Il primo italiano a vincere un Nobel per la letteratura è stato lo scrittore, critico letterario e professore universitario di eloquenza all’Università di Bologna e di Pisa Giosuè Carducci, nel 1906, eppure la sua poetica è sempre stata molto criticata. Diverse, infatti, sono state le critiche, spesso molto dure, che hanno colpito non solo le scelte letterarie del poeta, ma anche le sue scelte politiche: eccellente professore universitario, ma non in grado di fare il poeta poiché troppo lontano da quelle che erano le reali necessità del popolo italiano che, nella posizione politica del Carducci sul finire degli anni ’70 – vicino alla monarchia e alla regina Margherita – non potevano essere comprese veramente (Carducci tornò spesso su questo discorso chiarendo la sua posizione di repubblicano convinto); la poesia di Giosuè Carducci manca di passione e di espressività. Queste furono solo alcune delle numerosissime contestazioni rivolte allo scrittore, definito dal critico letterario e accademico italiano, Natalino Sapegno, addirittura un “poeta minore”.
Nato in provincia di Lucca, a Valdicastello (oggi frazione di Pietrasanta), il 27 luglio del 1835, Carducci ebbe sin da bambino una personalità molto forte ed ebbe un temperamento assai ribelle. Fu, però, anche amante delle cose cosiddette semplici come la natura e gli animali. Sin da piccolo si appassionò alla lettura dei classici; frequentò il liceo dove crebbe la sua cultura letteraria e si appassionò al latino; iniziò a scrivere i primi versi. Da grandicello lesse anche gli scrittori della letteratura italiana, mentre si interessava di storia esplorando i testi dei francesi Rollin e Thier. Studiò, altresì, opere di storici tedeschi, ma i suoi libri preferiti erano quelli che contenevano lo spirito rivoluzionario, i grandi valori di libertà, uguaglianza e dignità, dove l’uomo poteva finalmente vivere bene con sé stesso e con gli altri; tra tutti, gli scritti di Hugo, per fare un nome, furono quelli prescelti. Più tardi, poi, rivalutò molti romantici tra cui Alessandro Manzoni. Quanto detto è chiaramente rintracciabile nella poesia carducciana, in cui l’obiettivo principale è quello di dare un insegnamento morale e civile. Si laureò in filosofia e filologia; ricoprì molte cariche politiche: Deputato del Regno d’Italia (1876); Membro del Consiglio Superiore dell’istruzione (1881); Senatore a vita del Regno d’Italia (1890). Nel 1889, con il motto “il mondo in italiano” – in cui già si evidenziava chiaramente la difesa dell’identità nazionale – fondò insieme ad altri intellettuali dell’epoca la Società Dante Alighieri, fu proprio lui che suggerì di dare alla Società il nome stesso del Sommo Poeta, anzi Carducci propose la forma raffinata di “Allighieri” che, però, fu causa di incomprensioni fra un pubblico colto e quello meno colto. Pertanto dopo qualche anno la Società assunse per sempre la forma in “Alighieri”. Il pensiero poetico di Carducci è veramente molto particolare perché si caratterizza di vari elementi, a volte distanti e, forse, discordanti tra loro: su tutti c’è l’amore per la patria, poi l’amore per la natura, per il bello, per la vita stessa, la gloria, l’eroismo, la memoria, i valori veri della vita, la bellezza del paesaggio, gli affetti familiari. Tuttavia va detto anche che per certi versi la sua poetica si distacca dal romanticismo della sua epoca, infatti Carducci era più propenso a ricostituire una società giusta e libera (è bene sottolineare e non perdere di vista il fatto che siamo in contesto storico risorgimentale e che la politica influenzò non poco il poeta) e per tale motivo non bastava la malinconica e sentimentale poesia romantica, c’era bisogno anche di vitalità, di forza, di carattere, di fiducia nelle nuove cose. In Carducci si hanno elementi romantici e positivisti che si mischiano tra loro: gli ideali di libertà e la meditazione della morte, per esempio, vanno incontro alla fiducia nelle cose della scienza e della ragione e, per questo, spesso l’autore va contro i dettami della Chiesa (è bene ricordare che essa non accettava le idee del Risorgimento, ostacolando l’Unità d’Italia), la quale si scagliò malamente contro il poeta quando scrisse l’Inno a Satana: simbolo di libertà di pensiero, che andava oltre il dogma, e del progresso tecnologico occultato dal clero. Tuttavia Giosuè Carducci non era affatto ateo: “Il Dio dell’amore e del sacrificio… della vita e dell’avvenire… e dell’umanità è in noi, con noi e per noi”, disse in un discorso agli studenti dell’università di Padova nel 1889. Uno dei sonetti più commoventi di Giosuè Carducci è “Funere mersit acerbo”, scritto in forma di dialogo con Dante – suo fratello minore defunto – che si suicidò quando aveva solo vent’anni e venne sepolto nel cimitero di S. Maria a Monta in Val d’Arno, dove poco tempo dopo anche il loro padre dormirà il sonno eterno e dove, poi, verrà seppellito suo figlio Dante, morto a 3 anni per una malattia. Carducci scrisse il sonetto pochissimo tempo dopo la dipartita del figlioletto; trasse il titolo dall’Eneide di Virgilio che, nel libro VI, racconta di Enea che discende negli inferi e viene colpito dal pianto di tutti i bambini morti che non hanno avuto la possibilità di vivere la loro vita. Un angosciato e commosso Carducci si rivolge al fratello e gli raccomanda l’impaurito bambino che, piangendo, cerca la madre nel buio dell’oltretomba. Piu tardi scriverà “Pianto antico”, sempre per omaggiare la memoria del figlio, in cui Carducci eleva i temi poetici da lui maggiormente trattati: la natura, il paesaggio, la vita e la morte in contrasto. Nel titolo l’aggettivo antico è molto importante perché rimanda al dolore – appartenente alla natura stessa dell’essere umano – che si prova per la morte di un figlio.
Considerato poeta vate, la penna di Giosuè Carducci ha veramente saputo esprimere con immensa maestria gli ideali civili e morali di una società invasa da forti venti di cambiamento. Riscopritore della poesia classica che secondo lui poteva essere un mezzo per comprendere il presente, in Carducci non si possono non riscontrare elementi legati al romanticismo e ad altre correnti letterarie. Appassionato di storia, introdusse spesso nella sua opera gli ideali della classicità, del medioevo e della storia contemporanea. Innamorato perdutamente della letteratura, darà ai suoi figli nomi profondamente significativi: Beatrice, Laura, Dante e Libertà. Ritenuto da alcuni critici come “pittore di paesaggi storici” per aver descritto così bene i posti che visitava, Carducci era anche un amante dell’arte culinaria: “Tutti i giorni mangio dodici ostriche e bevo una bottiglia e mezzo o due di Posillipo o di Vesuvio, con un piatto di pesce o di carne, maccheroni e frutta e non altro” scrisse a Napoli durante un suo soggiorno. Colpito da una paralisi alla fine degli anni ’80, egli non ritirerà mai il premio Nobel conferitogli a Stoccolma con grande merito. Morirà 4 mesi dopo, nel 1907.