“I Racconti di Canterbury”, una critica ai vizi privati e alle pubbliche virtù

Articolo di Gordiano Lupi

Pier Paolo Pasolini mette in scena il secondo atto della Trilogia della vita sceneggiando i ventiquattro racconti di Canterbury dello scrittore inglese Geoffrey Chaucer, pubblicati nel 1476, composti da due prose e ventidue opere in versi. La raccolta parte dalla stessa idea del Decameron di Boccaccio, scritta in un periodo successivo, per criticare vizi privati e pubbliche virtù, soprattutto la corruzione della Chiesa e le ipocrisie moralistiche. L’amore – in tutte le sue forme – è il protagonista dei racconti, ma anche la furbizia, l’inganno, la religione, la credulità popolare non sono da meno. I racconti di Canterbury di Pier Paolo Pasolini seguono identico assunto: una cornice narrativa composta da un gruppo di pellegrini che raccontano novelle sulla via per Canterbury, dove devono recarsi per visitare la tomba di San Tommaso Becket. Pasolini concluderà la sua Trilogia con l’ambizioso Il fiore delle mille e una notte (1974), prima di cadere nei cupi abissi senza ritorno di Salò (1975).

Pier Paolo Pasolini si cala nelle vesti dello scrittore Geofrrey Chaucer e in una delle prime sequenze fa dire a un personaggio la battuta desunta da Menandro: “Tra scherzi e giochi, grandi verità si possono dire!”. Il regista avverte lo spettatore che sta entrando nel territorio della commedia, in questo caso erotica, ma che l’autore conserva l’ambizione di criticare i costumi senza scadere nella farsa ridanciana, vorrebbe mettere in pratica quel ridendo castigat mores in cui tanto crede. Otto racconti collegati a un prologo, uniti dal collante del viaggio a Canterbury, con intermezzi dello scrittore che sorride per le sue trovate e viene persino sgridato da una burbera consorte. I racconti di Canterbury vince l’Orso d’Oro a Berlino ma è tra i film più censurati e perseguitati di Pasolini, secondo solo a Salò, per il forte messaggio anticlericale più che per i numerosi nudi integrali maschili e femminili. Rivisto oggi sembra tutto molto strano, perché i rapporti sessuali, i tradimenti, le irriverenze contro la religione e l’ordine costituito sono presentate in chiave grottesca e sono caratterizzate da una recitazione sopra le righe che non lascia spazio al morboso.

Le storie in sintesi. Un ricco mercante perde la vista ma la ritrova appena in tempo per vedere il tradimento della giovane moglie, un diavolo fa uccidere due omosessuali sul rogo della Santa Inquisizione, un altro diavolo si porta via un malfattore dopo averlo illuso della sua amicizia, un buffone cerca lavoro e porta scompiglio in una città inglese, due giovani seducono la moglie di un falegname, una donna sposa uno studente come quinto marito ma le cose non vanno come vorrebbe, due studenti si vendicano di un mugnaio portandosi a letto moglie e figlia, tre giovani malfattori si uccidono a vicenda per un tesoro, un frate viene portato all’inferno per conoscere le punizioni divine riservate ai religiosi corrotti. Lo spirito di Chaucer è conservato integro in questa curata trasposizione di Pasolini che si avvale delle scenografie di Dante Ferretti, delle musiche tradizionali di Ennio Morricone (scelte dal registra) e di una solare fotografia di Tonino Delli Colli. Tutto è perfetto, da una ben oliata sceneggiatura – scritta in puro stile pasoliniano – al montaggio compassato di Nino Baragli, per finire con i costumi e il trucco, privi di ogni sbavatura. Sergio Citti è aiuto regista insieme a Umberto Angelucci e all’assistente inglese Peter Shepherd, per un lavoro che gli sarà molto utile nell’affinare la sua vena grottesca e fantastica, unita agli elementi antiborghesi e anticlericali.

Interpreti professionisti e di impostazione teatrale (Griffith, Betti) si alternano a volti di borgatari e di ragazzi inglesi, oltre i soliti Franco Citti (perfetto come diavolo) e Ninetto Davoli (Charlot calato nel Medio Evo). Eduardo De Filippo presta la sua voce a un vecchio saggio che ammonisce tre ragazzi a non farsi lusingare dalle facili ricchezze. Tra i doppiatori importanti ricordiamo Marco Bellocchio (frate) e Francesco Leonetti (oste).

