I numeri della carne in Italia e nel mondo

Articolo di C. Alessandro Mauceri

Tutti verdi, tutti ecologisti, tutti pronti a battersi per l’ambiente. Poi si leggono i numeri e tutto appare sotto una luce diversa.

Numeri come quelli diffusi nei giorni scorsi da Animal Equality: Carne | Animal Equality Italia ogni ora nel mondo, solo per uso alimentare, vengono uccisi 9,48 milioni di animali il 50 per cento dei quali allevati con dosi massicce di antibiotici (con rischi che è facile immaginare).

Dal punto di vista ambientale questi allevamenti intensivi richiedono enormi quantità di terra, energia e acqua e provocano danni ambientali a causa degli scarichi. Secondo un rapporto della FAO, il 18 per cento delle emissioni globali di gas serra sono causate proprio dall’ “agricoltura animale”. Gli allevamenti intensivi (specie quelli dei bovini) per essere produttivi richiedono un’enorme quantità d’acqua, utilizzata anche per coltivare i mangimi per gli animali, inquinando allo stesso tempo i corsi d’acqua con deflusso di liquami altamente pericolosi per la falda acquifera. In Europa, in barba al new Green Deal e alle promesse verdi sbandierate dai politici in corsa per un posto al Parlamento europeo, sono circa quaranta milioni gli animali costretti a vivere rinchiusi in gabbie così piccole da impedire qualsiasi loro movimento. Secondo stime relative al 2024, gli animali macellati sonoquasi cinquecento al minuto. Tra mucche, vitelli, polli, tacchini, maiali e agnelli, dall’inizio del 2024, solo in Italia sarebbero stati macellati oltre 54 milioni di animali per uso alimentare.

Ma i numeri più impressionanti sono quelli che riguardano gli sprechi: ogni anno, ben 18 miliardi di polli, tacchini, maiali, pecore, capre e mucche muoiono o vengono uccisi, ma non vengono mangiati da nessuno. A calcolare questo dato uno studio realizzato da Juliane Klaura, Laura Scherer e Gerard Breeman: “Ridurre questi numeri non solo eviterebbe inutili sofferenze animali, ma contribuirebbe anche alla lotta contro il cambiamento climatico”. Dall’analisi della produzione e dei consumi in tutto il mondo di sei dei più comuni animali utilizzati per uso alimentare è emerso che ogni anno vanno sprecati 18 miliardi di animali equivalenti a 52,4 milioni di tonnellate di carne commestibile. Praticamente circa un sesto di tutta la carne prodotta a livello globale. Un numero folle, confermato dai dati forniti dall’ONU del 2019 (per evitare l’impatto della pandemia di COVID-19). Una quantità di carne che potrebbe consentire di ridurre sensibilmente la fame nel mondo. “Le ragioni della perdita e dello spreco di carne variano”, spiega Klaura. “Ogni anno vanno sprecate 52,4 milioni di tonnellate di carne commestibile senza ossa”. “Nei Paesi in via di sviluppo, le perdite si verificano in genere all’inizio del processo, come la morte del bestiame a causa di malattie durante l’allevamento o il deterioramento della carne durante lo stoccaggio o il trasporto”. Nei Paesi industrializzati, invece, la maggior parte degli sprechi avviene dal lato del consumo, con i supermercati che si riempiono di scorte, i ristoranti che servono porzioni di grandi dimensioni e le famiglie che buttano via gli avanzi. È in questi Paesi che lo spreco di carne è maggiore. Inutile dire che gli sprechi maggiori avvengono nei Paesi più sviluppati come gli Stati Uniti, ma anche altri Paesi fanno registrare punteggi particolarmente negativi. Paesi come il Sudafrica e il Brasile.

Cambiare questo stato di cose non sarà facile. Secondo Klaura, “Le persone possono arrabbiarsi quando si tratta di transizioni dietetiche”. “Si sentono come se gli fosse stato tolto qualcosa”. Secondo i dati 2023 riportati dall’Eurobarometro della Commissione europea la stragrande maggioranza dei cittadini europei vorrebbe un maggiore “benessere” degli animali allevati a scopo alimentare. Il 94 per cento degli europei e il 93 per cento degli italiani ritiene che gli animali abbiano bisogno di un ambiente adatto alle loro esigenze fondamentali. L’89 per cento degli europei vuole che l’Unione europea ponga fine alle mutilazioni, insieme al 91 per cento degli intervistati in Italia. L’89 per cento dei cittadini europei e il 91 per cento di quelli italiani è inoltre favorevole al divieto dell’allevamento di animali in gabbie singole.

Tutti pronti a dire che gli animali di allevamento “meritano una vita migliore”. Ma chiedere loro di cambiare politiche di consumo è un’altra cosa. Difficilmente la gente è disposta a cambiare le proprie abitudini alimentari per migliorare l’ambiente. Figurarsi per migliorare le condizioni di vita degli animali destinati al macello.

Eppure, “l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti”. Parole queste che non fanno parte di uno slogan di una associazione animalista e nemmeno sono frutto di una campagna elettorale “verde” in vista delle prossime europee. Sono parte dell’articolo 13 del titolo II del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Belle parole che hanno portato nel 1976 all’approvazione della Convenzione europea sulla protezione degli animali negli allevamenti (nel 1987 è stata firmata anche la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia che riconosce che “l’uomo ha l’obbligo morale di rispettare tutte le creature viventi”). Per garantire il rispetto di questi documenti nel 1992 è stata approvata la direttiva 92/43/CEE , nota come “direttiva habitat”.

Forse è per questo che nessuno dei candidati alle prossime elezioni ha osato dire una parola su questi numeri. Spiegare come mai ogni anno miliardi di animali vengano allevati, torturati e poi uccisi senza nemmeno essere mangiati, potrebbe metterli in difficoltà di fronte agli elettori.

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