Ian Padrón debutta nel lungometraggio a 35 anni, dopo aver realizzato due documentari tecnicamente perfetti come Fuera de liga ed Eso que anda. Diamo alcune notizie sui lavori d’esordio, utili per capire lo stile di un autore dotato di ironia e vis polemica. Fuera de liga è un collage antologico del baseball cubano boicottato dal regime perché tocca il problema del professionismo e delle fughe dei giocatori più importanti. Eso que anda – titolo che ricorda un noto pezzo de Los Van Van – racconta quarant’anni di vita artistica del popolare gruppo.
Ian Padròn firma una fiction originale, scrive il soggetto e gira con perizia un lavoro interessante e ricco di spunti di discussione. La Virgin Atlantic sponsorizza il film, contribuisce alla sua diffusione internazionale e gli consente di vincere un premio al festival di Traverse City, nel Michigan, dove è stato invitato su richiesta di Michael Moore. Ian Padròn è figlio d’arte di Juan Padròn, uno dei più grandi cartoonist cubani, inventore del personaggio di Elpidio Valdés, realizzatore della saga Vampiri all’Avana e animatore di Mafalda, fumetto dell’argentino Joaquin Lavado, detto Quino.
Habanastation racconta una giornata di due compagni di scuola, Mario e Carlos, che vivono due realtà completamente diverse. Mario è figlio di un famoso cantante jazz che viaggia all’estero, dispone di una villa a Miramar, di un’auto di grossa cilindrata e conduce un tenore di vita molto alto. Al ragazzo non manca niente, neppure costosi ed esclusivi regali come l’ultimo modello di Playstation che il padre porta in regalo al rientro da un viaggio all’estero. Carlos abita in un quartiere marginale nei pressi del Cimitero Colón, chiamato La Tinta (nome di fantasia che rievoca La Timba), è orfano di madre, vive con la nonna perché il padre è finito in galera dopo aver ucciso un bullo al termine di una colluttazione. La scuola prepara i ragazzini alla sfilata del Primo Maggio, ma durante la manifestazione Mario si perde e sale in un autobus diretto a Guanabo. L’autista fa scendere il ragazzino vicino al Cimitero Colón, dove per puro caso incontra il compagno di scuola povero (che non era alla sfilata) e comincia a giocare alla Playstation in casa sua. La professoressa si mette sulle sue tracce, ma quando non lo trova avverte i genitori che si danno da fare per sapere dove possa essere finito il bambino. Mario apprende molte cose nel corso di una giornata di gioco passata con Carlos, che vive da solo, si cucina il pranzo, gioca sotto la pioggia scrosciante, sogna un aquilone e non ha mai visto una Playstation. Nel corso del racconto si inserisce un commovente flashback sull’arresto del padre di Carlos e anche la lotta del ragazzo per difendere l’aquilone che il genitore gli ha fabbricato in carcere. I ragazzi tentano di giocare con la Playstation ma l’apparecchio provoca un corto circuito e va riparato con l’aiuto di un empirico artigiano di quartiere. I ragazzini lavorano per mettere insieme i duecento pesos della riparazione, ma quando potrebbero giocare alla Playstation arrivano i genitori di Mario. Molto intenso il finale. Mario comprende che per Carlos è importante avere un oggetto che desidera ma non si può permettere e prima di partire gli regala la Playstation. Carlos gli ha dato di più, gli ha insegnato a vivere, a condividere le poche cose del quotidiano, a superare i piccoli egoismi da bambini e a capire quali sono i veri valori della vita.
Habanastation è un film per ragazzi interpretato dai giovani attori del gruppo teatrale La Colmenita, ma anche da due grandi professionisti come Luis Alberto García e Blanca Rosa Blanco, nei panni dei genitori del bambino ricco. Il maggior pregio del film è il realismo, perché il regista ha il coraggio di ricostruire la vita quotidiana in un quartiere marginale cubano e di sottolineare l’immenso divario che esiste con un quartiere elegante. A Cuba ci sono le differenze sociali, noi che da tempo non ascoltiamo le sirene di Gianni Minà lo sappiamo bene, ma che lo dicesse un cineasta cubano in una pellicola d’esordio non era così scontato. Certo, il film presenta momenti di eccessivo ottimismo, come l’alzabandiera scolastico, la festa del Primo Maggio, una scuola cubana efficiente, pulita e ordinata come mi è capitato di vedere solo in un pessimo film di Oliver Stone. Non si può pretendere troppo. Il film è pur sempre una pellicola prodotta da ICAIC e il regista limita la critica a sottili allusioni. Lo stile televisivo e la musica sintetica sono le cose peggiori di un lavoro ricco di frecciate critiche: “Se l’ha detto la televisione sarà vero, no?”, dice il bambino povero con un sorriso. La vita del quartiere è descritta con dovizia di particolari: il rum bianco (chispes de trén) che scorre a fiumi, le partite di domino, i bambini che giocano liberi sotto la pioggia, il maiale ammazzato su tavolacci di legno, l’allevamento di piccioni per i riti dei santeros, l’ajiaco (un minestrone cubano) a ribollire nei pentoloni, le mulatte che ballano rumba e guaguancón, le case cadenti con il pavimento di terra e il tetto di lamiera. Il regista stigmatizza l’egoismo del ricco che si chiude in bagno per non condividere la colazione preparata dalla madre e lo punisce facendo cadere tutto nel water. La ricca merenda diventa cibo per cani, mentre Carlos offre con amore uova fritte e riso cucinati in una povera padella annerita. Ian Padrón è dalla parte del povero, ma trova del buono anche nella famiglia ricca e sottolinea il cambiamento di prospettiva finale. A un certo punto il regista introduce anche l’amore romantico tra ragazzini, immortalato nel sorriso dolce di una bambina del quartiere povero che prova simpatia per Mario. Se si vuole trovare un difetto alla pellicola possiamo dire che è troppo didascalica, perché buoni e cattivi sono divisi in maniera netta, un po’ come nel neorealismo rosa italiano. I poveri sono sempre buoni e belli, a parte poche eccezioni di delinquenti nati destinati a fare una brutta fine. Habanastation è un film per ragazzi, non deve certo scatenare una polemica politica, anche se spesso – ridendo e scherzando – prova a dire molte verità.
Regia: Ian Padrón. Soggetto: Ian Padrón. Sceneggiatura: Felipe Espinet. Fotografia: Alejandro Pérez. Montaggio: José Lemuel. Musica: René Baños (Nacional Electrónica). Suono: Diego Javier Figueroa. Scenografia: Vivian Del Valle. Interpreti: Andy Fornaris, Ernesto Escalona, Luis Alberto García, Blanca Rosa Blanco, Claudia Alvariño, Miriam Socarrás, René de La Cruz Ortíz, Omar Franco, Pedro Fernández, Herón Vega, Rigoberto Ferrera, Raúl Pomares, Milton García, Dania Monzón, Ruben Araujo, Ever Alvarez, Bárbara Viera e Jorge Ryan. Premi vinti: Founders prize Best of Fest. Traverse City Film Festival. Michigan. Stati Uniti, 2011.