Secondo il giornale The Guardian, sarebbero più di 6.500 i lavoratori migranti provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka ad aver perso la vita in Qatar da quando, 10 anni fa, questo paese è stato scelto come sede per la Coppa del Mondo di Calcio. In media di 12 lavoratori alla settimana. Quasi due al giorno. Per cosa? Per costruire sette nuovi stadi e tante infrastrutture come strade, sistemi di trasporto pubblico, hotel, un aeroporto e persino una città artificiale, Lusail (capace di ospitare 250mila persone, dovrebbe essere sede centrale della manifestazione).
Un’ecatombe di lavoratori stranieri venuta a galla già nel 2013: un rapporto della International Trades Union Confederation, intitolato The Case Against Qatar, riportava dati impressionanti. Basandosi sui dati forniti dalle ambasciate del Nepal e dell’India, due dei paesi da dove provengono molti dei migranti che si recano in Qatar in cerca di un lavoro, il rapporto parlava di 1.239 lavoratori morti, nei tre anni dal 2010 al 2013. Ma di questi numeri non sembrò importò nulla a nessuno.
Di queste morti si tornò a parlare nel 2015: un rapporto, questa volta della FIFA, riportava oltre 1.200 lavoratori stranieri morti durante la costruzione degli stadi in Qatar per i Mondiali del 2022. Ma di di questo si preferì non parlare. E tanto meno di fare qualcosa. E i giornalisti che, nel 2015, avevano cercato di scavare più a fondo, vennero allontanati. In quel periodo, circolò anche un grafico (pubblicato dal Washington Post) che metteva a confronto il numero dei lavoratori morti durante la preparazione dei mondiali in Qatar a quelli morti per preparare altri mondiali precedenti: inutile dire che quelli morti in Qatar erano enormemente di più.
Le condizioni di vita e di lavoro di alcuni di questi migranti sono spaventose. Lunghe ore nel caldo ardente (basti pensare che a volte sono costretti a lavorare sotto il sole rovente fino a quando la temperatura non supera i 52° Celsius …all’ombra), bassi salari e dormitori squallidi. Un calvario quotidiano per migliaia di persone costrette in condizioni di quasi schiavitù.
Gli ultimi dati provenienti da India, Bangladesh, Nepal e Sri Lanka parlano di 5.927 lavoratori migranti morti nel periodo 2011-2020. A questi si aggiungono i dati forniti dall’ambasciata pakistana in Qatar che parlano di altri 824 morti di lavoratori pakistani, tra il 2010 e il 2020. Migliaia e migliaia di morti che sarebbe stato possibile evitare. Ma dei quali non sembra importare a nessuno di quelli che il prossimo anno si godranno le partite dei mondiali.
Morti che solo raramente il governo riconosce per cause di lavoro. Il comitato organizzatore della Coppa del Mondo ha parlato di 37 lavoratori morti e direttamente legati alla costruzione di stadi, ma di questi ben 34 sarebbero classificati come “non legati al lavoro”.
Il fatto è che “una percentuale molto significativa dei lavoratori migranti morti dal 2011 era nel paese solo perché il Qatar ha vinto il diritto di ospitare i Mondiali”, ha dichiarato Nick McGeehan, direttore di FairSquare Projects, un’associazione che si batte per i diritti dei lavoratori. Secondo McGeehan, i registri dei decessi non sono classificati per occupazione o luogo di lavoro, quindi è probabile che molti lavoratori morti siano stati impiegati in questi progetti infrastrutturali della Coppa del Mondo.
Per capire dove sta la verità basta analizzare i lunghi fogli di calcolo dei dati ufficiali che riportano le cause di morte dei migranti: lesioni multiple contundenti a causa di una caduta dall’altezza; asfissia dovuta all’impiccagione; causa indeterminata di morte a causa della decomposizione, “morte naturale” (spesso attribuita a insufficienza cardiaca o respiratoria acuta). Referti fatti senza autopsia o senza la dovuta attenzione, che non forniscono una spiegazione medica corretta delle vere cause di queste morti. Un problema che in Qatar è noto da molto tempo: nel 2014, perfino gli avvocati del governo del Qatar suggerirono di eseguire controlli accurati sulle cause di morte dei lavoratori migranti ufficialmente classificate per arresto cardiaco e di modificare la legge per “consentire l’autopsia … in tutti i casi di morte inaspettata o improvvisa”. Ma nessuna di queste due proposte è mai stata accolta dalle autorità.
In tutto il mondo, da decenni, sono i “nuovi schiavi” a pagare il prezzo della produzione a basso costo di beni industriali e agricoli (in passato, proprio il Qatar è stato pesantemente accusato di landgrabbing in Africa). E chi li compra, spesso, fa finta di non saperne nulla. Lo stesso avviene per lo sport: il giro d’affari miliardario che ruota intorno (tra scommesse, diritti televisivi e altro) è enorme e sembra che non importare a nessuno sapere quanti lavoratori hanno perso la vita per costruire gli stadi in Qatar. O quante centinaia di operai hanno lavorato come schiavi sotto il sole rovente (e sono morti) per costruire i circuiti di Formula 1 spuntati come funghi in molti paesi mediorientali (e le infrastrutture di contorno) negli ultimi anni.
Manca ancora più di un anno ai Mondiali di Calcio del 2022. E, se nessuno farà niente, è facile prevedere che centinaia, forse migliaia lavoratori migranti moriranno. Per cosa? Per permettere a “22 persone in mutande di correre dietro ad una sfera piena d’aria” (come definì i calciatori un poeta siciliano, qualche anno fa). E a pochi miliardari, che non hanno mai lavorato, neanche un giorno, di fare più soldi di quanti potranno mai spenderne in tutta la loro vita.
Tutto questo nella totale indifferenza di miliardi di persone sedute davanti un televisore a guardare le partite. Complici “ignari” della morte di migliaia di lavoratori migranti. Uomini che hanno perso la vita facendo un lavoro che, per loro, era l’unica possibilità per sopravvivere.