Il 15 novembre Giulio Einaudi (1912-1999), poco meno che ventiduenne, sostenuto dal padre Luigi, fonda a Torino l’omonima casa editrice. Essa ha sede al terzo piano di via Arcivescovado 7, nello stesso palazzo che aveva ospitato «l’Ordine Nuovo» di Antonio Gramsci. Colonne portanti della casa editrice, punto di riferimento dell’intellighenzia italiana ma non solo, sono Cesare Pavese e Leone Ginzburg. Quest’ultimo è stato il primo direttore editoriale di Einaudi che ha, anche, ideato la «Biblioteca di cultura storica» (Bcs) e la collana dei «Saggi». Cesare Pavese è stato il direttore editoriale della casa editrice dal 1947 al 1950. Dal 1938 cura, inizialmente insieme a Leone Ginsburg, la collana dei «Narratori stranieri tradotti», per la quale firmò anche alcune traduzioni. Nel dopoguerra dischiude la casa editrice alla grande narrativa straniera contemporanea, soprattutto nordamericana. Idea la collana i «Millenni» – il primo «Millennio» è, infatti, Hemingway, I quarantanove racconti, 1947 – e la «Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici», chiamata più brevemente «collana viola».
Il 1939 la casa Einaudi è segnata da due epocali epifanie letterarie: l’edizione delle Rime di Dante Alighieri ad opera dell’allora ventiseienne studioso di filologia Gianfranco Contini che inaugura la «Nuova raccolta di classici italiani annotati» e la prima edizione delle Occasioni di Eugenio Montale, con la copertina del pittore italiano Francesco Menzio. Questo libro inaugura, altresì, la collana «Poeti», una collana «inventata» per il poeta genovese.
Nel 1960 per impulso di Franco Fortini (pseudonimo di Franco Lattes) fu avviata la «Piccola Biblioteca Einaudi» (PBE) con l’intento di fornire un’enciclopedia del sapere aggiornata e accessibile a un largo pubblico. Il colore dei riquadri indica il campo disciplinare (verde chiaro per la letteratura, verde scuro per la storia, il giallo la filosofia, ecc.). Grazie all’acume di Fortini entra nel catalogo einaudiano Roland Barthes.
Dagli anni Cinquanta in poi una figura centrale della casa editrice torinese è Italo Calvino. Nella casa torinese einaudiana ricopre molti ruoli: responsabile dell’ufficio stampa, redattore, autore, consulente, direttore di collana. Nel 1971 idea e dirige la collana «Centopagine».
I libri Einaudi sono caratterizzati dall’emblema dello struzzo. Il «bollo» dello struzzo risale a una serie di emblemi, nel caso specifico quello del cardinale Girolamo Mattei, pubblicati a Lione nel 1574 nel volume Dialogo delle imprese militari et amorose di Monsignor Paolo Giovio, vescovo di Nocera. Tale emblema afferma la forza della cultura, anche in tempi difficili, contro l’inciviltà e la barbarie: «Spiritus durissima coquit» (letteralmente: «lo spirito digerisce le cose più dure»). Il filosofo, storico e giurista Norberto Bobbio, illustre consulente e collaboratore nella casa editrice fin dagli inizi scrive: «È uno struzzo, quello di Einaudi, che non ha mai messo la testa sotto la sabbia».
Il 15 novembre 1920 a Comiso, « […] ai piedi degli Iblei, nel punto dove il monte s’addolcisce e dirada i suoi carrubi per far posto ai fertili seminati della pianura» (cfr. G. Bufalino, La luce e il lutto, p. 127), nasce Gesualdo Bufalino. Da bambino e poi da ragazzo ed infine da uomo è affascinato dalla «prosa d’arte» dei libri, dalla letteratura. Un fascino che lo ammalia e che ri-splende nell’opera, pubblicata solo nel 1981, su sollecitazione di amici, dal titolo Diceria dell’untore. Questo è un romanzo segnato e vergato da una lunga preparazione letteraria e filologica. Iniziato agli inizi degli anni Cinquanta, ripreso negli anni Settanta è pubblicato solo dopo dieci anni racchiude «l’artigianato immaginario, la letteratura totale, l’appassionata conoscenza e le forti radici del e nel paesaggio della Sicilia sudorientale» (G. Ferroni, Letteratura italiana contemporanea, p. 261).
La sua prosa è una prosa d’arte raffinata, accurata, profonda. Solca la pagina e la memoria di chi legge. Una narrativa, una meta-narrativa che «non si esaurisce nei catalogabili elementi narrativi canonici» (S. Guglielmino – H. Grosser, Letteratura italiana. Il sistema letterario, p. 1090). Una prosa non solo narrativa ma anche teatrale che percorre il perimetro letterario in maniera manieristica ma sempre volta a fascinare e ad illuminare. Bufalino è un artigiano della scrittura. Una tessitura meditata, che va fino alle profonde pieghe delle parole e dello spazio bianco solcato dall’inchiostro che poi, ex abrupto, illumina lo sguardo fisico e metafisico di chi legge con esiti imprevisti attraversati dalla luce, dalle ombre, dai sogni, dalle memorie che definiscono la sottile e pressoché unica sapienza letteraria di Bufalino.