Si può realmente amare una persona più di sé stessi? La gelosia può essere indizio di pazzia? Certamente essere gelosi del proprio partner, spesso può portare ad essere irrazionali e di questo era sicura la regina anticonformista Giovanna di Castiglia, passata alla storia con un appellativo particolare: “Giovanna la pazza”, ma molto probabilmente Doña Juana fu solo un’inguaribile romantica, quando il romanticismo, ahimè, era riservato solo alle amanti e non alle mogli. Lei non volle essere come la sua genitrice che aveva accettato, nello spirito cattolico dell’epoca, i continui tradimenti del marito, Ferdinando d’Aragona, con il quale Giovanna si era più volte scontrata in difesa della madre. Giovanna era nata nell’importantissima Casa Reale spagnola del XV secolo, era infatti figlia de los Reyes Católicos. Visse una storia d’amore all’ennesima potenza; provò un amore quasi impossibile per suo marito, il re Filippo di Borgogna, uomo bellissimo, raffinato, forte, sicuro della sua bellezza, corteggiatissimo, elegantissimo, tanto da passare alla storia col nome di “Filippo il bello” (da non confondere con Filippo IV di Francia). Il matrimonio tra i due fu chiaramente uno studio politico fatto a tavolino nella Casata reale spagnola; lei aveva 16 anni e Filippo 18. Giovanna fu mandata in Belgio, dove viveva Filippo e, non appena il principe la vide, la volle sposare immediatamente per quanto ella apparisse affascinante. I due ebbero subito un’affinità sessuale così forte che venne discussa a pieno titolo tra gli storici del tempo.
È infatti risaputo che i due si lasciavano trasportare dalla sensualità; addirittura si racconta che la regina era così passionale che subito dopo un parto, invitava calorosamente il marito ai suoi doveri coniugali. I due ebbero 6 figli in totale, tutti destinati a diventare re e regine. Tuttavia, dopo poco tempo dal matrimonio, Filippo divenne un traditore seriale, ebbe numerosissime amanti che lo portavano via dalla corte spesso anche per molti giorni, mentre Giovanna “impazziva” di gelosia: “Nella sua mente entrava il tarlo malefico della gelosia, tanto forte da offuscarle per sempre il pensiero… schiava di un perpetuo delirio amoroso e di una inestinguibile collera, che in tre anni l’aveva condotta completamente fuori di sé”. Questa gelosia accentuava il suo carattere già impetuoso e ribelle, tanto da litigare furiosamente con il marito: gli portava il broncio, faceva ripicche, capitava anche che si picchiassero, poi si gettava nella solitudine e nel pianto isterico, urlava senza motivo, non mangiava per giorni e aveva scatti di rabbia che facevano pensare ad un inizio di pazzia. Morta la regina madre – Isabella di Castiglia – Giovanna sale sul trono e più tardi, nel 1506, insieme al marito e ai 5 figli, viaggiò verso La Coruña. Durante il soggiorno in Castiglia, poi, Filippo morì di tifo, almeno così racconta una tesi, mentre Giovanna si trovava incinta del loro VI figlio. Qui cominciano gli eventi che portarono i potenti dell’epoca, incluso suo padre, a decretare la pazzia di Giovanna dal momento che quello che la regina fece non ebbe nulla di razionale.
Dopo la morte di Filippo, sotto indicazioni di Doña Juana, il suo corpo fu preparato per la sepoltura che però avvenne molto tempo dopo. La reina infatti volle mettere in esposizione i resti del marito e, per molti giorni, si recava presso la camera ardente per guardarlo, toccarlo, abbracciarlo, baciarlo. Obbligava tutta la corte a restare in adorazione davanti all’ormai fetente feretro anche dopo molti giorni dall’ultimo respiro: “A trentasei giorni dalla morte del marito… Giovanna aveva ordinato… di riaprire il feretro… si era chinata sul cadavere… La scomparsa di Filippo aveva ridotto Giovanna ad una confusa creatura senza più alcun contatto con la realtà”. Poi si decise perché partisse il corteo funebre che doveva arrivare a Granada, nella Cappella Reale. Giovanna, che era incinta, volle che il funerale si muovesse a piedi, rigorosamente di notte, a lume di candela, per molti chilometri, sostando di tanto in tanto.
I testi parlano del passaggio macabro tra i villaggi del regno davanti agli occhi attoniti dei cittadini, destando terrore. Davanti a tutto c’era la maestosa bara con all’interno il corpo di Filippo, seguita dall’affranta Giovanna, vestita completamente di nero, che portava al collo le chiavi dei lucchetti che chiudevano la bara del re e che solo lei, ad ogni sosta, poteva aprire e vedere all’interno. Peccato però che, ad ogni apertura, molti accompagnatori del corteo vomitavano per il puzzo che si innalzava e per l’orrore, evidentemente della putrefazione, che vi si poteva scorgere. Ma Giovanna era perdutamente innamorata del suo principe e questo non le importava. Poi ci fu la sepoltura e, subito dopo, Doña Juana venne rinchiusa da suo padre in un convento a Tordesillas perché ritenuta pazza, aveva solo 30 anni, non uscì più da quella prigione. Veniva trattata male, soffriva di ulcere e gonfiori alle gambe, fino al 1555 quando morì in aprile – un Venerdì Santo – e, nonostante rifiutasse più e più volte la confessione anche in punto di morte, pronunciò un’ultima frase: «Cristo che sei in croce, aiutami!», dopo quasi cinquanta anni di prigionia: “Era morta. Erano le sei di mattina… Aveva 75 anni, 5 mesi, 6 giorni. E per 46 anni, 1 mese e 24 giorni era stata segregata e tormentata”. Venne seppellita nella Cappella Reale a Granada dove si trova tutt’ora. Giovanna, detta la loca, che però forse pazza non era, appariva solo come una donna vissuta in un periodo troppo stretto per il suo temperamento.