Giubileo del Mondo della Cultura. Il Sociologo Prof. Francesco Pira: “Viviamo nell’era della fragilizzazione dei rapporti umani”

Articolo di Pietro Salvatore Reina

Da sabato 15 febbraio a lunedì 17, organizzato dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione, si svolge il Giubileo degli Artisti e del Mondo della Cultura.

L’articolo 9 della nostra Costituzione recita: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni». Nel 2003 quest’articolo fu definito dall’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi come «quello più originale della Costituzione». In effetti, è difficile trovare qualcosa di simile nelle costituzioni di altri paesi. A partire dall’8 febbraio 2022 (Insieme alla modifica dell’articolo 41) all’articolo 9 È stato aggiunto un terzo comma. Infatti, dicendo che la Repubblica tutela l’ambiente e protegge la diversità, il nostro paese risponde a una delle nuove side globali e si mostra sensibile verso la conservazione dell’ambiente. Cultura il patrimonio artistico rappresentano una componente fondamentale dell’identità italiana, sono la nostra memoria. La scienza e la tecnica migliorano la vita di noi esseri umani. La Repubblica è chiamata a sostenere scienza e tecnica intervenendo direttamente, sia per favorire la rinascita economica dell’Italia, sia per garantire che il benessere venga goduto da tutti.

In questo spazio di pensiero, di idee reso ancor più fecondo dall’iniziativa giubilare pongo al professore Francesco Pira, associato di sociologia dell’Università di Messina, saggista, giornalista ed autore di libri di successo, quesiti su cui è giusto interrogarsi.

D.: Ma cos’è la «cultura»? Cosa sono la scienza e la tecnica in quest’«epoca epocale» segnata dalla rivoluzione informatica e specificatamente dall’Intelligenza Artificiale (IA)? Essa è davvero «intelligente»? Quali e quanti danni può portare al nostro cervello, alla nostra mente, alla nostra anima? Lo sviluppo della cultura si basa ancora sull’apprendimento di nuove conoscenze e l’oblio di quelle vecchie? La qualità della comunicazione, delle nostre comunicazioni è cambiata? Come? R.: «Potrei risponderle con una massima di Antonio Gramsci: “cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri (…) Cosicché essere colto, essere filosofo lo può chiunque voglia.

L’argomento è piuttosto complesso e ci porta a riflettere sul significato della “cultura” e sul ruolo che il progresso scientifico ricoprono nel nostro tempo. Un’epoca caratterizzata dall’intelligenza artificiale e dal Metaverso. Non ci sono dubbi sul fatto che la scienza e la tecnica sono in grado di trasformare la quotidianità dell’uomo e l’intera società. Tutti siamo sempre connessi e accediamo continuamente a dati e informazioni. L’intelligenza artificiale non è “intelligente” come lo è un essere umano, perché non è consapevole di sé stessa, non prova emozioni e non possiede una effettiva comprensione del mondo. L’intelligenza artificiale è progettata e programmata per ricreare processi cognitivi attraverso algoritmi che prendono in esame un numero enorme di dati. L’interrogativo sui danni che l’intelligenza artificiale può provocare al nostro cervello, alla nostra mente, alla nostra anima deve farci ragionare sui rischi a cui va incontro l’individuo. Il pericolo esiste ed è quello che possa venir meno la nostra capacità di pensare in modo critico e riflessivo. Gli algoritmi a cui ci affidiamo non sono capaci di interpretare le diverse tonalità e “i colori” emotivi e morali delle nostre scelte. L’eccessiva connessione, inoltre, ci allontana dalle relazioni sociali e l’isolamento influisce sul nostro benessere psicologico. Questo favorisce la diffusione di tante devianze come il fenomeno del “Vamping”, del “Hikikomori” e dei “Lupi Solitari”.

La modernità ci fa interpretare il concetto di oblio in modo diverso, perché accediamo ad una spropositata quantità di contenuti e notizie. La cultura va avanti, giorno dopo giorno, sfrutta ed elabora le conoscenze già disponibili e poi le amplia. Le scoperte scientifiche vengono sempre rivalutate ed arricchite, con la nascita di nuovi modi di pensare che si sviluppano a partire da quelli precedenti. L’apprendimento non riguarda più solo l’acquisizione di nuove informazioni, ma anche la comprensione e la verifica di quelle già esistenti, utilizzando approcci che combinano diverse discipline. Infatti, assumono molta rilevanza i metodi di studio interdisciplinare. Ovviamente, la comunicazione è completamente cambiata. Le nuove tecnologie ci permettono di relazionarci con gli altri istantaneamente, grazie ai social network, alle chat e alle email. Certo, comunicare dietro uno schermo non equivale a una comunicazione faccia a faccia, poiché manca del contatto diretto, delle sfumature non verbali e della connessione emotiva che si stabilisce attraverso il linguaggio del corpo e l’interazione immediata. Adesso, basta un emoticon o una GIF per trasmettere ai nostri amici o al nostro partner le emozioni che proviamo. Insomma, le sfide sono tante e dobbiamo essere pronti ad affrontarle, senza mai scoraggiarci. L’intelligenza artificiale, che può e deve essere sfruttata per il bene comune, non può sostituire l’intelligenza emotiva e la coscienza umana. L’uomo ha la responsabilità di vivere queste trasformazioni, rispettando i principi etici e l’importanza del pensiero critico».

