Ormai si leggono statistiche su tutto. A livello di Paesi, esistono dati su quello più felice, sul Paese più abitato, su quello più ricco o il più amato. Per assurdo che possa sembrare c’è stato anche chi ha calcolato quale sarebbe il Paese più odiato. Lo ha fatto World Population Review. E non sono mancate le sorprese.
Secondo le stime del World Population Review, i tre Paesi più odiati in assoluto al mondo sarebbero Cina, Russia e Stati Uniti d’America (l’ente non dice quale sia il primo tra questi tre). Si tratta di tre tra i più grandi Paesi del mondo. Tre superpotenze. Spesso in competizione tra loro su vari fronti. Non sorprende quindi che gli abitanti di ciascuno di questi Paesi abbiano una visione negativa degli altri due. Tutti e tre questi Paesi sono noti per esercitare pressioni e avere influenza negli affari economici, politici e militari di altri Paesi.
Per molti, sarebbe la Russia il Paese più odiato al mondo: l’attuale presidente, Vladimir Putin non sembra preoccuparsi di questa reputazione e continua il suo sforzo nel tentativo di limitare l’espansione della Nato. Da tempo la Russia non gode di un’immagine positiva. Dopo l’invasione dell’Ucraina, nel 2022, la situazione non è certo migliorata. Tra gli aspetti negativi indicati durante il sondaggio le alleanze con altre nazioni e Paesi “poco simpatici”, come la Siria o la Corea del Nord.
Anche la Cina non godrebbe di molte simpatie: imperialista quasi quanto la Russia è governata da un regime autoritario e oppressivo. A questo si aggiunge l’immagine di grande inquinatore e l’accusa di essere uno dei maggiori emettitori di CO2. La Cina è accusata anche di “diplomazia della trappola del debito”: presterebbe denaro a Paesi in via di sviluppo sapendo che è improbabile che saranno in grado di pagare il proprio debito a meno di non accettare influenza politica sulle politiche interne. Altro aspetto che accomuna Russia e Cina il poco rispetto dei diritti umani.
Quanto agli USA, tra le principali cause della scarsa considerazione ci sarebbe l’abitudine di influenzare gli eventi internazionali in modo da avvantaggiarsene. Secondo i ricercatori, “gli Stati Uniti inviano spesso truppe in altri Paesi (Vietnam, Panama, Afghanistan, Iraq, ecc.) per ragioni che sono spesso criticate da persone in altri Paesi”. Molte volte il peso politico di questo Paese appare un’oppressione o una forma di bullismo. Tra le principali critiche la divisione politica profonda e sempre più ostile tra liberali e conservatori, il fatto di dipendere da fonti mediatiche o politiche chiaramente di parte, di dare per scontato che l’America è il leader mondiale indiscusso in ogni settore (anche quando ciò non è vero), la passione degli americani per le armi da fuoco e il fast food ma soprattutto la mancanza di progressi in ambito sociale e ambientale (LGBTQ+, questioni razziali e di genere, disuguaglianza di reddito, assistenza sanitaria).
Altri Paesi ai vertici della lista dei Paesi più “odiati” sarebbero l’Arabia Saudita, Israele, la Corea del Nord, il Pakistan, l’Iran, l’Iraq, la Siria, l’India, il Giappone. E poi, non senza una certa sorpresa, Paesi europei come la Germania, il Regno Unito e la Francia. Per alcuni di questi Paesi non c’è da sorprendersi. Sull’immagine dell’Arabia Saudita pesa il poco rispetto dei diritti umani, il ricorso alla pena capitale per punire crimini che vanno dall’omicidio all’adulterio e all’apostasia (lasciare la chiesa). Anche l’omosessualità sarebbe punibile con la morte e i diritti LGBTQ+ in generale sono tra i peggiori al mondo. Secondo i ricercatori rilevante il fatto che la “polizia e le altre forze di sicurezza sono note per abusare e torturare i sospetti al fine di estorcere confessioni o semplicemente per rimuovere l’opposizione, come nel caso del giornalista torturato e assassinato Jamal Khashoggi”. Qui le donne hanno pochissimi diritti: alla fine del 2022, il Paese non aveva ancora una legge contro lo stupro coniugale o legale. Le vittime di stupro possono essere incarcerate per reati che includono l’essere in presenza di un maschio non imparentato o vestirsi in modo troppo propositivo. L’Arabia Saudita è spesso accusata di essere anche un’incubatrice per il terrorismo. Il Paese è altamente militarizzato ed è stato accusato di crimini di guerra durante la guerra in Yemen nel 2015.
