatore Reina

Il 17 febbraio 1600 a Roma, in Campo de’ Fiori, il filosofo e frate domenicano Giordano Bruno è arso vivo sul rogo.

La vita e la filosofia di Giordano Bruno rappresentano la sintesi del Rinascimento e l’avvio del Seicento: l’uno dall’altro «diversi» e «lontani». Il Cinquecento: un secolo difficile da definire, tra fermenti di rinnovamento ed insofferenze per le antiche scienze sacre o profane, si forma una nuova immagine dell’uomo e della natura e si assesta definitivamente quella che la storiografia storica chiama l’età moderna (cfr. Umberto Eco). Il Seicento, il secolo del «doppio», è un secolo di disordine e di instabilità, di guerre e di rivoluzioni, di assolutismo e di eversione, di stagnazione economica e di straordinario sviluppo commerciale, di classicismo e di barocco, di razionalità e di spaesamento (osserva sempre Eco). Il 1600 inizia, convenzionalmente, con il rogo in Campo dei Fiori del filosofo e frate Giordano Bruno.

D.: Ma chi era quest’uomo? Poniamo questa ed altre due domande al professore Salvatore Distefano, docente di Filosofia e Storia, supervisore del tirocinio S.I.S.S.I.S. e del TFA presso Università degli Studi di Catania, collabora con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Presidente dell’Associazione Etnea Studi Storico-filosofici di Catania.

R.: Pochi pensatori hanno avuto il ruolo di Giordano Bruno nella cultura italiana ed europea. Pochi autori, infatti, continuano ad essere miti così profondi della coscienza europea, come il filosofo di Nola: colpisce la straordinaria ricchezza di una vicenda umana e intellettuale sviluppatasi sul piano pubblico nel corso di poco più di un decennio, ma capace di mettersi in discussione, variando i motivi strutturali della sua filosofia. Di più: colpisce la capacità di Bruno nel proiettare il suo sguardo sul futuro, di individuare aspetti fondamentali di una moderna visione dell’uomo, della civiltà, dell’universo; egli riuscì ad oltrepassare la visione copernicana, andando oltre l’impostazione matematica. Solo dopo Copernico, infatti, fu possibile spezzare le catene e intrepidamente dispiegare le ali verso la conoscenza e la verità. Il suo grandioso progetto politico-culturale era quello, messo in luce per altro dall’eminente studiosa inglese Frances Yates, di facilitare l’incontro del cattolicesimo politico con le correnti regalistiche inglesi in funzione antispagnola; però, la situazione precipitò in senso opposto, anche se il Nolano quando passò in Germania riprese a perseguire quegli scopi di pacificazione religiosa che aveva teorizzato in precedenza: perciò si rivolse sia all’imperatore Rodolfo II, sia ai luterani nella speranza di attuare lo stesso programma politico proposto in Inghilterra.

Il suo messaggio non è scomparso con lui: anzi, col tempo e con il progressivo affermarsi dei principi della tolleranza e della libertà di coscienza e di religione, il rogo di Campo de’ Fiori è diventato un atto d’accusa contro la pretesa della Chiesa di diffondere il messaggio evangelico reprimendo con violenza ogni «eresia».

D.: Il pensiero di Bruno è nuovo e straordinario: egli fonde neoplatonismo, arti mnemoniche (tra magia ed alchimia) alla e nella ricerca dell’infinitezza del cosmo, del mondo, dell’uomo. Cosa insegna il filosofo Bruno all’uomo “liquido”, confuso e consumista di questo tempo presente.

Il pensiero filosofico di Bruno è molto complesso e a uno studio superficiale potrebbe apparire eclettico; in realtà, la trama unitaria della sua speculazione filosofica è l’«Infinito»: l’infinità dello spazio non era mai stata affermata in precedenza in modo così completo, definito e consapevole: la più chiara e potente presentazione a proposito dell’unità e dell’infinità del mondo si trova nel dialogo italiano De l’infinito universo e mondi e nel poema latino De immenso et innumerabilibus. Scrive Bruno: «Uno è il loco generale, uno il spacio immenso che chiamar possiamo liberamente vacuo: in cui sono innumerabili e infiniti globi, come vi è questo in cui vivemo e vegetemo noi. Cotal spacio lo diciamo infinito, perché non è raggione, convenienza, possibilità, senso o natura che debba finirlo».

Il Nolano è un filosofo di difficile identificazione poiché molteplici sono le sue fonti: intanto i presocratici, poi Parmenide e Pitagora, Platone e Aristotele (fortemente contrastato), lo stoicismo, il neoplatonismo, l’ermetismo, il lullismo, la tradizione ficiniana, Cusano e il naturalismo rinascimentale di Telesio, e Copernico che irrompeva con il suo De revolutionibus orbium coelestium.

Bruno insegna a tutti noi l’importanza della tolleranza religiosa, vista la feroce intolleranza della Chiesa, e della necessità di resistere, senza abiurare, fino al sacrificio più grande: la vita.

D.: Giordano Bruno viene condannato al rogo imbavagliato: in quali termini la libertà democratica di questi ultimi settanta anni è debitrice della forza e dell’energia del filosofo Bruno?

R.: La libertà e la democrazia presuppongono una profonda consapevolezza teorica e una pratica partecipativa di massa irrinunciabili se si vogliono mantenere e ampliare nella società contemporanea. Ebbene, oggi queste grandi idee e la loro concrezione sono fortemente in crisi: si è spezzato, probabilmente, il nesso tra capitalismo e democrazia, nato col keynesismo e consolidatosi con la vittoria sul nazifascismo prima e poi con «l’età dell’oro» seguita alla Seconda guerra mondiale. Questa tendenza negativa è iniziata negli anni Ottanta al tempo del duo Thatcher-Reagan e si è consolidata all’inizio del Terzo millennio con lo strapotere della finanza, che fa sempre più premio sulla politica e sull’essere sociale.

Perché, allora, Bruno è attuale? Per il suo antidogmatismo e anticonformismo è un esempio straordinario di libertà di pensiero, oggi sempre più negata, e di azione; di uomo “padrone del proprio destino”, che non si piega ai potenti (altre dolenti note!). Bruno sottolinea che l’uomo – pur sottoposto, come gli altri enti, al ciclo infinito della vicissitudine – può tuttavia lasciare un segno della sua presenza nel mondo. E può farlo, grazie a un uso laborioso e consapevole degli organi che lo caratterizzano: l’intelletto e la mano. Non per caso, accentua l’aspetto attivistico della morale contro quello ascetico e mistico: l’entusiasmo dell’uomo non deve tendere alla vita «ociosa e voluptaria» e neppure alla vita pratica tesa al conseguimento di fini particolari, ma deve aspirare a cose alte, deve puntare al raggiungimento della consapevolezza dell’intima unione esistente tra l’uomo e la natura vivente.

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