Il tono del film è grottesco, l’erotismo è delimitato nel territorio della comicità, anche se i soggetti e le trame saranno tra le più saccheggiate dal decamerotico, persino il titolo verrà usato con modifica volgare ne I racconti di Viterbury (1973) di Mario Caiano (nascosto sotto lo pseudonimo di Edoardo Re). Tra le cose migliori del film l’episodio di Perkin il festaiolo, interpretato da un grandissimo Ninetto Davoli che imita Charlot e mette in pratica una sceneggiatura a base di torte in faccia e fast-motion, chiaro omaggio al cinema muto. Ricordiamo le sequenze dove il diavolo spia non dal buco della serratura (come nella commedia sexy) ma tra le tavole sconnesse delle porte. Molte idee verranno riprese dal decamerotico e dalla commedia sexy, non ultima quella del peto in faccia al postulante che si vendica con un palo rovente infilato nell’ano del rivale. Eccellente il racconto del frate avido con il viaggio all’inferno dove assistiamo a un’esplosione di cinema fantastico e surreale – forse la parte più eccessiva del film – dove i religiosi corrotti vengono espulsi dagli ani dei diavoli come se fossero feci. Il finale vede Pasolini-Chaucer scrivere: “Qui finiscono i racconti di Canterbury, narrati solo per il piacere di raccontarli. Amen”.

Il film viene girato da settembre a novembre 1971, debutta al festival di Berlino il 2 luglio 1972 nella versione da due ore e venti minuti, vincendo l’Orso d’oro. In Italia esce a Benevento il 2 settembre 1972, gravato dal divieto ai minori di anni 18, deve subire diversi processi e sequestri per oscenità, che portano alla condanna del produttore Alberto Grimaldi e del proprietario del cinema, in seguito assolti. Il film torna libero nel dicembre 1973 e riscuote un buon successo di pubblico (oltre due miliardi di incasso, undicesimo incasso della stagione 1972-73).

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Regia: Pier Paolo Pasolini. Soggetto: Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer. Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini. Fotografia: Tonino Delli Colli (Techinicolor). Edizione: Enzo Ocone. Musiche: Pier Paolo Pasolini (selezione a cura di), con la collaborazione di Ennio Morricone. Costumi: Sartoria Farani. Direttore di Produzione: Alessandro Von Normann. Costumi: Danilo Donati. Scenografia: Dante Ferretti. Aiuti Regia: Sergio Citti, Umberto Angelucci. Assistente Regia: Peter Shepherd. Assistenti Montaggio: Ugo De Rossi, Anita Acciolati. Fotografo di Scena: Mimmo Cattarinich. Mixage: Gianni D’Amico. Aiuto Operatore: Maurizio Lucchini. Aiuto Sceneggiatore: Carlo Agate. Aiuto Costumista: Vanni Castellani. Arredatore: Kenneth Muggleston. Trucco: Otello Sisi. Fonico: Primiano Muratori. Effetti Speciali: Luciano Anzillotti. Operatore alla Macchina: Carlo Tafani. Produttore: Alberto Grimaldi. Casa di Produzione: PEA – Produzioni Europee Associate sas (Roma. Interpreti: Hugh Griffith, Laura Betti, Ninetto Davoli, Franco Citti, Josephine Chaplin, Alan Webb, Pier Paolo Pasolini, J. P. Van Dyne, Vernon Dobtcheff, Adrian Streeet, Ot, Derek Deadmin, Nicholas Smith, George Datcia, Dan Thomas, Michael Balfour, Jenny Runacre, Peter Cain, Daniel Buckler, John Francis Lane, Settimo Castagna, Athol Coats, Judy Stewart Murray, Tom Baker, Oscar Fochetti, Willoughby Goddard, Peter Stephens, Giuseppe Arrigo, Elisabetta Genovese, Gordon King, Patrick Duffett, Eamann Howell, Albert King, Eileen King, Heather Johnson, Robin Asquith, Martin Whelar, John McLaren, Edward Monteith Kervin, Franca Sciutto, Vittorio Fanfoni.

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