Giosue Carducci il primo poeta italiano Nobel per la Letteratura

Articolo di Pietro Salvatore Reina

Il 27 luglio 1835 nasce Giosue Carducci a Valdicastello (una frazione del comune di Pietrasanta), in Versilia, da Michele Carducci, un medico chirurgo dai trascorsi rivoluzionari e da Ildegonda Celli, figlia di un orefice. La famiglia Carducci vive in difficoltà economiche. Nello stesso anno natale, a Napoli, sono pubblicati I Canti di Giacomo Leopardi.

Il piccolo Carducci dal 1838 al 1949 vive in Maremma, a Bolgheri e soprattutto a Castagneto, dove trascorre la sua infanzia tra la natura selvaggia e i libri classici e romantici del padre. Un fanciullo che ama tradurre dal greco e dal latino.

Nel 1853 è ammesso alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Dante e il suo secolo è il titolo del tema di ammissione del giovane Carducci. Si laurea nel 1856.

Nell’anno scolastico 1856-57 insegna nel ginnasio di San Miniato, dove gli amici lo spinsero a stampare la sua prima raccolta di Rime. La situazione familiare, lo abbiamo scritto prima, segnata da sacrifici e difficoltà, diventa particolarmente dura in seguito a due gravi disgrazie: il suicidio del fratello Dante (nel novembre 1857) e la morte del padre nell’agosto 1858). Giosue si deve far carico della famiglia. Nel 1859 sposa Elvira Menicucci con la quale genera cinque figli: il primogenito Francesco muore pochi giorni dopo la nascita, poi tre figlie e infine Dante, morto il 9 novembre 1870, a cui il poeta dedica un sonetto nel quale «sublima il proprio dolore e intona un compianto funebre di classica compostezza e severità» (H. Grosser):

O tu che dormi là su la fiorita
Collina tòsca, ….
Ei volge il capo ed a chiamar la madre
(Grosser)

Nel 1860, con un decreto regio, viene chiamato a insegnare Eloquenza italiana (più tardi tale insegnamento sarà chiamato Letteratura italiana) nell’antichissima università̀ di Bologna. Un insegnamento lungo quarantatré anni con inizio, ogni pomeriggio, alle ore 15 nell’odierna sala che ancora oggi porta il suo nome. Un insegnamento volto a formare la nuova classe dirigente del Regno d’Italia. «[…] amava molto gli studenti e molto la scuola […] per Carducci la scuola era sopra ogni cosa» (dall’intervista a Beatrice Carducci della trasmissione Cronache di attualità del 9 dicembre 1959).

Il 1860 è lo stesso anno nel quale Giuseppe Garibaldi, il suo eroe, compie l’impresa dei Mille. Si trasferisce a Bologna con la famiglia, sempre tra molte difficoltà economiche, immergendosi in un intenso lavoro di insegnamento e di ricerca critico-filologica. «Il poeta, il professore Carducci raccoglie in sé tutto il senso della tradizione classica italiana in un momento così particolare come il tardo Ottocento e lo trasmette in un’immagine della nuova Italia facendone una sorta di emblema contraddittorio, come tutti gli emblemi, della nuova Italia nelle sue ambizioni politico-sociali» (G. Ferroni). In questi anni, Carducci, è deluso dalla politica, dalla classe dirigente del nuovo Stato unitario.

Le difficoltà economiche e l’insoddisfazione per la sua condizione economico-familiare, le stimolanti letture degli storici repubblicani francesi (Michelet, Quinet) e dei poeti romantici (Heine) lo spingono su posizioni giacobine e repubblicane, con un acceso e violento tono polemico, con un anticlericalismo furente, fino ad avere atteggiamenti anarchici e di stampo socialista. Questi suoi gesti suscitano vari interventi repressivi da parte delle autorità̀: nel 1868 Carducci è sospeso per due mesi e mezzo dall’insegnamento. Anche Carducci, osserva con acume il critico Matteo Marchesini, ha avuto il suo Sessantotto!

La maggiore critica dantesca del Carducci comincia con il saggio Delle Rime di Dante (pubblicato nel 1865, ma ristampato con giunte nel 1874).

Nel 1870 la sua vita è funestata ancora da gravi lutti: la perdita della madre e – come già scritto – del figlioletto Dante.

Nel 1876 è un candidato democratico alle elezioni parlamentari: il suo giacobinismo si riduce. Dopo la liberazione di Roma Carducci accetta il ruolo della monarchia di Savoia come garante dell’unità italiana. Tale cambiamento fu anche favorito dal fascino della figura della regina Margherita. Dopo una visita ufficiale dei reali Savoia a Bologna, nel novembre del 1878, Carducci scrive un’ode Alla regina d’Italia.

Alla fine degli anni Ottanta aderisce alla politica «forte» di Francesco Crispi ponendosi come «vate» ufficiale dell’Italia umbertina; nel 1890 è nominato senatore del Regno.

Tra il gennaio e il marzo del 1881 compone l’ode Nevicata: «uno dei risultati più interi e più intensi della poesia del Carducci, una sintesi equilibrata ed energica delle sue tendenze più personali, una prosa notevole delle sue possibilità di concentrazione lirica, della sua matura ricchezza di vibrazione e di suggestione sentimentale e fantastica» (W. Binni). Una poesia posta dallo stesso Carducci alla fine delle Odi barbare, quasi un congedo:

Lenta fiocca la neve pe ‘l cielo cinerëo: gridi,
suoni di vita più non salgono da la città,

non d’erbaiola il grido o corrente rumore di carro,
non d’amor la canzon ilare e di gioventù.

Da la torre di piazza roche per l’aere le ore
gemon, come sospir d’un mondo lungi dal dì.

Picchiano uccelli raminghi a’ vetri appannati: gli amici
spiriti reduci son, guardano e chiamano a me.

In breve, o cari, in breve – tu càlmati, indomito cuore –
giù al silenzio verrò, ne l’ombra riposerò.

Dal 1989 al 1905 presso la casa editrice bolognese Zanichelli Carducci cura l’edizione completa delle sue Opere.

Nel 1904 lascia l’insegnamento e nel 1906 vide consacrata la sua posizione di poeta ufficiale della nuova Italia con il Premio Nobel per la Letteratura.

Muore a Bologna, per un attacco di broncopolmonite, il 16 febbraio 1907. Con Decreto Regio del 17 marzo 1907, un mese dopo la sua morte, la casa natale di Carducci è dichiarata monumento nazionale.

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