D.: Riusciamo, davvero, a distinguere la vita tra reale da quella virtuale? Gli schermi dei nostri apparati tecnologici modificano sempre più la nostra comunicazione, non rappresentano più un freno al dialogo, alla partecipazione. Sempre più oggi assistiamo inermi, indifesi, passivi alla «fragilizzazione della comunicazione e dei rapporti umani» così definita dal suo maestro, il professore Zygmunt Bauman. Cosa possiamo fare? Cosa dobbiamo fare?

R.: «Ormai, è difficile distinguere la vita reale da quella virtuale. Il Professore Luciano Floridi ci ha spiegato cosa significa vivere “onlife” e lo ha fatto con queste parole: “Sembra impossibile trovare un qualsiasi aspetto della nostra vita che non sia stato influenzato dalla rivoluzione digitale […] Un numero crescente di persone vive sempre più diffusamente onlife. Il digitale “taglia e incolla” le nostre realtà. Questo ha completamente cambiato la natura dell’agire”. Quotidianamente, interagiamo tramite messaggi, social media o videochiamate. La tendenza è quella di mimetizzarsi e di nascondersi. Infatti, l’alto numero di profili falsi dimostra due aspetti importanti: la necessità di esporsi e il bisogno di essere accettati. Il grande sociologo Zygmunt Bauman ha parlato di “fragilizzazione dei rapporti umani”, ovvero di come la tecnologia, pur avvicinando le persone, possa anche peggiorare la qualità dei legami, rendendo le conversazioni più superficiali e, in certi casi, basta un solo “click” per cancellare una persona dalla propria vita. La superficialità delle relazioni si riscontra in alcuni fenomeni come il “ghosting”, il “caspering”, lo “zombieng”,il “love bombing” o il “benching”. Vocaboli della lingua inglese che riguardano le modalità per interrompere una relazione. Il legame viene archiviato senza dare le dovute spiegazioni e questo può accadere anche in amicizia o in ambito lavorativo. Credo sia necessario assumere consapevolezza e comprendere quanto tempo trascorriamo online. Dobbiamo ritrovare l’autenticità, stabilire dei limiti, e per limiti non intendo “muri”, e puntare alle relazioni reali. Non dobbiamo demonizzare le nuove tecnologie, ma possiamo imparare ad utilizzarle per “aggiungere” qualcosa alla nostra vita. Niente, potrà mai sostituire il potere di un abbraccio, di uno sguardo e di un bacio».

D.: Cultura significa anche tessere, costruire relazioni. Siamo davvero consapevoli che quest’attuale era digitale sta costituendo, costruendo «reti» ma non comunità? I «muri di vetro» (M. G. Mattei) fanno conoscere la nostra complessità? Rivelano l’evoluzione della nostra formazione e crescita? Realmente servono a farci incontrare?

«L’era digitale ha chiaramente mutato le modalità con cui ci connettiamo, dando vita a tante “reti” che ci collegano a livello globale. L’unico problema è stare attenti e non cadere nelle ‘reti’ e nelle ‘trappole’ che il mondo online ci tende. Le reti online, possono essere formate da tante persone, ma non sempre si instaura un legame forte e profondo o una condivisione di valori che caratterizza una comunità. I “muri di vetro”, come li definisce Mattei, possono mostrare solo una parte della nostra complessità. Rivelano più una versione filtrata o parziale di chi siamo, spesso con l’intento di mostrarci nel miglior modo possibile. Non sempre ci aiutano a vedere l’evoluzione delle nostre esperienze o della nostra crescita, e a volte possono rendere più difficile incontrarci davvero, perché ci distolgono dalle interazioni umane dirette e sincere. La digitalizzazione ci permette di entrare in contatto, ma non sempre ci conduce a relazioni genuine o a una comprensione reciproca. Allora, bisogna fare scelte responsabili ed etiche, ma soprattutto non dimenticare la bellezza degli incontri fisici».

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