Uno dei problemi attuali della costruzione europea è quello della mancanza di una visione ideologica, la mancanza di un elemento di unità che possa riuscire ad accomunare tutti i diversi stati che sono entrati a far parte dell’Unione Europea. L’aggregazione di tutta una serie di stati differenti è stata perseguita senza una reale visione unitaria ma seguendo le contingenze e gli interessi degli stati dominanti, ossia tendenzialmente Germania e Francia. Un chiaro esempio di ciò è l’annessione di tutto il blocco dell’Est in funzione anti russa e le pressioni che l’Unione Europea opera sull’Ucraina e, più di recente, sulla Bielorussia.
L’elemento ideologico sembra totalmente mancare alla costruzione europea e nelle more dell’adesione di uno o di un altro stato all’interno dell’Unione le giustificazioni sembrano avere tutte un carattere economico-finanziario o in alcuni casi persino meramente geografico. Talvolta sembra esserci un risvolto umanitario, garantire uno stile di vita migliore all’interno dell’Europa, altre volte dietro questo viene palesato l’intento di allargare i confini del mercato unico.
Quando allora si deve fare riferimento agli elementi ideologici comuni dell’Europa, ai valori cui si dovrebbe richiamare la costruzione europea, questi risultano sempre molto vaghi e fumosi. La religione non può essere richiamata dato che gran parte della popolazione d’Europa è ormai non credente e si parla e si è parlato dell’adesione di diversi paesi musulmani come l’Albania, la Bosnia o persino la Turchia.
L’elemento storico sembra anch’esso essere venuto meno: il concetto di storia europea viene utilizzato in maniera larga, in assenza di valori fondanti, tanto che paesi per lungo tempo “antagonisti” o comunque con una storia ben distinta potrebbero entrare a far parte della stessa senza alcuna obiezione di sorta.
Ma è possibile creare una costruzione di tale portata e importanza storica senza fissare dei paletti? È possibile immaginare una costruzione nazionale, perché tale essa vuole diventare, senza immaginare dei necessari limiti o, per meglio dire utilizzando una parola che ormai ha assunto una connotazione negativa, confini?
Il problema principale dell’Europa di oggi è che non riesce ad identificare se stessa e l’altro, non riesce a comprendere cos’è perché non riesce a stabilire un altro da sé.
Ricordo una volta di aver letto un articolo di Umberto Eco sull’importanza del “nemico” per molte nazioni. India-Pakistan, Stati Uniti-Russia, le due Coree. Nel momento in cui si identifica l’altro si riesce a riconoscere se stessi, a capire cosa ci distingue, cosa riteniamo identitario e in questo modo a creare un’immagine di noi, ovviamente in larga parte non obiettiva.
L’Europa non riesce a creare un’immagine di sé perché si è data come principio fondante quello della mancanza di un’identità e dell’apertura verso l’esterno. Non appena pensiamo all’Unione Europea gli unici successi che ci sovvengono alla mente sono quelli del mercato unico privo di barriere, della mancanza di ostacoli alla circolazione di merci e persone, la caduta delle barriere e l’area Schengen. Sì, c’è anche l’assenza di guerre sul suolo europeo, intento certamente lodevole, ma che forse andrebbe inquadrato più realisticamente all’interno della storia della Guerra Fredda e non come merito unicamente dell’Unione.
L’Unione ha come debolezza originaria quella di essere formata da forti stati nazionali, dotati di una storia e di una cultura fortemente consolidate. Per questa ragione ha sempre preferito limitare la propria azione all’ambito economico e finanziario, prendendo sempre batoste quando si trattava di stabilire dei principi comuni, una costituzione e così via.
Per ovviare al difetto originario delle troppo forti identità nazionali si è data come ideale quello della non-identità.
La sua incapacità, la nostra incapacità, di sancire dei principi ideologici comuni deriva dalla sua incapacità di realizzarsi su un ambito ben più spinoso, quello della dottrina nazionale. Una volta che gli stati membri non vogliono rinunciare al loro status per riconoscere un’Unione Europea “nazione”, la stessa Unione non può che porsi come fondamenti di una identità costituenti che identitari da soli non possono essere. Così che i cosiddetti diritti civili, la libertà e la democrazia diventano gli unici elementi discriminanti per poter definire quali stati possano essere parte dell’Unione.
Parliamo certamente di valori lodevoli ma siamo davvero sicuri che siano questi bastevoli a rendere uno stato passibile di entrare nell’Unione? Sono solo questi principi che ci distinguono dal resto delle nazioni sulla terra?
L’incapacità dell’Unione di sancire in maniera decisiva quali siano i suoi costituenti identitari porta alla ambigua situazione odierna ma a scenari possibilmente ancora più estremi. Dove fissiamo il confine, il limite oltre il quale non è più possibile considerare un paese passibile di diventare un membro dell’Unione?
Se parliamo di diritti, allora teoricamente un paese come il Canada potrebbe essere membro dell’Unione, la sua popolazione ha persino un’origine europea, però chiaramente la cosa ci pare assurda. Se fissiamo un criterio geografico la Tunisia potrebbe diventare membro dell’Unione, dal punto di vista italiano forse molto più a ragione di un paese per noi più all’estremo est come l’Estonia. Se prendiamo come riferimento criteri economici, i criteri per poter diventare membro della zona euro, allora molti paesi fuori dalla zona euro avrebbero le carte in regola ben più di altri paesi all’interno della stessa.
Invece di discutere sulla questione se sia legittimo o no avere uno o l’altro paese all’interno dell’UE, sarebbe forse importante chiedersi perché non siamo capaci di dare una risposta compatta e univoca su questo argomento. Dovremmo, pertanto, fermarci un attimo e comprendere quale sia la visione comune da trovare e se sia possibile o meno rimediare a questa mancanza.