Dopo i sanguinosi attacchi palestinesi e la non meno cruenta risposta israeliana tutti i leader mondiali (primi fra tutti quelli dei paesi occidentali) sono scesi in piazza per schierarsi da una parte o dall’altra. Tutti pronti a mandare armi e armamenti. Primo fra tutti il presidente degli USA Biden: rivolgendosi direttamente al premier israeliano, Netalyahu ha promesso “ulteriore assistenza è in arrivo, e nuovi aiuti arriveranno nei prossimi giorni”. Assistenza che comprenderebbe schierare la portaerei Gerald R. Ford vicino alle coste israeliane, ma anche l’invio di G-16 e F-35. Nell’annunciare il pacchetto di aiuti, anche il capo del Pentagono, Lloyd Austin, ha annunciato l’invio di armi e armamenti.
Ormai dovrebbe essere chiaro che si sta andando verso un mondo guerrafondaio: nessuno cerca di trovare la pace tra paesi contendenti in modo pacifico, con il dialogo e con incontri di pace. Si pensa solo a inviare armi e mezzi di distruzione di massa. A volte a entrambi i contendenti. Nient’altro. Il tentativo del Qatar di fare da intermediario tra i due contendenti è stato stroncato sul nascere (forse anche a causa delle ormai ataviche rivalità tra sunniti e sciiti, troppo spesso usate come scusa per nascondere interessi economici).
Anche le parole del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, sono apparse blande: “Ho appena concluso una riunione straordinaria degli alti dirigenti delle Nazioni Unite per discutere gli sviluppi senza precedenti in Israele e nei territori palestinesi occupati”. Guterres ha dovuto ammettere che “questa guerra non arriva all’improvviso. La realtà è che nasce da un conflitto di lunga durata con un’occupazione che dira da 56 anni”. Un’occupazione che, per decenni, i leader mondiali hanno finto di non vedere. Solo ora ci si accorge della gravità della situazione.
Come mai solo ora ci si accorge che la guerra causa tante, tantissime vittime tra i civili? Pur riconoscendo le legittime preoccupazioni di Israele in materia di sicurezza, ricordo anche a Israele che le operazioni militari devono essere condotte nel rigoroso rispetto del diritto umanitario internazionale. I civili devono essere rispettati e protetti in ogni momento” ha detto Guterres. Un modo diplomatico per ricordare non al capo del governo israeliano (definito estremista da alcuni giornali del proprio paese) ma ai leader occidentali che, in realtà, Israele è stato più volte accusato dalle NU di violare gli accordi internazionali e di utilizzare mezzi estremi e ingiustificate forme di violenza contro i palestinesi.
“Le infrastrutture civili non devono mai essere un obiettivo. Abbiamo già notizie di missili israeliani che hanno colpito strutture sanitarie all’interno di Gaza, nonché torri residenziali a più piani e una moschea”, ha detto Guterres. Perché non ha detto niente quando gli israeliani hanno buttato fuori casa i palestinesi (anche in quel caso si trattava di civili) e hanno preso il controllo del loro territorio?
Forse è giunto il momento che il Segretario Generale delle Nazioni Unite e, con lui, molti dei leader mondiali capiscano che, ogni volta che c’è una guerra, spesso accordi internazionali e convenzioni diventano carta straccia. E le promesse di non coinvolgere la popolazione civile, di non colpire i più piccoli e le fasce più deboli della popolazione, di non utilizzare armi di distruzione di massa ma solo armi “selettive”, non servono più a nulla. I tentativi di mettere al bando armi come le bombe a grappolo non sono mai diventati realtà. Anzi alcuni paesi hanno ritenuto produrne grandi quantità e “regalarle” a paesi in guerra. lo stesso dicasi per le armi nucleari o per quelle “non convenzionali”. Anche un altro accordo internazionale è regolarmente violato: non dovrebbe essere permesso vendere o fornire armi e armamenti ad un paese in guerra a meno di accordi internazionali in tal senso. Eppure, tutti i apesi occidentali hanno fatto a gara a chi vendeva o regalava più armi a paesi come l’Ucraina o Israele (e poi Pakistan, India e molti altri). Ma né l’Ucraina né Israele fanno parte della NATO. Anche Israele, nonostante i buoni rapporti con i paesi del Patto Atlantico (ha preso parte alla prima riunione del Dialogo Mediterraneo-NATO a livello di ministri degli esteri, nel 2004, e ha preso parte a numerose esercitazioni Nato), non ne fa parte.