Su Israele pesa certamente la disputa territoriale con la Palestina. Israele è stato criticato per la sua gestione degli insediamenti israeliani nei territori palestinesi, per il trattamento dei rifugiati palestinesi, per l’abitudine di usare “omicidi mirati” per eliminare individui (di solito palestinesi) ritenuti una minaccia per la sicurezza. È stato anche accusato di usare il suo più grande sostenitore, gli Stati Uniti d’America, come facilitatore di comportamenti sgradevoli (a chi avesse qualche dubbio basterà pensare a cosa è avvenuto negli ultimi mesi per le votazioni al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite).
Anche per il Pakistan sono pesanti le accuse di essere un luogo di rifugio per i terroristi e gruppi come i talebani e Al-Qaeda. Lo studio riporta che “il Pakistan è spesso accusato di oppressione sistematica e violenza contro le donne, così come molte minoranze come le minoranze religiose, le persone transgender e altri membri della comunità LGBTQ+”. In questo Paese sarebbe limitata la libertà di parola.
Come nel caso del Pakistan e di Israele, anche per l’Iran vengono citate numerose violazioni dei diritti umani. Anche questo Paese è accusato di sponsorizzare il terrorismo. A influenzare il giudizio sull’Iran anche la preoccupazione che possa segretamente “sviluppare armi nucleari (o che lo abbia già fatto)”.
L’opinione sull’Iraq sarebbe influenzata da considerazioni legate al terrorismo: il gruppo Isis/Isil sarebbe nato qui. Inoltre, il governo iracheno da molti considerato una dittatura autoritaria con una lunga lista di violazioni dei diritti umani.
Se il giudizio degli intervistati su questi Paesi non sorprende, diversa è la situazione per i Paesi europei. Sulla Germania pesa ancora il ricordo di essere stata istigatrice di entrambe le guerre mondiali e l’utilizzo dei campi di concentramento per un pulizia etnica in “misura straziante”. Su Regno Unito e Francia, invece, peserebbero ancora i trascorsi colonialisti dei secoli passati e le pressioni che ancora oggi continuano ad esercitare su “molte nazioni e civiltà in tutto il mondo”: i Paesi conquistati venivano spesso sfruttati, mentre i dominatori estraggono ricchezze, risorse naturali e prelevavano dai nuovi territori persone da usare come schiavi/manodopera a basso costo. Gli imperi che si estendevano su tutto il mondo sono finiti da tempo (almeno in quella forma), ma evidentemente su di essi pesa ancora il giudizio per quello che hanno fatto. Recentemente anche il modo di trattare i migranti ha peggiorato l’immagine di questi Paesi. Nel Regno Unito la questione dell’invio dei richiedenti asilo in Ruanda è ancora un tema caldo. E in Francia, a dicembre, è stato approvato un disegno di legge quadro sull’immigrazione che ha tra le misure più criticate la fine del principio dello ius soli, in base al quale a qualsiasi bambino nato sul suolo francese veniva concessa la nazionalità francese indipendentemente dalle origini dei genitori. Ora, invece, il bambino potrà beneficiare dei diritti di cittadinanza fino al compimento del 18esimo anno di età, giorno in cui dovrà dimostrare ufficialmente la sua volontà di diventare francese. Polemiche anche sui sussidi sociali: i migranti privi di documenti rischiano di perdere il trasporto gratuito e i permessi di soggiorno automatici quando lavorano in settori a basso salario e a corto di personale. Secondo l’ultimo testo, i prefetti locali avrebbero discrezionalità nel concedere o meno i permessi. Votata dall’Assemblea nazionale con il sostegno dell’estrema destra e dei conservatori, la bozza dovrà essere esaminata dal Consiglio costituzionale, che verificherà la compatibilità della legislazione con la Costituzione francese (e c’è già chi prevede che alcune misure saranno annullate).