Il cielo di Wembley si tinge di Azzurro

Articolo di Andrea Musumeci

11 luglio 2021, ore 23.54: Donnarumma para il rigore decisivo. l’Italia è campione d’Europa.
Dopo l’emozionante e adrenalinica lotteria dei calci di rigore, l’Italia di Roberto Mancini si è aggiudicata la 16a edizione del campionato europeo, formalmente EURO 2020 (per la prima volta con formula itinerante e svolto a distanza di un anno per l’emergenza coronavirus), battendo in finale, nel nuovo stadio di Wembley, l’Inghilterra.
Una vittoria sofferta, di cuore e passione, frutto di individualità messe al servizio del gruppo; un match che abbiamo ripreso per il collo, anzi, per il colletto, un successo sostenuto dallo sforzo e dal sacrificio, con quell’orgoglio che, per tradizione, ha sempre contraddistinto il carattere e l’identità del nostro popolo, insieme a quella voglia di non mollare mai.

Intorno alla mezzanotte di domenica 11 luglio siamo scoppiati in lacrime di gioia e in un urlo liberatorio che, oggi, si unisce a quelli di Marco Tardelli e Fabio Grosso, in un abbraccio che ha avvolto l’intero stivale, rafforzando quel senso di appartenenza e mettendoci, così, al centro dell’Europa. Insomma, un’altra pagina memorabile per lo sport tricolore, l’ennesima celebrazione del made in Italy.

L’Azzurro, dunque, non rappresenta soltanto motivo di fierezza ed entusiasmo per ciò che è il riflesso socioculturale del nostro territorio, ma rappresenta un traguardo che, inevitabilmente, porta con sé un importante impatto economico nel prodotto interno lordo del Paese. Una sorta di “ascensore sociale”, come lo ha definito il nostro Presidente del Consiglio Mario Draghi.

Alzare la coppa al cielo in casa loro, davanti al Primo ministro del Regno Unito Boris Johnson e ai rappresentanti della famiglia reale, diciamolo, ha tutto un altro sapore. Soprattutto dopo l’atteggiamento smargiasso e spocchioso da parte di diversi tabloid e social media britannici, che evidentemente avevano dato già per scontato l’epilogo della finale e indirizzato il vento mediatico a favore dell’Inghilterra.

Il 60° anniversario del campionato europeo di calcio verrà ricordato anche per gli ingenerosi e assordanti fischi dei sessantamila tifosi inglesi presenti sugli spalti Wembley durante l’esecuzione dell’inno di Mameli prima del calcio d’inizio della finale. D’altra parte, la tifoseria dei Tre Leoni non era nuova a certe prodezze pubbliche, visto quanto accaduto anche nella semifinale con la Danimarca. Una condotta inqualificabile e antisportiva. Lo sanno tutti che, per rispetto, gli inni nazionali non si fischiano.

Non ce lo saremmo aspettati da chi (generalizziamo, ovviamente) ha sempre ostentato e rivendicato aplomb e pragmatismo culturale; in particolar modo da un popolo che si è sempre fatto promotore di campagne mediatiche per incoraggiare il fair-play, e soprattutto da chi afferma d’aver inventato il gioco del calcio. In un sol colpo, l’Inghilterra del “football” ha incarnato il mito di Narciso e la metafora del volo di Icaro.

D’altronde, cosa possiamo pretendere da un popolo che si mette nelle Mani di Dio e della Regina? Cosa vuoi aspettarti da undici calciatori che si inginocchiano sul terreno di gioco per sostenere abomini mediatici quali il black lives matter? Gli stessi atleti che, al momento della premiazione, si sono tolti la medaglia d’argento dal collo appena ricevuta, quasi con disprezzo. E che non hanno assistito nemmeno alla premiazione della squadra azzurra. Non è stato un bel gesto, né tantomeno un bell’esempio di sportività per i più giovani, e in generale per la gente. Certo, in una società come quella contemporanea, dove vige ormai la teoria del relativismo assoluto, sarebbe abbastanza retorico condannare certi modelli di comportamento.

Cosa ti aspetti da una tifoseria che abbandona lo stadio poco prima della premiazione? Tra questi anche Boris Johnson e i Reali di Buckingham Palace. Dalle alte sfere politiche, nonostante la delusione e l’amarezza del momento, ci attenderemmo un contegno degno di ben altro spessore. Diciamolo, al di fuori della discografia musicale, del fish & chips, della metropolitana e dei tuffi di Sterling, cosa resta al popolo inglese?

Questo succede quando le aspettative vengono gonfiate a dismisura e, come spesso accade, il fatto di giocarsi tutto in casa, davanti al proprio pubblico, nel proprio stadio, con gli occhi di un’intera nazione puntati addosso, può diventare un’arma a doppio taglio. E, difatti, così è stato. Per non parlare poi della insolita scelta della lista dei rigoristi stilata dal CT inglese Gareth Southgate, il quale, evidentemente, non ha un buon feeling con i tiri dagli undici metri. Suo il rigore sbagliato contro la Germania in semifinale di coppa del mondo nel 1996: errore che costò l’eliminazione all’Inghilterra.

Per tradizione, e/o per statistica, non è mai stata una saggia decisione quella di far entrate a freddo dei giocatori dalla panchina esclusivamente per tirare i calci di rigore. Perché, per quanto si possano essere riscaldati a bordo campo, non hanno il ritmo partita, e ancor peggio, non hanno a disposizione il tempo necessario per farsi coinvolgere dall’aspetto emotivo e psicologico del campo, della gara in sé.

Insomma, per l’ennesima volta abbiamo potuto appurare due cose: che l’essere umano è essere umano ovunque, non importa la provenienza né lo status sociale, e che quando la posta in palio diventa troppo elevata, ogni buon proposito, o fregio nazionalpopolare, va a farsi benedire.

Ma non è ancora detta l’ultima parola, poiché i tifosi inglesi, furiosi con l’arbitro e non paghi della pessima figura di domenica sera, chiedono la ripetizione della finale, al punto che hanno fatto partire una raccolta firme per rigiocare Italia-Inghilterra. Magari con due palloni, why not? La UEFA accetterà questa petizione? Ai posteri l’ardua sentenza. 
Nel frattempo, l’Italia (ri)porta a casa, sulle dolci note british di It’s Coming Home (riadattata in It’s Coming Rome) e riciclando gli anthemici Seven Nation Army e Un’Estate Italiana, un trofeo che mancava dalla nostra bacheca da ben 53 anni, e che invece, per sua sfortuna, la nazionale inglese non ha mai vinto.

“Please don’t look back in anger, England”. 

Related Articles