A questo si aggiunge un altro aspetto non meno importante. Ad ascoltare i discorsi dei leader occidentali, o le parole del Segretario delle Nazioni Unite o anche gli accorati appelli del Pontefice, si potrebbe pensare che sono queste le uniche guerre in atto nel mondo in questo momento. La realtà è ben diversa: in questo momento sono in corso decine le guerre (per la gioia delle aziende produttrici di armi e armamenti). Secondo la ong International Crisis Group, una delle principali organizzazioni non governative che si occupa di prevenzioni di conflitti, sono almeno 10 i paesi in cui sono in atto guerre da monitorare a causa delle violenze e dei rischi per la popolazione: oltre all’Ucraina ci sono i conflitti in atto in Armenia e Azerbaigian, in Iran, nello Yemen, in Etiopia, nella Repubblica Democratica del Congo e nei Grandi Laghi, nel Sahel, ad Haiti, in Pakistan e a Taiwan. Ma le guerre seguite dall’ICG sono molte di più: oltre una cinquantina. E molte di queste hanno causato migliaia, anzi decine di migliaia di vittime tra i civili. In Etiopia, ad esempio, sarebbero stati centinaia di migliaia i morti dall’inizio degli scontri nella regione del Tigray, nel 2020. Di queste vittime innocenti non ha parlato nessuno dei leader che si sono accalorati per l’escalation di violenze tra israeliani e palestinesi. Secondo l’Armed Conflict Location & Event data Project, ACLED, che ha partecipato allo sviluppo del Complex Risk Analytics Fund (CRAF’d), gestito dal Multi-Partner Trust Fund Office (MPTFO) del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, solo lo scorso anno sarebbero stati oltre 5.000 i decessi causati dalle violenze contro civili, ai quali si aggiungono 18.600 morti tra i civili durante disordini di vario tipo. Solo lo scorso anno.
Ancora oggi, nel XXI secolo, non è chiaro che convivere è meglio che combattere. A cambiare è stato solo il modo di fare guerra. “La natura del conflitto e della violenza è cambiata sostanzialmente da quando le Nazioni Unite sono state fondate 75 anni fa”, si legge sul sito delle Nazioni Unite Una nuova era di conflitti e violenza | Nazioni Unite.
E quando si parla di guerre, è inutile sperare che una o entrambe le parti rispetteranno accordi nei quali non hanno mai creduto. L’unico obiettivo è vincere. Tanto poi, la storia la scriveranno i vincitori. Saranno loro a dire che erano stati costretti a fare quello che hanno fatto. Che, in fondo, avevano l’appoggio e il bene placet di molti altri. Tutto il resto conta poco. A nessuno importa delle conseguenze di queste guerre. Né degli accordi internazionali. A nessuno importa dei principi “fondamentali” mille volte sbandierati come universali. E nemmeno del diritto dei cittadini di sapere che quanto sta avvenendo ora in Israele (come quello che sta avvenendo in Ucraina) non è altro che l’ultimo capitolo di una storia iniziata decenni fa. Una guerra senza esclusione di colpi con entrambe le parti pronte a fare di tutto per vincere.
Nel mondo reale a nessuno conviene ammettere che la pace è solo una chimera, un’illusione. Si parla tanto dei morti civili di “una” guerra ma ci si dimentica di parlare delle migliaia di persone uccise nelle “altre” guerre. Conflitti che non interessano i più. Come quello in Yemen. O quello in Etiopia. O in Azerbaigian. Guerre dimenticate che causano ogni anno migliaia di morti tra i civili. Ma di loro non parla nessuno.