Napoli non si intravvede nelle pagine di Alessio Forgione. O forse è Napoli quel fazzoletto cementizio e sporco, asfittico, slabbrato, raccolto tra la stazione di Campi Flegrei e il canceroso grumo di palazzi che gli cresce attorno. Non la bellezza, la storia, il mare, la lingua rovente, la canzone ma il rione, è il rione il perimetro che imbozzola, soffoca, mastica e vomita le vite di Marocco, Lunno, Maria Teresa, Serena, Tonino, Marco i Giovanissimi di Forgione.
Nulla sfonda la cintura che tiene stretta le loro esistenze ciondolanti tra muretti e campetti di calcio veri o improvvisati, è come se un’enorme cappa avesse sigillato il loro mondo, e nulla riuscisse a penetrarvi, niente voci niente canzoni niente storia niente suoni, niente di niente. Il mondo (degli adulti) bussa alle porte con la faccia arcigna e i modi sadici di una professoressa di Latino, non a caso una lingua morta e incomprensibile ai Giovanissimi. Marocco – la voce a cui Forgione affida la narrazione – è però un ragazzo talentuoso. Possiede non uno, ma due talenti. Si muove agile sui campetti da calcio, è un regista, ha i piedi buoni, fa qualche provino, spera con qualche possibilità di fare il calciatore.
La sua, però, non è una passione granitica. Marocco vi si dedica, ma non fino allo spasimo. L’altra passione la consuma su fumetti e riviste. Storie di fantasmi, storie dell’incredibile che ama e che sembrano rispondere a due funzioni. Uno: sublimare l’assenza della madre, che ha abbandonato Marocco da cinque anni, e che è diventata ella stessa un fantasma. L’altra quella di mimare un’evasione dalla realtà che rimane appunto fantasmagorica, impossibile, condannata all’irrealtà. Non c’è possibilità di fuga, di evasione o di riscatto dal rione.
L’universo nei quali si muovono i Giovanissimi è un universo di gesti consunti e sempre uguali, piccoli desideri, piccole compromissioni, piccoli guasti, piccoli orrori, piccole ambizioni dove nulla arriva mai a turbare un equilibrio statico, fermo, claustrofobico. Ai Giovanissimi non è concesso altra possibilità che adattarsi. Unico registro a cui possono accedere è il mimetismo.
Chi prova a saltare fuori dal cerchio – con la malavita per esempio – precipita. Quando Marocco e il taciturno granitico Lunno progettano di sospendere, di evadere dal rione, l’inatteso scompiglia, violentemente, i loro piani. Un mondo disertato dalla speranza? Si, forse. Ma Forgione non spegne del tutto la luce. “Volevo fare del mio sorriso un simbolo, uno sfregio permanente che mi rovinava la faccia” “Non volevo lasciare dietro di me morti e feriti, ma persone felici”, dice Marocco. E noi non riusciamo a non volergli bene.